Un confronto tra Liguria e Piemonte sul tema dei rifiuti con l’obiettivo di parlare di un percorso che sia soprattutto industriale in questo settore delicato e in forte trasformazione, ma anche l’occasione per dire pubblicamente che oggi Genova per uscire dall’emergenza, ha bisogno che Amiu venga affiancata da un partner privato. Tanti gli argomenti sul tavolo del convegno “Verso un’industrializzazione del settore dei rifiuti. La situazione del Nord Ovest”, organizzato nel capoluogo da Confservizi Liguria e Piemonte e Cispel Liguria.
Iren, obiettivo Liguria
Una prima parte dedicata ai dati, la seconda più alla politica e alle scelte industriali delle principali aziende sul territorio, con una presenza significativa: quella di Iren con il suo amministratore delegato Massimiliano Bianco, che non ha nascosto di guardare alla Liguria come territorio per espandere l’attività della multiutility dopo l’acquisizione di Amiat a Torino, per restare nell’ambito delle due regioni messe a confronto. Il sindaco Marco Doria è stato diplomatico (considerando che il Comune di Genova ha partecipazione sia in Amiu sia in Iren, visto che la finanziaria Sviluppo Utilities che detiene il 33,3% di Iren è controllata pariteticamente dal Comune di Torino e di Genova), ma anche chiaro: «Bisogna capire che è impensabile pensare che Amiu possa uscire con le proprie forze da questa situazione e la stessa cosa la penso per il trasporto pubblico a livello provinciale. Iren è già presente sul territorio, ma l’interesse da azionista non può sovrapporsi alla valutazione industriale su Iren. Ci muoveremo entro la normativa, non si prevederanno disposizioni “ad personam” per favorire qualcuno». Anche l’assessore all’Ambiente della Regione Liguria Giacomo Giampedrone parla chiaro: «Per svoltare nel sistema dei rifiuti serve capitale privato inserito nel contesto attuale. L’impiantistica che serve alla Liguria è in primis il trattamento organico “in casa”. Se tutto ciò sta dentro una visione integrata ben venga il privato. Se però i sindacati di Amiu continuano a sostenere che l’azienda possa fare tutto da sola, si discute del niente».
Alla Spezia è in corso la cessione del 51% degli impianti di proprietà di Acam Ambiente e delle attività di smaltimento dei rifiuti a una newco. Iren e Ladurner, in attesa della gara, hanno presentato un project financing che riguarderebbe anche l’apertura all’area del Tigullio, «non possono però alzarsi le barricate ogni volta», dice Giampedrone, che ha anche ricordato come la Liguria sia stata obbligata a legiferare con un piano di emergenza a breve termine (su pressione anche delle Regioni che stanno ricevendo i rifiuti liguri) in attesa di una soluzione al problema del ciclo dei rifiuti dopo la chiusura di Scarpino.
Scarpino e nuovi impianti
«La riapertura non deve essere la panacea di tutti i mali come ho sentito dire da tante parti – aggiunge Giampedrone – la discarica, ce lo chiede l’Europa, dev’essere superata, capisco che dia ossigeno economico anche a chi fa investimenti».
Marco Castagna, presidente di Amiu, però ha chiesto alla Regione un maggiore contributo economico, oltre che legislativo, per «dare gambe al nuovo sistema industriale». La legislazione regionale, secondo Castagna, non è coerente con l’obiettivo del recupero. Quattro i punti critici: «La legge 20/2015 dà come obiettivi di recupero il 65% entro il 2020, precedendo gli obiettivi europei, ma non mette le risorse necessarie per un’evoluzione di tipo impiantistico. È poco il milione di euro per l’obiettivo del 45% di recupero nel 2016. Scaricando il costo degli adeguamenti organizzativi sulle aziende e sugli enti locali si finisce per scaricare tutto sul cittadino». L’impiantistica è carente, ma Castagna sottolinea che non c’è nessuna risorsa regionale per nuovi impianti e si parla solo di biodigestori, nulla invece sul trattamento e il recupero di materia su frazioni secche. Giampedrone risponde che i precedenti 47 milioni stanziati negli anni passati non erano serviti a niente e perciò la regione non vuole metterci altro denaro. «Ci stiamo tuttavia prendendo le nostre responsabilità – dice – la Regione ha raddoppiato dal 20 a 40% il peso nelle determinazioni del Comitato d’ambito».
