Diventare architetto oggi ha ancora un senso? La crisi della professione è strettamente collegata a quella dell’edilizia, inutile negarlo, e ne ha risentito anche l’Università, ma l’Ateneo genovese non sta certo fermo e basta sganciarsi dall’idea tradizionale del semplice progettista per capire quali possano essere le opportunità attuali.
«L’appeal di architettura nell’immaginario collettivo è un po’ scemato – racconta il direttore del dipartimento di Architettura e design della Scuola Politecnica di Genova Niccolò Casiddu – abbiamo registrato un calo nelle richieste di accesso. Oggi bisogna sganciarsi dal concetto tradizionale». L’architetto un tempo era orientato all’esercizio della libera professione o all’ingresso negli uffici tecnici della Pubblica Amministrazione, invece ora sono solo il 30% i laureati che si iscrivono all’Ordine professionale. Gli altri fanno altro o mestieri in libera professione o i consulenti o i dipendenti che sono contemplati nell’ambito della formazione culturale dell’architetto, ma non come progettisti.
Il Dad – dipartimento di Architettura e design
Una sessantina i docenti del dipartimento di Architettura e design, che ha sede in stradone Sant’Agostino (salvo il corso di design della Nautica che è concentrato alla Spezia). Sia i corsi per architetto sia per designer hanno numeri di accesso programmati. Per architettura il numero è stabilito a livello nazionale (162 più 10 per studenti non Ue), per il design la programmazione è locale (142 più 38 per studenti non Ue).
«La professione – dice Casiddu – sta cambiando moltissimo perché sono mutate le richieste. Per questo il dipartimento ha una proposta formativa che apre a molti ambiti professionali».
Sostenibilità ambientale, efficienza energetica, tanto per fare alcuni esempi: «La smart city interessa profondamente la formazione dell’architetto, che è un mix di tecnica e cultura umanistica. Non per forza bisogna progettare case, ma ci si può occupare di riqualificare e rigenerare ambienti e territori, di recuperare quello che abbiamo, di agire sul patrimonio culturale e architettonico in molti modi; sono tutti ambiti in cui la formazione dell’architetto è vincente, ampia e flessibile».
Ormai, in un percorso lavorativo che può durare 40 anni, c’è bisogno di cambiare più volte ambito operativo e professionale. Una formazione troppo stretta e monotematica rende tutto più difficile.
Il profilo dei corsi di studio si adatta continuamente: «I corsi di design – rivela Casiddu – stanno avendo un successo notevole in questo momento, perché sono capaci di dare risposte alle richieste del territorio». Architettura li ha diviso in due curricula: quello di design della nautica ha sede alla Spezia per dare un segnale forte alle richieste della cantieristica spezzina e viareggina (il percorso prevede sia la laurea triennale sia quella magistrale), mentre a Genova il percorso magistrale è articolato sul design di prodotto e dell’evento «proprio per essere a stretto contatto con il mondo produttivo e imprenditoriale, per dare risposte alla richiesta del territorio di avere figure professionali capaci di gestire il prodotto nell’intero processo, arrivando anche all’evento e alla comunicazione, in sostanza un apporto creativo al servizio dello sviluppo economico».
Chi sceglie invece Architettura, sarà formato anche per la sostenibilità ambientale e la riqualificazione del territorio fragile. «Quest’anno – sottolinea Casiddu – abbiamo fatto un gran lavoro sulla val Polcevera, in particolare sul territorio toccato dal crollo del ponte Morandi, con laboratori, approfondimenti multidisciplinari, proposte per approfondimenti, verifiche e progetti. Sono uscite proposte molto interessanti che saranno presto in mostra proprio a Certosa, in collaborazione col Municipio, e poi itineranti. Le metteremo a disposizione della popolazione e degli interessati per una avviare riflessione e dare stimoli per la ricostruzione. Si tratta di una rigenerazione anche sociale, quel territorio ha subìto un break pesantissimo, che aveva già necessità precedenti al crollo».
