“La concorrenza, in Italia, viene quasi sempre accusata di essere ‘sleale’, a riprova della mancanza di comprensione degli effetti benefici sull’economia nel suo insieme generati dalla libertà economica e dall’innovazione”. Lo afferma Giacomo Lev Mannheimer nel nuovo focus dell’Istituto Bruno Leoni “Gli autobus low cost e la concorrenza ‘leale'”, che riportiamo integralmente.
Si è parlato molto, negli ultimi giorni, della norma anti-Flixbus: un emendamento al decreto Milleproroghe, presentato al Senato, che impedirebbe alla piattaforma di autobus low cost di operare in Italia, limitando il trasporto interregionale con autobus alle società che esercitino come “attività principale” il trasporto di passeggeri. Tale norma escluderebbe Flixbus, che invece non possiede autobus e non ha autisti alle proprie dipendenze, ma mette in contatto partner locali e clienti con la sua piattaforma web.
Nel nuovo Focus dell’Istituto Bruno Leoni, “Gli autobus low cost e la concorrenza “leale”” , Giacomo Lev Mannheimer ricostruisce lo scenario giuridico ed economico in cui operano le società di autobus low cost, dalla liberalizzazione del trasporto interregionale su gomma a oggi, evidenziando i rischi e le criticità che la norma anti-Flixbus comporterebbe.
Il governo, su richiesta di diversi gruppi parlamentari, tra cui anche lo stesso che aveva presentato l’emendamento al Senato, si è impegnato ad abrogare la norma prima che questa diventi efficace nei confronti di Flixbus e delle società omologhe. Tuttavia, a prescindere dal destino di questa specifica norma, quanto è accaduto mette in luce due problemi di fondo, che prima o poi andranno risolti.
Il primo, scrive Mannheimer, è che “la politica, in tutta Europa, è complice dell’incertezza normativa, per non avere mai trovato il coraggio di prendere atto che le modalità di offerta dei beni e dei servizi, e i beni e i servizi stessi, cambiano nel tempo, e aver spesso giocato invece in difesa di uno status quo che non trova certo nella tutela dei consumatori la sua ragione d’essere”. Il secondo, conclude l’autore del Focus, è che la concorrenza, in Italia, viene quasi sempre accusata di essere “sleale”, a riprova della mancanza di comprensione degli effetti benefici sull’economia nel suo insieme generati dalla libertà economica e dall’innovazione.
Il Focus “Gli autobus low cost e la concorrenza “leale”” di Giacomo Lev Mannheimer è liberamente disponibile nel sito dell’IBL.
La liberalizzazione del trasporto interregionale su gomma
A fine 2005, il governo Berlusconi III liberalizzò i servizi di trasporto pubblico interregionale su gomma. Fino a quel momento, tutti coloro che volevano trasportare persone da una regione all’altra su autobus “di linea” dovevano chiedere e ottenere una concessione amministrativa da parte del Ministero dei Trasporti, con la conseguenza che ogni tratta era servita in modo esclusivo da un solo operatore. Il decreto legislativo 285/2005 riformò questo sistema, sostituendo il regime delle concessioni con uno basato su autorizzazioni di durata quinquennale. A differenza delle concessioni, le autorizzazioni non hanno carattere esclusivo, e pertanto consentono a tutte le imprese autorizzate di offrire il medesimo servizio in concorrenza fra loro.
Per consentire alle aziende concessionarie di adattare la propria offerta al nuovo regime concorrenziale, il medesimo decreto fissò un periodo transitorio di otto anni, stabilendo che la conversione delle concessioni in essere in autorizzazioni sarebbe avvenuta soltanto a partire dal primo gennaio 2014. Così facendo, il legislatore diede tempo e modo ai concessionari di innovare i loro modelli di business (dalla struttura societaria al parco mezzi, dalla razionalizzazione dei costi alla segmentazione dell’offerta).
Nel frattempo alcuni provvedimenti dell’Unione Europea diedero il via alla piena liberalizzazione del settore in tutti i paesi membri. Per una volta l’Italia è stata apripista del processo di liberalizzazione, ma la lunga durata del periodo transitorio ha fatto sì che i primi effetti concreti dell’apertura al mercato si siano manifestati in altri Paesi.
