C’è un solo modo per spiegare la volatilità della scorsa settimana: i mercati hanno dovuto fare i conti con l’ultimo strappo nei rapporti tra Usa e Cina.
I numeri pubblicati da Markit giovedì scorso relativamente all’attività manifatturiera e dei servizi in America hanno inoltre parlato chiaro, portandosi per il mese di maggio appena sopra la soglia di 50, lo spartiacque che separa la crescita dal rallentamento economico. La guerra commerciale rimane la più grande preoccupazione per le aziende manifatturiere d’oltreoceano che hanno accusato una minore crescita del business e temono che la situazione possa ulteriormente peggiorare. Le stesse misurazione di Markit relative al settore manifatturiero dell’Eurozona sono state ancor più deludenti, scivolando a 47.7, un livello che segnala contrazione.
In questa fase gli operatori sono diventati quindi molto selettivi e più prudenti, preoccupati dalla possibilità di una spirale viziosa dove un possibile calo degli utili avrebbe un impatto necessariamente negativo sui listini.
In quest’ottica il clima politico internazionale potrebbe dunque mantenere un po’di incertezza sui mercati fino a fine giugno quando si riunirà il G20.
Le elezioni europee di domenica, invece, non hanno in generale riservato particolari sorprese. Gli esiti elettorali si sono fatti sentire maggiormente solo in Grecia, dove si festeggiano le elezioni anticipate, e in Italia, dove lo spread è nuovamente sotto pressione. La possibilità di elezioni anticipate nel Bel Paese, i dettagli della nuova TLTRO III, che dovrebbero essere annunciati il 6 giugno, e i contenuti della lettera che la Commissione europea potrebbe inviare all’Italia nei prossimi giorni, chiedendo chiarimenti sul progressivo aumento del rapporto debito/pil, condizioneranno il trading delle prossime settimane sul Btp. A questo proposito, graficamente l’area 300 dello spread rappresenta in questa fase un livello di resistenza.
Continuiamo a credere che un accumulo graduale sul comparto azionario sia vincente nel medio lungo termine poiché il comparto obbligazionario non offre in questo momento una remunerazione adeguata a contrastare l’inflazione.