Proprio per la sua vocazione, il dipartimento di Architettura e design si presta alla collaborazione con gli enti e le istituzioni datoriali che ritengano utile un contributo: «Formiamo la nuova generazione di progettisti – specifica Casiddu – in grado di rispondere a problemi espliciti, ma anche individuare le tematiche su cui valga la pena agire per essere driver di sviluppo. Lavoriamo sulle tematiche della nostra città: oggi tema è l’invecchiamento della popolazione, occorre dare risposte a livello progettuale».
A livello aziendale il dipartimento collabora con aziende multinazionali e nazionali, con enti fuori regione. «In questo momento stiamo lavorando sulla valorizzazione del patrimonio storico della nautica e la riqualificazione e il recupero del patrimonio architettonico genovese, senza tralasciare il filone del paesaggio e del restauro».
Secondo il direttore del Dad, uno dei temi importanti su cui il dipartimento può dare un buon contributo «è dato dalla straordinaria fragilità che si unisce alla incommensurabile bellezza del territorio. Una fragilità fatta di territorio naturale, di patrimonio costruito e di patrimonio sociale. Tre aspetti che non possono essere scissi l’uno dall’altro. Bisogna provare a recuperare questo senso della bellezza. Il nostro scopo è far cose belle. Potremmo sintetizzare tutto così. Io dico spesso ai miei studenti: “se noi facciamo qualcosa di bello, probabilmente l’abbiamo fatto anche giusto. Se facciamo qualcosa di brutto sicuramente l’abbiamo fatto sbagliato”. Se proviamo a recuperare la bellezza, ragioniamo su ciò che è fragile sul nostro territorio. Siamo in un contesto orografico difficile. Cosa significa per una popolazione che invecchia? C’è bisogno di azioni importanti, forti, affinché il territorio sia fruibile a lungo e bene. C’è bisogno sia di interventi sulla costa sia sull’entroterra».
La formazione dei progettisti di domani è orientata verso i temi dell’intervento per risolvere i problemi di fragilità: terre che franano, edifici da riqualificare in funzione di persone che abbiano la possibilità di vivere bene o attrarre chi vuole venire a vivere in Liguria. Un mix di azioni urbanistiche, di pianificazione, di comunicazione (pensiamo a quando si entra in un ufficio pubblico e spesso non si trovano le indicazioni per orientarsi, l’intervento agisce sulla qualità dei luoghi).
Il Dad nella Scuola Politecnica
Un matrimonio celebrato su spinta della riforma della struttura dell’Ateneo genovese, originato dalle riforme del sistema universitario. Si tratta di un ritorno al passato, visto che Architettura a Genova nasce da una “costola” di Ingegneria. Una volta si studiava un biennio, poi si concludeva a Milano o Firenze. Successivamente Architettura a Genova è diventata un percorso completo e con ingegneria si sono mantenuti molti rapporti di collaborazione soprattutto sugli aspetti legati alla ricerca, in cui molti settori sono affini, ma anche complementari. «Soprattutto oggi, in cui la ricerca non è monodisciplinare e monotematica e ha bisogno di approcci diversi, di convergenza, di sapere, diventa una ricchezza straordinaria far parte della Scuola», sostiene Casiddu.
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Cercare un’integrazione comunque non è facilissimo: «C’è bisogno di buona volontà, nel nostro Ateneo la logistica non aiuta. Fossimo un campus in cui fisicamente si vive nello stesso luogo, sarebbe tutto molto più semplice. Noi siamo collocati in quella che i colleghi definiscono la sede più bella d’Italia sia per il contesto sia per l’edificio. Sappiamo che Ingegneria andrà in un luogo ancora più lontano, agli Erzelli, per cui i collegamenti andranno cercati con ancora più vigore».
Soprattutto nella laurea triennale c’è una stretta collaborazione tra ingegneria edile e la formazione di primo livello dell’architettura. Allo stesso modo accade nel design nautico: la concentrazione nel polo della Spezia favorisce: «Noi curiamo gli aspetti funzionali, ergonomici ed estetici, ma poi la barca deve navigare».