Nel 2013 è stato liberalizzato il trasporto su autobus a lunga percorrenza in Germania, con risultati che hanno registrato il raddoppio dei passeggeri (da 8 a 16 milioni) e indotto in crescita del 93% nel primo anno, con cifre in diminuzione soltanto graduale in quelli successivi.2 A fare la parte del leone, nel mercato tedesco, è la bavarese Flixbus, una startup fondata a Monaco da tre giovani imprenditori, che in pochi mesi hanno eroso le quote di mercato della ex monopolista Berlinlinienbus (controllata da Deutsche Bahn, la società ferroviaria tedesca di proprietà dello Stato) fino a coprirne l’81%.
Nel 2015 è stata la volta della Francia, che per volontà dell’allora ministro dell’economia Emmanuel Macron ha aperto alla concorrenza un settore prima quasi inespugnabile per le società private. I risultati non hanno tardato ad arrivare: secondo France Stratégie, l’organismo consultivo del primo ministro francese, soltanto nei primi sei mesi successivi alla liberalizzazione sono stati creati 1.300 posti di lavoro e trasportati un milione e 500 mila passeggeri.
Il mercato italiano e il modello Flixbus
In Italia, la prima compagnia a farsi avanti è stata la scozzese Megabus, che a giugno 2014 ha avviato i collegamenti tra 13 città italiane con tariffe a partire da un euro a tratta. Due anni fa, Megabus era il leader europeo del settore, con oltre 15 milioni di passeggeri trasportati ogni anno e il 60% delle quote di mercato dell’Unione Europea. Un anno dopo, a Megabus si è affiancata la tedesca Flixbus, che con un modello di business innovativo ha conquistato fette sempre maggiori del mercato italiano ed europeo, arrivando ad acquisire le attività del concorrente e ponendosi così come colosso europeo degli autobus low cost.
Sin dal suo arrivo in Italia, meno di due anni fa, l’azienda bavarese ha investito molto sul nostro Paese: bisogna infatti considerare che la domanda di trasporto pubblico su gomma in Italia è assai elevata, in particolare al Sud dove la carenza e i prezzi elevati di trasporti ferroviari e collegamenti aerei ha reso il trasporto su gomma un mercato ricco di opportunità.4 Anche per questo, negli ultimi anni la liberalizzazione del settore ha attirato l’attenzione di molti operatori internazionali, come abbiamo visto, e dato luogo a un vero e proprio boom del settore. Basti pensare che in due anni, dal 2013 al 2015, sono aumentate le tratte servite (del 33%), la frequenza dei servizi (del 38%), i modelli di offerta (intercity, notturni, ecc.), e i segmenti tariffari.
Il modello di Flixbus ricalca, per certi versi, quello di Uber: non possiede autobus e non ha autisti alle proprie dipendenze, ma si ‘limita’ a offrire una biglietteria online unificata a un sempre più vasto network di aziende di trasporto locali, le quali investono nell’acquisto degli autobus in cambio della pianificazione delle linee, dei servizi di marketing, della visibilità e del servizio di vendita garantiti dall’azienda madre. Tutti gli autobus di Flixbus hanno livrea verde, Wi-Fi a bordo, aria condizionata, toilette e sedili più comodi dei normali autobus; il tutto a prezzi ultra competitivi, anche di un euro a tratta o poco più.
Gli autobus low cost e la concorrenza “leale”
In meno di due anni, Flixbus ha trasportato 3 milioni di passeggeri italiani e ottenuto 70 autorizzazioni dal ministero dei Trasporti, di fatto dando vita a un mercato prima quasi inesistente al Nord e guadagnando sempre più importanti segmenti al Sud, facendo concorrenza ad altre compagnie di autobus, ma anche a servizi ferroviari e di car pooling. Il successo, tuttavia, attira invidie e malumori, e i problemi, per Flixbus, non hanno tardato ad arrivare.
Le accuse di Anav e il parere dell’Antitrust
Sin dal suo ingresso nel mercato del trasporto interregionale su gomma, e specialmente dopo l’acquisizione della concorrente Megabus, l’Anav, che riunisce le imprese del settore iscritte a Confindustria, ha accusato Flixbus di non rispettare le ‘regole del gioco’, mettendo in atto una politica tariffaria e un modello di business insostenibili per qualunque altra impresa del settore.
Secondo il suo presidente, Giuseppe Vinella, amministratore di due delle maggiori concorrenti di Flixbus, l’azienda tedesca starebbe “destabilizzando un mercato non in crescita”, praticando prezzi sottocosto pagati da autisti e imprese partner locali, su cui ricadrebbe interamente il rischio d’impresa. Ciò sarebbe reso possibile, secondo Vinella, dal fatto che Flixbus non sarebbe “un operatore”, bensì semplicemente “una software house, un portale”, cui pertanto non dovrebbero essere accordate le autorizzazioni ministeriali necessarie per esercitare il servizio di autotrasporto.
