Le percentuali di disoccupazione della Liguria e dell’Italia in generale scenderanno solo se si creeranno – con l’innovazione – nuovi spazi produttivi aderenti alla realtà economica di oggi. Nel frattempo la crisi continua a erodere le speranze dei più giovani.
L’Istat conferma per il trimestre la “crescita zero”. Mantenere il passo , in momenti come questi, è un buon risultato. Il Paese non sta tornando indietro, fa fatica, ma non arretra. Con chi prendersela se l’Italia non corre, non cresce o non fa la locomotiva?
Troppe volte il timore della rigidità dei contratti di lavoro ha, di fatto, bloccato opportunità di sviluppo che di lavoro avrebbe potuto crearne davvero molto. E, alla fine, stabile. Un esempio, dove le percentuali dettano lo spartito è il lavoro di ricerca di Banca d’Italia. Ricorda l’istituto che: «I trasporti e la logistica costituiscono un settore di particolare rilievo per l’economia ligure, anche la sua naturale vocazione marittima: secondo dati Istat, nella media 2010-2015 essi impiegavano infatti il 7% degli occupati complessivi e producevano il 9,9% per cento del valore aggiunto della regione (i corrispondenti valori per il paese si attestano rispettivamente al 4,3% e al 5,6%. cioè il comparto «vale» almeno quanto l’industria in senso stretto. Ma c’è di più. Dal 2011 l’incidenza media della logistica sul complesso dei costi delle aziende manifatturiere si è attestata al 4,7%.
Si tratta di un valore più contenuto della media nazionale e di quella dell’area nordoccidentale, pari rispettivamente al 5,7% e al 5,8% per cento. Questo divario trova spiegazione, oltre che nella prossimità delle imprese agli scali portuali per le spedizioni a lungo raggio, nella peculiare composizione del tessuto manifatturiero regionale: la Liguria presenta infatti una modesta diffusione dei comparti che a livello nazionale si caratterizzano per costi logistici elevati e una specializzazione relativa in settori che si trovano nella situazione opposta.
Ciò significa, lapalissianamente, che avviare attività di nicchia dei maggiori comparti in aree contigue al porto creerebbe elevata occupazione a costi di spedizione limitati e pertanto a maggiore valore aggiunto.
E i mezzi ci sono. La massiccia azione della Banca centrale europea, tutta protesa al rilancio della disponibilità di denaro verso la produzione e le famiglie, è probabilmente una delle ultime grandi offensive che la Banca centrale potrà mettere in campo. Purtroppo mettere a disposizione fiumi di liquidità senza rivedere le regole per poterli concedere a credito è una fatica che potrebbe rivelarsi inutile. Per dare occupazione ai giovani, anche in Liguria, non basta mandare anticipatamente in pensione i lavoratori di alcuni settori, perché i posti che questi lavoratori attualmente occupano appartengono a comparti spesso decotti e talvolta senza futuro. Il turn over è finito.
Le percentuali di disoccupazione di questa regione scenderanno solo se si creeranno – con l’innovazione – nuovi spazi produttivi aderenti alla realtà economica di oggi.
Nel frattempo la crisi continua a bruciare, si alimenta del carburante più prezioso per ogni società: le speranze dei suoi giovani. Per chi cerca di inserirsi nel mondo lavorativo e nel processo di reddito, la gioventù pare essere diventata una malattia infettiva. Ai ragazzi che cercano lavoro non si avvicina quasi nessuno. L’ indice di disoccupazione ne offre la sintesi. E pur di giustificare e diluire il disagio, si allarga il perimetro del termine «giovane» collegandolo a persone dai 14 ai 35 anni. Passi per i 14, ma a 35 anni, fino a un decennio fa, si era già membri effettivi, e neanche di primo pelo, del mondo del lavoro. Eppure gli appelli del presidente Napolitano per assorbire le forze nuove nel mondo del lavoro sono come colpi di frusta. E Napolitano non è il solo. Il governatore della Bce Draghi insiste con un mantra: «La ricchezza è il frutto di azioni e decisioni passate, il pil è frutto di azioni e decisioni prese guardando al futuro». Una frase che pare essere stata scritta guardando al mondo da Genova.
Ma il futuro è ancora disegnato e modellato sugli anziani. Ora a Genova si contano i soldi di ieri, che sono ancora tanti, ma che vanno a consumarsi nell’ affrontare il contingente e non si rinnovano più. Ma il benessere e la solidità di una città, non si misurano solo con il pil. E non può offrire un dato puntuale neppure l’inserire nel calcolo anche l’indebitamento delle famiglie e il risparmio pro capite.
Il fatto è che Genova, nel godersi le proprie ricchezze, sta – nella sostanza – dimenticando i suoi giovani e il loro futuro. Alcuni dati per offrire lo spaccato di Genova di domani. Nell’ era di internet il tasso di abbandono scolastico è pari al 13% alla fine del primo anno delle superiori. Due giovani fino ai trent’ anni su tre vengono assunti a tempo determinato o con contratti a tempo, dove già i quattro anni fan tirare un sospiro di sollievo. È una questione di programmazione errata o inesistente.
Il governatore Draghi ha di fatto detto che il non saper programmare il futuro incaglia i giovani all’inattività e ne compromette il domani. Su queste basi, rileggere i dati dell’ indagine Excelsior, a cura di Unioncamere Liguria, offre l’opportunità di ragionare su numeri concreti. A livello ligure sono state intervistate circa 3.000 imprese con almeno un dipendente per conoscerne, in modo approfondito, il fabbisogno occupazionale. Alcuni numeri: 24.210, il numero complessivo di assunzioni previste, in calo dello 0,5% rispetto al 2009. Le assunzioni programmate non stagionali saranno 15530, in crescita dell’ 1,1%. La quota di contratti a tempo indeterminato è in calo (27,9% rispetto al 29,0% nel 2009). Cresce di converso (65,2%) la quota di contratti a tempo determinato (64,1% nel 2009). Si “arricchisce” fino al 24,3% la quota dei contratti part-time (22,6% nel 2009). Ma che lavoratori servono? Ecco: in aumento le assunzioni considerate di difficile reperimento, in particolare meccanici, muratori e fisioterapisti. Tra le professioni più richieste quelle legate alle attività commerciali e di servizi: commessi e addetti alle vendite, addetti alle pulizie, camerieri e ragionieri