Per la seconda settimana consecutiva, ondata di vendite sul comparto obbligazionario, su cui si sono allungate le ombre di politiche monetarie meno accomodanti delle banche centrali statunitense (Fed), europea (Bce), canadese e inglese: l’aumento dei tassi sui governativi decennali sia emergenti, sia sviluppati (in poco meno di una settimana, Btp italiano da area 1,90% a oltre il 2,30%, bund tedesco da 0,25% a 0,58%, Treasury statunitense da 2,15% a 2,37%), con conseguente diminuzione dei corsi obbligazionari (soprattutto, a media e a lunga scadenza), ha innervosito anche i mercati azionari (volatilità in aumento), che, però, nel complesso, sono riusciti a chiudere la settimana in positivo, grazie a dati economici di conferma del recupero congiunturale in Eurozona, Stati Uniti e Asia.
Si sono ben distinti i mercati azionari europei e italiano, in particolare, grazie al buon andamento del comparto finanziario (banche), mentre più opachi sono stati i mercati azionari emergenti, a causa della persistente debolezza del comparto materie prime e delle attese di irrigidimento delle politiche monetarie delle banche centrali a livello globale per i prossimi mesi. In ambito obbligazioni, hanno tenuto meglio quelle societarie “high yield”, soprattutto, europee.
Continua a preoccupare l’andamento controverso dei prezzi del petrolio, ancora volatili, nonostante l’ultima contrazione delle scorte statunitensi di prodotti raffinati: l’impressione maggiormente diffusa tra gli analisti è che gli sforzi di riduzione della produzione di barili seguenti l’accordo Opec di novembre 2016, rinnovato a maggio scorso fino a marzo 2018, di fatto, sono in parte vanificati dall’aumento (autorizzato) della produzione di alcuni Paesi del cartello (Libia e Nigeria), ma anche non Opec, come Russia e, soprattutto, Stati Uniti, dove i produttori di shale oil, grazie a tecnologie più innovative e meno onerose, sono tornati a frantumare rocce di scisto a pieno ritmo.
La debolezza dei prezzi del petrolio sarà da monitorare attentamente nelle prossime settimane e, in particolare, la tenuta dei 40 dollari al barile per il contratto Wti di New York, per non indebolire il già poco brillante comparto dei titoli petroliferi e, soprattutto, non ridimensionare ancora le aspettative d’inflazione per i prossimi mesi, con il rischio di ulteriore allontanamento dai target d’inflazione delle banche centrali.
Sui mercati valutari, dopo i forti ribassi delle ultime due settimane, il dollar index ovvero il cambio medio del dollaro statunitense nei confronti delle 10 divise delle economie più importanti a livello globale (G10) ha tentato un recupero (bene il cambio dollaro contro yen), che, però, non è riuscito contro l’euro, che ha rivisto i massimi da oltre un anno già visti due settimane fa a quota 1,144, per poi ripiegare leggermente, rimanendo, però, sempre in prossimità di area 1,14.
Settimana ricca di eventi “market mover”, soprattutto, dagli Stati Uniti. La presidente della Fed Janet Yellen terrà la propria testimonianza semestrale al Congresso sullo stato dell’economia (partendo dal consueto rapporto “beige book”), da cui gli operatori auspicano di avere ulteriori dettagli sulla futura politica monetaria (aumenti dei tassi di riferimento e data di avvio del programma di “tapering”).
A livello di dati economici, le vendite al dettaglio di giugno (previste in recupero rispetto alla contrazione di maggio) e il report sul credito al consumo daranno indicazioni più aggiornate sullo stato dei consumi, dopo il dato debole di venerdì scorso sul fronte della crescita dei salari; i dati sull’andamento dei prezzi alla produzione e al consumo, sempre di giugno, ci permetteranno di verificare un’inflazione ancora sotto il target del 2% fissato dalla Fed (anche a causa della persistente debolezza dei prezzi del comparto energetico).
Infine, in arrivo i risultati trimestrali del secondo trimestre di molti dei principali gruppi bancari (JPMorgan, Wells Fargo e Citigroup)
Nel medio termine (12/18 mesi), il contesto economico e finanziario globale di moderata crescita economica, tassi d’interesse contenuti, inflazione benigna e bassa volatilità, permane favorevole alle classi di attivo rischiose (azioni, materie prime, obbligazioni “high yield” ed “emergenti”), per il cui investimento gli esperti suggeriscono “piani programmati e periodici di accumulo”.
Nel breve termine, per i mesi estivi (luglio/settembre), gli esperti continuano a mantenere un approccio più tattico e prudente, non escludendo un risveglio della volatilità con improvvisi “sell-off” di obbligazioni governative (soprattutto, dove risulta maggiore l’incertezza dei contenuti delle comunicazioni delle banche centrali sulle future misure di politica monetaria), azioni (anche europee) e obbligazioni “high yield” ed “emergenti” (magari, a seguito di un “event risk” inatteso, per esempio, “politico” o “geopolitico”).
Da considerare, visto il recente marcato e rapido apprezzamento dell’euro e un momentum di crescita dell’Eurozona sorprendentemente robusto, ma difficilmente replicabile nei prossimi mesi, un’adeguata diversificazione valutaria per i portafogli sotto-pesati di divise alternative all’euro.
Da valutare, infine, per gli investitori più speculativi, viste i recenti cali di prezzo e la previsione di una domanda globale in nuova accelerazione nel secondo semestre, un’esposizione al comparto materie prime.