Nel dicembre 2015, Vinella ha presentato un ricorso al Tar e un esposto al ministero dei trasporti. Quest’ultimo ha inoltrato la questione all’Antitrust, chiedendo un parere sulla politica tariffaria attuata da Flixbus. Secondo l’Anav, infatti, l’azienda bavarese non applicherebbe una tariffa fissa, ma un prezzo variabile in base al giorno del viaggio e alla disponibilità dei posti. Tale comportamento, secondo la ricorrente, creerebbe disagi concorrenziali alle imprese concorrenti, che invece applicano severamente le tariffe pubblicate sulla loro licenza.
Secondo l’Agcm, la normativa vigente prevede esclusivamente che i prezzi siano prestabiliti e, secondo quanto affermato dallo stesso MIT, nell’autorizzazione sono indicati i prezzi massimi nonché lo sconto massimo applicabile. Nulla è invece disposto dalla normativa con riguardo all’articolazione delle politiche di prezzo da parte degli operatori, i quali sono liberi di fissare il livello e la frequenza degli sconti e di stabilire prezzi diversi in funzione dei giorni o del fattore di riempimento dei mezzi o di altre variabili. Infatti, aggiunge l’Autorità, la metodologia applicata da Flixbus appare ispirata ad un principio di gestione dinamica delle tariffe orientata alla massimizzazione dei ricavi, che è lo stesso principio su cui si fondano le politiche di prezzo adottate nella generalitàdei mercati dei servizi di trasporto persone liberalizzati, o anche in diversi mercati legati all’attivitàturistica.
Pertanto, ogni vincolo normativo o regolamentare alla libertà tariffaria sarebbe in contrasto con le norme a tutela della concorrenza, a meno che politiche tariffarie simili fossero praticate da un operatore in posizione dominante – cosa che, tuttavia, non accade nel caso di specie.
L’emendamento al decreto Milleproroghe
La legge di bilancio del 2016 ha istituito un fondo finalizzato all’acquisto, alla riqualificazione elettrica e al noleggio di mezzi di trasporto pubblico di nuova generazione, che consentano il raggiungimento degli standard europei per quanto riguarda accessibilità per persone a mobilità ridotta e sostenibilità ambientale.
La legge di bilancio del 2017, dal canto suo, ha incrementato le risorse a disposizione di tale fondo, istituendo contestualmente un Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile, destinato al rinnovo del parco autobus dei servizi di trasporto pubblico locale e regionale, da approvare con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri entro il 30 giugno 2017.9
Pochi mesi più avanti, il termine stabilito per l’approvazione del decreto è stato rinviato dal decreto Milleproroghe al 31 dicembre 2017. Durante i lavori al Senato, tuttavia, quattro parlamentari hanno proposto un emendamento alla norma di proroga di detto termine, rinviandolo ulteriormente sino al 31 gennaio 2018.
Si badi bene che tale modifica è stata inserita in un atto normativo che dovrebbe avere l’esclusivo scopo di prorogare termini di legge che il Parlamento ritiene di dover rinviare. Invece, il medesimo emendamento prosegue stabilendo che i soggetti autorizzati allo svolgimento di servizi automobilistici regionali di competenza statale si adeguano alle seguenti previsioni entro 90 giorni dall’entrata in vigore della presente legge, dandone comunicazione al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti.
Il Ministero effettua le verifiche entro 90 giorni dalla comunicazione anzidetta e, in caso di mancato adeguamento, dichiara la decadenza delle autorizzazioni. A tal fine, al comma 3 dell’articolo 3, del decreto legislativo 21 novembre 2005, n. 285, sono aggiunte in fine le seguenti parole: “Nell’ambito dei servizi di linea interregionale di competenza statale per riunioni di imprese al fine del presente comma si intende il raggruppamento verticale o orizzontale. Per raggruppamento di tipo verticale si intende un raggruppamento di operatore economici il cui mandatario esegue le attività principali di trasporto di passeggeri su strada, i mandanti quelle indicate come secondarie; per raggruppamento orizzontale quello in cui gli operatori economici eseguono il medesimo tipo di prestazione. Gli accertamenti sulla sussistenza delle condizioni di sicurezza e regolarità dei servizi ai sensi del comma 2, lettera g), relativamente all’ubicazione delle aree di fermata, sono validi fin quando non sia accertato il venir meno delle condizioni di sicurezza.”
