Circa 201,6 milioni di credito il rosso del primo semestre di Banca Carige, disavanzo causato in buona misura da rettifiche sui crediti. I risultati annunciati ieri vengono dopo due aumenti di capitale, un cambio radicale dell’azionariato, la perdita del 70% del valore del titolo in Borsa dall’inizio dell’anno. Eppure negli ambienti della banca ligure c’è soddisfazione, e l’ottimismo dei manager sembra condiviso dagli operatori di Borsa, dove il titolo, ieri, è rimbalzato del 3,89%. A giustificare l’ottimismo della banca e della Borsa c’è il fatto che il presidio sul credito deteriorato è stato rafforzato fino ad arrivare al 45,5% è la solidità patrimoniale risulta ai massimi livelli, con un Cet 1 al 12,2%. Come prevedeva il piano industriale 2016 – 20, votato nel precedente cda e deliberato ieri con l’approvazione del riassorbimento di Carige Italia in Banca Carige deciso dal cda di ieri. Nel piano erano annunciate altre misure, tra cui l’avvio delle trattative con i sindacati per la riduzione e la ricollocazione di parte degli organici, entrambe già avviate nei giorni scorsi. Intanto la raccolta, ha spiegato ieri in conference call l’a.d. Guido Bastianini, è tornata a crescere.
Basterà tutto questo a rassicurare le autorità europee?
Intanto, viene da chiedersi: se Carige, anziché italiana, fosse tedesca, come sarebbe stata valutata nel precedente stress test? Negli ultimi mesi la banca è stata molto, forse troppo sui giornali economici europei. A ragione, visto i sunti usciti dalle relazioni di vigilanza e magistratura. Certo, ci sono le più che presunte malversazioni che si leggeranno a sentenza passata in giudicato. Sicuro, ci sono – in attesa di valutazione definitiva da parte degli organi preposti – alcune voci di bilancio da sviscerare completamente.
Ma leggere i risultati dello stress test pubblicato nel fine settimana dalla Banca Centrale Europea sui principali gruppi bancari europei non può che far pensare, e tanto. Ora si scopre che anche le banche del nord Europa hanno ferite in suppurazione e se ne stanno studiando le origini. Vedremo. Già, gli ultimi stress test. Visti da Genova, che del gruppo Carige ha vissuto sulla pelle (e continua a viverla) la gogna economica, finanziaria e perché no morale, le pagelle di Francoforte fanno pensare assai. Poco o punto da dire sulle questioni penali di ex membri dell’istituto di credito.
Molto da dire sulle possibilità di salvataggio della parte sana del gruppo (la gran parte), che ripetuti e corposi aumenti di capitale rigorosamente a denaro privato ancora non sono riusciti a portare in porto.
In Germania sarebbe andata diversamente, con poco clamore e denaro pubblico a lenire il tutto. Dunque nessuna giustificazione per chi ha sbrindellato il nome e l’onorabilità della banca ligure, però la fustigazione eterna non serve a nessuno. L’azionariato della banca genovese si è rinnovato, potenziato. Per far cassa si è fatto ricorso alla cassettina dei gioielli di famiglia. I piccoli e grandi azionisti ci hanno rimesso quasi tutto. Un calice amarissimo. Insomma, nelle aspettative della banca, con il nuovo piano, tutto sarebbe pronto, o quasi, per ricondurre l’attività al core business del fare banca, quello storico. A essere sinceri e a rileggere le carte del giudizio della Bce del precedente stress test e confrontarle con quelle dell’ultimo fresco di stampa, c’è davvero di che rammaricarsi, se vogliamo usare un termine da vecchia diplomazia. Da arrabbiarsi se solo si riflette.
Nel primo stress test della Bce tutto sapeva molto di libro Cuore. Un esame deamicisiano, tutto a favore di chi era ritenuto più serio e buono per la “classe sociale” (leggi popolo) alla quale appartiene. Banche tedesche che avevano (come hanno) a bilancio più derivati che crediti, furono ritenute sane, forti ed affidabili solo perché tedesche. Forse. I banchieri teutonici, che sciorinarono bilanci difficili da capire anche a chi i bilanci li sa leggere, furono riconosciuti dalla Bce quali esempi da seguire. Persone molto più brave ad alzare il sopracciglio nel dettare la morale che a raccontare la qualità dei propri attivi. Forse perché i tedeschi, approfittando della debolezza politica e finanziaria soprattutto dell’Italia del periodo, fecero accettare a tutti leggi ad personamper creare saldissime trincee, protette da sacchi di denaro pubblico a salvaguarda delle proprie banche.
