«Mi chiedo come sia stato possibile ordinare un volume maggiore della flotta esistente in sette anni, anni di crisi profonda», lo ha detto Ennio Palmesino durante il seminario “What is the bulk shipping market coming to?”, organizzato dal Gruppo Giovani di Assagenti, riferendosi ai dati sugli acquisti di nuove navi nel settore bulk, che è aumentato di 501 milioni di tonnellate, rispetto alle 205 milioni ordinate dagli armatori tanker, partendo entrambi da un dato praticamente analogo. «Il settore dry sta scendendo ancora oggi – sostiene Palmesino – la prospettiva, stando così le cose è che verranno demolite 60 milioni di tonnellate nel prossimo futuro».
Palmesino (Genoa Sea Tankers) è stato invitato insieme a Eugenio De Paolis (Bulkmare), altro broker veterano. Entrambi hanno provato a dare qualche risposta dopo la fase di grande crisi che per i tanker si è conclusa nel 2014, mentre per i bulker non è ancora terminata.
Mai in passato i due mercati principali delle rinfuse, quello del liquido e quello del secco, sono stati così divergenti nello stesso momento. Pur vivendo un trend abbastanza simile come andamento dei prezzi delle commodities (sia il petrolio sia il carbone sia il minerale di ferro sono in forte ribasso) il trasporto di queste merci ha dato risultati opposti. La dicotomia si è avvertita nel 2014, ma la completa divaricazione è esplosa nel 2015, quando il Baltic dry index, indice dell’andamento dei noli marittimi nel settore delle rinfuse secche, ha registrato il minimo storico, continuando la sua picchiata anche nei primi due mesi del 2016, mentre le petroliere stanno vivendo una stagione d’oro.
«Dopo il grande boom dei primi anni 2000 – aggiunge De Paolis – mancavano le navi, c’era la necessità del “tutto e subito”, chi aveva le spalle larghe ha rischiato: aveva bisogno di 5 navi e magari ne faceva costruire un paio in più per rivenderle». Gli alti guadagni dell’epoca hanno attirato speculatori finanziari che cercavano rendimenti a due cifre senza fare troppe analisi il mercato: «Si è creata una bolla che la crisi successiva ha fatto esplodere – spiega Palmesino – e il fatto che fossero coinvolte banche e fondi di investimento ha provocato un cortocircuito, perché altrimenti non mi spiegherei il fatto che non si sono arrestati gli ordini di nuova flotta. Oggi ci sono navi che girano a 2 mila dollari al giorno, praticamente un suicidio di massa».
Palmesino mette in guardia: «La sensazione che le navi bulk fossero meno speculative è stato un errore gravissimo, ma ora non pensiamo che i tanker siano più prudenti: la flotta si è contratta per la radiazione delle navi monoscafo, ma i noli alti hanno attirato curiosità e appetiti. Oggi l’order book per i tanker è il 19% della flotta esistente, per i bulk è sceso a 16%. Questo eccesso di ottimismo mi preoccupa molto. Alcuni analisti ipotizzano una caduta dei noli tanker a fine 2016».
I due broker hanno evidenziato come le crisi precedenti siano state diverse: «Nel 1983 un quarto della flotta mondiale dei tanker era in disarmo, il mio mestiere di broker era indirizzato a cercare punti di ormeggio per disarmarle, l’ideale erano i fiordi norvegesi, il mare freddo non danneggiava la carena, anche se il costo era maggiore. Nel 2009 questa situazione non si è più ripetuta, probabilmente, appunto, per pressione delle banche». Il disarmo era stato negli anni Ottanta un sacrificio condiviso, oggi i fattori di risparmio sono la riduzione della velocità, per esempio, inoltre, fanno notare i due broker, mettere oggi una nave in cold layup (ancoraggio con spegnimento di tutti i macchinari e i generatori di bordo e della riduzione dell’equipaggio allo stretto indispensabile), ha costi maggiori di un tempo. Inoltre non va sottovalutato che la demolizione sta cambiando: «Gli armatori pensano ancora di guadagnare dalla vendita del ferro, ma presto occorrerà pagare per demolire, mentre adesso ci si sta ancora guadagnando, anche se meno. Le certificazioni necessarie perché tutto sia fatto in regola le rilascia la Turchia, non l’India, i costi quindi aumenteranno», dice Palmesino.
«Le crisi sono arrivate dopo fatti “casuali” – puntualizza De Paolis – ma hanno creato le condizioni di mercato per tornare al boom. Negli ultimi 30 anni il mercato è stato come “dormiente”, la stabilità aveva creato ottimismo negli operatori merceologici. Quando eravamo giovani abbiamo anche goduto della minor organizzazione da parte degli armamenti, che ci ha consentito un approccio più sereno sui mercati internazionali: per 20 anni è stato il grosso atout dei broker. Oggi non è più così».