In altre parole, nel rinviare l’attuazione del Piano strategico nazionale della mobilità sostenibile – che, vale la pena sottolinearlo, con la definizione dei criteri necessari allo svolgimento
dell’attività di trasporto interregionale su gomma non ha nulla a che vedere – l’emendamento ha aggiunto all’elenco di tali criteri lo svolgimento del trasporto di passeggeri su strada come “attività principale”. Il significato potrebbe apparire oscuro, ma tra le righe nasconde lo scopo di estromettere dal mercato società come Flixbus, la quale, non possedendo autobus di proprietà né contando su autisti alle proprie dipendenze, esegue come attività principale non il trasporto di passeggeri su strada, ma la gestione di un portale web e di un insieme di contratti con operatori locali che, questi sì, potrebbero casomai ottenere le autorizzazioni per lo svolgimento del servizio.
Il testo emendato è stato definitivamente licenziato dal Senato, impegnando le società interessate – compresa Flixbus – ad adeguarsi al provvedimento entro 90 giorni. Tuttavia, la Camera dei Deputati ha approvato tre ordini del giorno – presentati da tre distinti gruppi parlamentari, compreso quello che aveva proposto l’emendamento al Senato – che impegnano il governo ad abrogare la norma con il primo provvedimento utile, entro i 90 giorni necessari a scongiurare l’ipotesi che la norma dispieghi i propri effetti, bloccando l’attività di Flixbus e di società omologhe. Se ciò non avvenisse, il MIT dovrebbe ritirare le autorizzazioni assegnate a Flixbus entro un termine massimo di 180 giorni.
Criticità nel metodo, criticità nel merito
L’emendamento ‘anti-Flixbus’ è censurabile, in primo luogo, per ragioni di metodo. Come già anticipato, infatti, il decreto Milleproroghe è uno strumento legislativo, nato nel 2005 e da allora divenuto una prassi dell’attività parlamentare, che ha il solo fine di prorogare termini in scadenza, e non quello di modificare norme sostanziali. Tale ricostruzione, peraltro, è stata rilevata anche dalla Corte costituzionale, secondo cui sebbene attenga ad ambiti materiali diversi ed eterogenei, il decreto Milleproroghe deve obbedire alla ratio unitaria di intervenire con urgenza sulla scadenza di termini il cui decorso sarebbe dannoso per interessi ritenuti rilevanti dal Governo e dal Parlamento, o di incidere su situazioni esistenti che richiedono interventi regolatori di natura temporale. Al contrario, secondo la Corte, del tutto estranea a tali interventi è la disciplina ‘a regime’ di materie o settori di materie rispetto alle quali non può valere il medesimo presupposto della necessità temporale e che possono quindi essere oggetto del normale esercizio del potere di iniziativa legislativa.
Inoltre, l’emendamento presentato al Senato non rispetta la dovuta esistenza di un “nesso di interrelazione funzionale” tra un decreto legge, come è il Milleproroghe, e la rispettiva legge di conversione, caratterizzata da un procedimento di approvazione parlamentare diverso da quello ordinario. Tale coerenza, secondo la Consulta, è precisamente funzionale a scongiurare l’eventualità di interventi normativi che, come quello nel caso di specie, nascondano all’interno di un emendamento la precisa volontà di effettuare variazioni sostanziali a norme che non siano oggetto principale del decreto legge.
Infine, ci si potrebbe chiedere quale sia l’effetto di misure così repentine e rischiose per il business di aziende straniere sugli investimenti esteri nel nostro Paese, di cui la stabilità normativa e regolamentare è una delle leve principali.
A prescindere dagli aspetti formali e dal destino dello specifico emendamento in questione, che con ogni probabilità sarà abrogato nelle prossime settimane, non si può che esprimere rammarico di fronte a un Parlamento così determinato a fare di qualunque opera di liberalizzazione una tela di Penelope sempre a rischio di ritrovarsi disfatta. Per giustificare la difesa della libertà del mercato di trasporto interregionale su gomma basterebbe rilevare lo straordinario apprezzamento da parte dei consumatori per i servizi offerti da aziende come Flixbus in tutta Europa negli ultimi anni. A ben vedere, gli unici soggetti che sembrerebbero avere bisogno di “tutele”, nel mercato in questione, sono gli incumbent, abituati a operare in un mercato sostanzialmente immobile, in cui “concorrenza” significava semplicemente concordare prezzi e ripartizione geografica delle tratte con omologhe società, anch’esse parte dell’Anav.