Carige, negli ultimi mesi è stata molto, forse troppo sui giornali economici europei. A ragione, visto i sunti delle relazioni di ispettorato e magistratura. Ma nella sostanza, riconoscere in un frullato stato patrimoniale, rispondenza e codice penale ha poco senso. Se banca Carige fosse stata una landerbank bavarese, per certo non sarebbe arrivata all’esame con il fiatone e madida di sudore. Lo Stato l’avrebbe rimpinzata di denaro pubblico, avrebbe sostituito il board in un silenzio da sancta sanctorum, avrebbe consegnato la parte scellerata dei conti alla magistratura e oggi avrebbe brindato al successo del riuscitissimo aumento di capitale. Invece la banca genovese si presentò a Francoforte con quanto è riuscita a fare con le proprie sole forze, senza neanche un centesimo dello Stato nel capitale e con un repulisti interno parzialmente ancora in corso, ma durissimo e costante.
Capire cos’è una banca italiana oggi, come è Carige, e cosa deve saper affrontare, a differenza di una banca di identico peso e struttura tedesca o olandese, potrebbe dare un aiuto nel capire cosa sta accadendo qui, oggi. E quanto la situazione sia oggettivamente ed operativamente complessa. Andiamo per ordine, stabilendo innanzitutto che cosa deve fare una banca italiana, e anche Carige, prima di poter prestare un euro a una qualsivoglia azienda, per valutarne la rispondenza e per darle una pagella finale, che si chiama rating.
Innanzitutto la valutazione dell’imprenditore che si presenta per chiedere denaro. Le regole sono stabilite da criteri che vanno sotto il nome di “Basilea”. Regole che si aggiornano. Da Basilea I si è passati a II e III. Regole stringenti, a livello non solo europeo, che partono da presupposti di valutazione del rischio dell’impresa cui si presta e dell’impatto che questo prestito – non o irregolarmente rimborsato – potrà avere sul capitale della banca. L’azienda, in via di istruttoria, va sottoposta ad una serie di forche caudine, che ne valutano il bilancio, i soci, il capitale, la propria regolarità nel far fronte agli impegni nel passato, e ad una previsione sui “problemi” che potrebbe avere (e dare) in futuro.
Benissimo in Germania dove l’impresa è quasi tutta media o grande e composta da società di captali. Ma in Italia?
Qui nasce il problema. Oltre il 90% dell’impresa nostrana è composta da società di persone. Già la piccola media impresa rappresenta un’eccezione. La grande rappresenta un miracolo. I tedeschi prestano in massima parte alle varie Volkswagen, da noi si affida la carrozzeria del signor Parodi. I cui capitali e rispondenze varie sono di difficile interpretazione. Ecco dunque che queste aziende da affidare rappresentino per la banca un rischio enorme, anche se i soci sono seri e lavorano bene. In buona sostanza c’è solo un sistema per rimettere in piedi molte delle piccole – medie banche italiane: farsi rimborsare tutti i crediti (non solo dubbi) dai propri piccoli clienti e prestare a colossi inesistenti dell’imprenditoria nazionale. Rinunciare, cioè, al sistema Italia. Impossibile, ovvio. Ecco dunque che se la Germania, rating paese tripla A, se ne fa un baffo delle regole, anche se le statistiche dicono che le banche tedesche hanno bisogno di 18 miliardi per mettersi in regola con Basilea 3, mentre per noi il deficit calcolato in poco più della metà.
Banca Carige è nata nel 1483 a Genova come Monte di Pietà, figlia di una iniziativa di fra’ Angelo da Chivasso. Alla fine delle querelle giudiziarie e di “finanza con la matita blu”, quello che resterà nel patrimonio cittadino sarà comunque la rinnovata e costante presenza di Banca Carige.