Negli Usa, alla flessione inattesa degli ordini di beni durevoli (effettivo ex-trasporti -0,3% vs. consensus +0,4% e precedente +0,7%) si è contrapposta l’accelerazione dell’indice di fiducia dei consumatori del Conference Board (effettivo di febbraio 130,8 vs. precedente 125,4); ottimo l’indicatore anticipatore Ism del comparto manifatturiero (effettivo 60,8 massimo da dicembre 1987 vs. precedente 59,1).
In Eurozona, l’indice di fiducia di consumatori e imprese della Commissione Europea (effettivo 114,1 vs. precedente 114,7) ha confermato il quadro di fisiologico rallentamento emerso anche nei più recenti dati macro-economici. In linea con le attese degli analisti il tasso annuo d’inflazione al consumo (effettivo a +1,2% vs. precedente a +1,3%), con il dato “di fondo” (“core”) sempre fermo all’1,0% e ben distante dal target della Banca Centrale Europea stabilmente prossimo al 2%.
I segnali di fisiologico rallentamento delle principali economie dell’Eurozona, insieme al clima d’incertezza che ha comprensibilmente preceduto le elezioni politiche italiane, hanno (per ora) sospeso il recente rialzo dei tassi dei titoli governativi decennali, sia statunitensi (per il Treasury bond 2,85-2,90%) che tedeschi (per il bund 0,60-0,66%) e italiani (Btp più nervoso in area 2,00-2,15%).
L’annuncio da parte del presidente Usa Donald Trump (per altro atteso almeno da un paio di settimane) di possibili provvedimenti protezionistici a tutela dell’industria interna dell’acciaio (mediante l’introduzione di dazi tariffari sulle produzioni estere, per esempio, europee e cinesi …) ha riacceso a metà della scorsa settimana i timori di nuove guerre commerciali e provocato ribassi sui principali listini azionari internazionali (i principali benchmark di Bloomberg indicano per l’area euro -3,28%, per l’Italia -3,29%, per gli Usa-2.10%, per il Giappone -2,10%, per gli emergenti -2,81%), con i comparti material e auto tra quelli più colpiti, ed un conseguente moderato rialzo degli indici di volatilità implicita, (VIX sull’S&P500 in area 18,30-20,50% nella versione “spot”/”a pronti” e in area 17,80-18,50% nella versione “future”/“a termine”).
Sui mercati valutari, nervoso e laterale il cambio euro-dollaro statunitense, tra 1,2185 e 1,2335; nervosa anche la sterlina inglese rispetto all’euro, riavvicinatosi a quota 0,89, a seguito delle rinnovate tensioni tra governo inglese ed istituzioni europee sulle regole e modalità di uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea; più fermo, invece, il cambio euro/franco svizzero poco sopra area 1,15; sempre poco brillante il cambio del dollaro statunitense verso lo yen giapponese in area 106-107.
Sul mercato delle materie prime, poco mossi l’oro, a quota 1.320 $/oncia, e i prezzi future per consegna aprile del petrolio del mar del Nord (Brent), sopra i 65 $/barile, e del petrolio texano (WTI), sopra i 62.
Sul fronte della politica europea, è finalmente arrivato il via libera dei Social-Democratici tedeschi della SPD al governo di larga coalizione con i Cristiano-Democratici della CDU, sempre a guida Angela Merkel (per la quarta volta consecutiva ovvero da 16 anni), pronto a entrare nel pieno dei poteri entro metà marzo ovvero quasi sei mesi dopo le elezioni politiche del 24 settembre scorso.
Contemporaneamente all’annuncio ufficiale tedesco, si aprivano domenica 4/3 le urne per le elezioni politiche italiane, il cui esito finale ha confermato le attese di una situazione di grande incertezza ovvero, nel linguaggio prevalente tra le testate anglo-sassoni, di “hung Parliament” (“Parlamento appeso”): a una rilevante affermazione dei partiti e movimenti politici di prevalente orientamento “populista” o “sovranista” (Movimento Cinque Stelle, Lega e Fratelli d’Italia, notoriamente avversi, per gran parte dei rispettivi programmi, all’attuale modello europeo d’integrazione economica, finanziaria e sociale), si è contrapposta la clamorosa débacle della principale forza politica del governo uscente (il PD).
Mancano, però, i numeri necessari e sufficienti per costituire una maggioranza stabile e duratura di governo e, allo stato attuale, si prospettano numerosi confronti politici interni alle varie forze politiche, ricorrenti colloqui istituzionali e tempi tutt’altro che veloci per il raggiungimento di un accordo di governo, con il ruolo certamente determinante del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, al quale è stata rinnovata la fiducia, in questo delicato passaggio politico italiano, da parte degli esponenti delle principali istituzioni europee. Il 23 marzo si riuniranno le due Camere e il 25 marzo si terrà, di fatto, la prima vera prova di dialogo politico fra le parti con la nomina dei rispettivi presidenti; dopodiché, il presidente della Repubblica affiderà l’incarico di formare il governo e, da lì in poi, gli analisti e i mercati finanziari cercheranno di decifrare le concrete possibilità di successo oppure di nuovi ulteriori incarichi, fino alla più incerta eventualità di un ritorno al voto.
Che cosa guardiamo questa settimana
Dagli Usa, sono attesi venerdì 9/3 dal Dipartimento del Lavoro il tasso di disoccupazione e il numero dei nuovi occupati e salari del comparto non agricolo (consensus a 205.000 unità vs. le 200.000 precedenti) e sull’Ism non manifatturiero.
Si riuniranno la Banca Centrale Europea (8/3) e la Banca centrale giapponese (9/3).
In Cina, il Congresso nazionale dei rappresentanti del popolo, appena iniziato, ha ufficializzato l’obiettivo di una crescita del PIL per il 2018 a +6,5%.
Infine, Deutsche Post, Prada, Rolls-Royce e Telecom Italia annunceranno i rispettivi risultati societari trimestrali.
Strategia
I solidi fondamentali in tutte le principali aree geografiche possono continuare a supportare la crescita globale. Sui mercati azionari, gli esperti preferiscono rimanere “neutrali”, in quanto non possiamo escludere per le prossime settimane ulteriori episodi di volatilità. Dal punto di vista dell’analisi tecnica, al fine di una ripresa più duratura e affidabile dei principali indici azionari, occorrerebbe un nuovo test di tenuta dei minimi di inizio febbraio.
Sui mercati obbligazionari, considerato che i tassi d’interesse, ormai entrati in fase di normalizzazione, tenderanno ad aumentare, suggeriamo in generale scadenze molto brevi. La velocità dei rialzi dei rendimenti, di fatto, influenzerà anche il livello della volatilità sui mercati azionari, oltre che, naturalmente su quelli obbligazionari.
Sui mercati valutari, gli esperti rimangono in generale prudenti e attendisti, a causa dell’aumentata complessità delle variabili, soprattutto, in ambito politico (sia statunitense che europeo) e geo-politico.