Del resto, le liberalizzazioni servono proprio a questo: a eliminare gli ostacoli – spesso superflui – allo scambio di beni e servizi che minano la libertà individuale, frenano la crescita economica e mantengono in vita rendite e privilegi. L’Italia, in particolare, può trarre grande giovamento dalle liberalizzazioni: non solo in termini economici, ma anche dal punto di vista dell’unificazione dei mercati europei. Inoltre, le liberalizzazioni sono riforme a costo zero: rimuovendo barriere e privilegi, non incidono sulla spesa pubblica, ma, al contrario, possono produrre un aumento del Pil e, conseguentemente, del gettito fiscale.
La libertà di offrire prodotti e servizi ai consumatori senza ostacoli legali e regolamentari ulteriori al dovuto rispetto di alcuni criteri minimi di sicurezza e tutela della qualità ha, in effetti, un forte potenziale ‘distruttivo’: spinge le aziende a ridurre i costi e a migliorare i servizi, a tutela, questa volta sì, del consumatore. L’innovazione tecnologica ha, specie negli ultimi anni, visibilmente contribuito proprio a migliorare i servizi al consumatore. Basti pensare anche solo alla facilità di reperire informazioni o concludere transazioni: due attività sulle quali si basa il modello di impresa di Flixbus, ma anche di Uber, Airbnb, Booking. Non rendersi conto che questo modello commerciale è inarrestabile e cercare di arginarlo a colpi di emendamenti di breve respiro è sintomatico da un lato dell’arretratezza del nostro legislatore, dall’altro del suo collimare con le istanze di quanti hanno paura di mettersi in gioco, gli unici che, in fin dei conti, possono ritenersi tutelati da norme come quelle anti Flixbus, anti Uber, anti Airbnb, anti Booking…
Conclusioni
Sono due le questioni di fondo attorno a questa vicenda cui la politica dovrà, prima o poi, fornire una risposta.
La prima è una questione di tipo legale. Le norme di tutti gli ordinamenti dell’Europa continentale distinguono, in modo netto ed esaustivo, le compagnie di trasporti e le piattaforme digitali. Le prime, ovviamente, sono state normate e disciplinate molto prima delle seconde, e proprio da questa distanza temporale e culturale tra le norme nascono i paradossi, talvolta grotteschi, generati dall’ingresso nel mercato del trasporto pubblico di aziende come Flixbus o Uber, che hanno caratteristiche dell’una e dell’altra tipologia di offerta.
Una causa per concorrenza sleale proposta da un sindacato di tassisti di Barcellona contro Uber è recentemente arrivata di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, che dovrebbe emettere la sentenza nelle prossime settimane.13 Si tratterà, in ogni caso, di un precedente giurisprudenziale dirimente anche per il futuro di Flixbus e della vicenda oggetto del presente studio, in quanto la Corte dovrà stabilire una volta per tutte se Uber sia una società di trasporti o una semplice piattaforma digitale, con tutti gli effetti che ne conseguono per tutte le aziende che si trovano in una situazione simile. Ma la sentenza della Corte di Giustizia svela anche come la politica, in tutta Europa, sia complice dell’incertezza normativa, per non avere mai trovato il coraggio di prendere atto che le modalità di offerta dei beni e dei servizi, e i beni e i servizi stessi, cambiano nel tempo, e aver spesso giocato invece in difesa di uno status quo che non trova certo nella tutela dei consumatori la sua ragione d’essere.
La seconda questione è di carattere più politico, e riguarda le ragioni sottostanti le proteste dell’Anav contro il servizio offerto da Flixbus. Tali ragioni, così come in altri casi di luddismo del XXI secolo, sono spesso riassunte in una presunta “tutela dei consumatori”, anche se questi ultimi, in una società libera, dovrebbero auspicabilmente essere lasciati liberi di “tutelarsi da sé”, scegliendo l’opzione a loro più gradita sul mercato, come del resto hanno fatto con decisione in quello in questione a partire dall’avvenuta liberalizzazione. A questo punto la domanda assume contorni più chiari, ed è la seguente: quale forma di concorrenza ai servizi offerti dalle imprese iscritte all’Anav potrebbe mai essere ritenuta da quest’ultima “leale”, se non un accordo consociativo tra le aziende ‘storiche’ del settore sulla ripartizione geografica dell’attività di ciascuno e sul prezzo da mantenere? Si tratta, purtroppo, di una domanda retorica, perché la risposta la conosciamo già: molto spesso la concorrenza in Italia o è “sleale”, o non è.