Un proverbio cinese dice che lo sciocco ha mille certezze, il saggio non ne ha alcuna. E anche il buon senso nostrano ci insegna che rimettere in discussione le convinzioni date per scontate è in genere un esercizio salutare e proficuo. In qualche caso, però, il venire meno di una certezza può essere sconcertante. Come quando, venerdì scorso, abbiamo appreso, dal nostro corrispondente dell’imperiese, Andrea Fassione, che l’olio ligure, fuori della nostra regione, non è affatto considerato il principe degli oli.
È andata così. Oggi prende il via a Sanremo, all’Hotel Miramare, un gara d’assaggi di oli extravergine di altrettante aziende provenienti da tre continenti che si propone di valorizzare l’olio ligure a livello internazionale. Ottimo, la promozione dell’olio ligure non sarà mai troppa, visto che è scarso e caro. Ma l’organizzatore dell’evento ha precisato a Fassione che l’olio ligure va valorizzato anche perché «il nostro prodotto spesso non riesce a fare incetta di premi. Questo perché nelle schede ufficiali dei concorsi di degustazione, riconosciute ed accettate dalla comunità internazionale, assumono importanza anche i gusti dell’amaro e piccante di cui l’olio ligure è tradizionalmente sprovvisto». L’organizzazione ha quindi predisposto una scheda d’assaggio innovativa che considera anche il gusto dolce. Le categorie saranno quelle dei tre fruttati (leggeri, medi e intensi) «ma ci sarà anche un vincitore assoluto, fatto che costituisce una vera novità».
Ma come, l’olio ligure, dunque, non è universalmente apprezzato?
Eppure, a parte tutto quello che si siamo detti e scritti in questi anni tra l’Appenino e il mar Ligure, l’eccellenza del nostro olio poggia su dati oggettivi. Se andiamo a guardare il disciplinare Dop di Riviera dei Fiori, Ponente Savonese e Riviera di Levante, vediamo che, rispettivamente, per le tre varietà, sono ammesse: Riviera dei Fiori, acidità libera non superiore a grammi 0,# per 100 grammi di olio, numero perossidi inferiore o uguale a 1# MeqO2/Kg, K 232: inferiore o uguale a 2,#0, K 270: superiore o uguale a 0,160, panel test: punteggio superiore o uguale a 6,#; Ponente savonese, acidità libera massima, espressa in acido oleico: non superiore a grammi 0,# per 100 grammi di olio, numero perossidi: inferiore o uguale a 1# MeqO2/Kg, K 232: inferiore o uguale a 2,#0, K 270: inferiore o uguale a 0,160, Panel test: punteggio inferiore o uguale a 6,#; Riviera di Levante, acidità libera massima, espressa in acido oleico: non superiore a grammi 0,8 per 100 grammi di olio, numero perossidi: inferiore o uguale a 18 Meq02/Kg, K 232: inferiore o uguale a 2,#0, K 270: inferiore o uguale a 0,160, Panel test: punteggio superiore o uguale a 6.
Sono dati invero un po’ oscuri al non specialista ma che sanno di oggettività, di provette, laboratori, procedimenti ripetibili e verificabili, come richiede la scienza.
«Il fatto è che – spiega Virginio Pronzati, giornalista specializzato in enogastronomia e già docente della stessa materia in diversi istituti professionali di Stato, socio fondatore della Delegazione Ligure del “Conservatorio delle Cucine Mediterranee”, consulente del Tribunale di Genova e autore e coautore di vari libri a carattere enogastronomico – l’olio ligure, proprio per la presenza di alcune caratteristiche che lo rendono eccezionale manca di altre caratteristiche: ha un basso contenuto di acidità ma viene penalizzato dalla scarsa intensità di aromi, che vantano invece gli oli italiani del centro e del sud. Alcuni produttori liguri hanno ovviato a questa mancanza con dei raccolti precoci. Gli oli così ottenuti hanno un maggiore sentore di fruttato ma non lo mantengono a lungo».
«In sostanza – precisa Pronzati – per l’olio vale quello che vale per il vino. A parte i gusti individuali, bisogno valutare l’abbinamento con il cibo. L’olio ligure, morbido e delicato, è insuperabile per condire il pesce, lo fa senza coprire gli aromi salsi, e anche per certe verdure. Esalta i sapori dei cibi, non li copre. È eccellente anche in pasticceria, dell’imperiese produce un dolce friabile buonissimo, come la “torta stroscia” ma in tutta la Liguria viene spesso impiegato nelle torte casalinghe al posto del burro. Certo, anche altrove si producono ottimi oli, di recente ne ho assaggiato uno del trapanese che era eccezionale. Ma hanno caratteristiche e, quindi, usi differenti. Sulla bistecca fiorentina va benissimo un olio toscano. E su verdure dal sapore deciso, come le orecchiette, è ottimo quello pugliese».
Gusto deciso… Viene un dubbio atroce. E se per il pesto, con il suo contenuto di aglio e formaggi, fosse meglio l’olio toscano? «L’olio ligure, con la sua dolcezza, contrasta la forza di questi sapori,e armonizza le componenti della salsa . Il pesto poteva nascere soltanto a Genova».