Su Scarpino, precisa Castagna, oggi si stanno pagando anche le scelte progettuali. La discarica è stata costruita senza impermeabilizzazione in una località chiamata laghetti, per questo l’auspicio è che la Regione si faccia da interlocutore con il governo per un riconoscimento della criticità dell’area. «Vogliamo dimostrare che Scarpino è la discarica più monitorata e controllata d’Italia – aggiunge Doria – quali altri discariche in Italia lo fanno?».
Intanto lunedì Amiu presenterà il nuovo piano sulla raccolta differenziata realizzato in collaborazione con il Conai: «Nei prossimi cinque anni ci giochiamo tanto anche sull’innovazione delle nuove filiere – sostiene Castagna – ma perché le normative di Piemonte e Liguria non riescono a essere uniformi? Perché non si può fare a Scarpino quello che si fa a Novi Ligure? Comincio a patirlo».
Tari, Genova come le altre grandi città
Il Green Book 2016 della Fondazione Utilitatis, mostra come la spesa delle famiglie per la Tari sia a Genova non molto più cara rispetto alle altre città: la tassa sui rifiuti costa in media 143 euro per un componente in 60 mq, 284,9 euro per tre componenti in 80 mq e 335,3 euro per 3 componenti in 100 mq, a Torino per esempio rispettivamente si spende 126,4 euro, 290,9 e 325,3 euro. Nel 2015 a Savona si spendeva invece 144,7 euro, 287,6 e 316,6 euro, mentre alla Spezia 137,2 euro, 227 euro, e 262,4.
Nelle grandi città sopra i 200 mila abitanti, la spesa procapite vede Genova al quinto posto dopo Venezia, Roma, Napoli, Taranto e Firenze con 220 euro, un costo inferiore rispetto alla media nazionale dei grandi centri.
La Liguria comunque spende di più rispetto alla media italiana. I Comuni che mostrano un gap più marcato sono quelli con meno di 30 mila abitanti.
Il Green Book: non è tutto oro quello che luccica
Il report della Fondazione Utilitatis ha mostrato differenze sostanziali: una carenza importante per quanto riguarda la Liguria dal punto di vista degli impianti, a fronte di una buona diffusione piemontese, una dimensione degli Ato (ambiti territoriali ottimali) regionale per quanto riguarda la Liguria (suddivisibile in 4 aree per l’organizzazione e l’affidamento del servizio) e provinciale (2) e interprovinciale (2) in Piemonte.
La relazione di Paolo Giacomelli della Fondazione Utilitatis ha però sancito due concetti importanti e non scontati: «La raccolta differenziata in Italia ha generato mostri, ci si concentra sulla percentuale di raccolta e non sul recupero effettivo di materia – spiega, durante la presentazione del focus sulle due regioni – inoltre i flussi interregionali, in teoria non ammessi dalla normativa, coinvolgono il 30% dei rifiuti urbani, circa 9 milioni di tonnellate. Ci sono esempi virtuosi di alcune regioni del Nord che in realtà hanno un’esportazione significativa di rifiuto».
È una delle prime volte in cui viene detto chiaramente ed è già un passo avanti. Lo studio della Fondazione fa emergere dati interessanti: il settore (che vale 10,5 miliardi) intanto paga una quota insufficiente di investimenti, anche perché non c’è certezza delle regole e dei flussi dei rifiuti.
Inoltre non si è ancora arrivati a una definizione della dimensione degli Ato: «Non è possibile avere una situazione così differenziata a livello nazionale. In Lombardia per esempio la dimensione degli Ato è comunale», sottolinea Giacomelli.
C’è anche un po’ di miopia da parte dei piccoli Comuni, Sara Vaggi, presidente di Ata, azienda che si sta espandendo nel savonese, ha raccontato che un Comune di circa 700 abitanti sta per fare una gara per la gestione del servizio, stessa cosa un Comune poco più grande: «Avranno un costo esorbitante rispetto a quello che si potrebbe ottenere con un’aggregazione di Comuni».