Si chiama CallForGenoa2050 ed è una piattaforma informatica aperta per raccogliere le proposte di trasformazione di spazi urbani rimaste incompiute a Genova, per stimolare nuovi progetti. La presentazione al termine di una due giorni (il 31 marzo e oggi, 7 aprile) di riflessione sulla città a cura della Fondazione dell’Ordine degli Architetti di Genova e dell’Ordine stesso.
Se n’è occupata la commissione lavori pubblici e urbanistica dell’Ordine degli Architetti: «Per ora si tratta di un progetto aperto a integrazioni, disponibile sino al 14 maggio sul sito Partecipa Digitale dell’Associazione Open Genova – spiega Paolo Raffetto, presidente dell’Ordine della Provincia di Genova – dopo verrà sviluppata e presentata alla cittadinanza prima dell’estate».
L’obiettivo è non perdere materiale prezioso di architetti, cittadini, enti, di chi in sostanza ha lavorato su spazi ed edifici che non hanno avuto poi la trasformazione auspicata: «Vorremmo dare continuità a uno sforzo sia di analisi sia progettuale – puntualizza Raffetto -un patrimonio per tutti, anche per “vendere” una Genova diversa su un mercato regionale italiano e globale».
L’Ordine di impegnerà a caricare i progetti dal dopoguerra a oggi che non hanno più un singolo proponente, ma sono patrimonio acquisito, ma ognuno poi potrà contribuire in maniera autonoma. Non mancheranno tutti gli ultimi concorsi sulla città come il Blueprint, quelli per via XX settembre, la passeggiata Quinto-Nervi: «Crediamo che i presupposti di tutti progetti, pur da riattualizzare, siano ancora utili».
Le due giornate di riflessione sono state intitolate “Genova 2050. Dal passato al presente, per costruire il futuro” e se nella prima giornata si è parlato dei 40 anni di cambiamenti dagli anni 70 a oggi, nella seconda il dibattito si è acceso sui vuoti urbani e gli scenari futuri: «L’obiettivo del 2050 può sembrare fantascientifico – dice Raffetto – ma è necessario avere una visione ma per pianificare anche il domani, senza questa prospettiva non riusciamo neanche a pensare al 2020».
Di visione di città ha anche parlato Luca Borzani, presidente della Fondazione Palazzo Ducale, uno degli ospiti della tavola rotonda: «Gli effetti della globalizzazione si misurano nelle città, non negli Stati, la modernità a volte non è sinonimo di progresso, a volte è distruttiva, inoltre nessuno sta pensando all’inclusione della nuova cittadinanza. Genova è una città esangue, anche se con potenzialità. Oggi si parla di spazi, edifici, ma non si parla più delle persone, la società civile sembra disinteressata a percorsi che non siano individuali».
Manca una visione, un disegno unitario. Borzani fa due esempi: «Nel 1992 a Fiumara si è scelto di fare un centro commerciale invece che trasferirvi la facoltà di Ingegneria, questo ha provocato la caduta del terzo pilastro su cui poggiava Sampierdarena, il commercio, dopo che industria e artigianato erano già morti. Oggi Sampierdarena ha problemi perché è rimasto solo un quartiere residenziale e i problemi non sono causati dall’immigrazione, ma dalla mancanza di lavoro e identità di quartiere». Una potenziale incompiuta, secondo Borzani, è il centro storico: «La riqualificazione poteva renderlo attrattivo come una nuova fabbrica, ma il processo ormai è fermo. Bisogna avere un piano, poi si può lavorare sul singolo vicolo».
Il rischio per Borzani è un mugugno fine a se stesso, che dà spazio al populismo.
Anche Massimo Giacchetta della Camera di Commercio di Genova, concorda che occorre uno sforzo collettivo per invertire il declino: «Le professioni, come gli architetti, gli ingegneri, sono classe dirigente, non solo la politica. Cerchiamo di tornare a fare un servizio per la collettività. A Genova non si può prescindere dal mare, che per anni abbiamo visto separato dalla città e invece potrebbe essere la nostra Pianura Padana».