Il passo indietro, il passo avanti, la vittoria di Pirro, il bicchiere mezzo pieno e quello mezzo vuoto, il brodino caldo: la vicenda Ilva, che ieri ha impegnato simultaneamente Regione, Comune di Genova e commissioni parlamentari, ha calamitato un bel po’ di luoghi comuni e frasi fatte. Per non essere da meno, potremmo aggiungere che «il meglio è nemico del bene».
In sostanza, mentre l’Accordo di programma per l’area di Cornigliano (firmato nel 2005 da Comune, Regione, prefettura, Autorità Portuale, Ilva stessa e da tutti gli altri possibili organismi coinvolti nella vicenda) prevede garanzie di reddito e occupazione per i siderurgici di Cornigliano, da gennaio di quest’anno il Jobs Act riduce l’ammontare dei contratti di solidarietà (750 a rotazione per 1.600 dipendenti) dal 70 al 60% della retribuzione. Comprensibile il malcontento dei lavoratori, chiamati a pagare di tasca propria i risultati di scelte o non scelte politiche, mancato rispetto di norme ambientali (da stabilire con certezza) e interventi della magistratura. Sullo sfondo, la necessità di vendere un colosso, già di per sé difficile da inghiottire per chiunque, che perde soldi ogni mese, ha bisogno di investimenti tecnologici per almeno 400 – 500 milioni di euro e per di più è gravato dalla necessità di notevoli spese per garantire il rispetto dell’ambiente.
«Chi prenderà in mano l’Ilva – ha annunciato nei giorni scorsi il ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti – sa bene che dovrà essere protagonista, assieme al governo, non solo di un grande rilancio industriale, ma anche della più grande sfida di ambientalizzazione oggi presente in Europa. Senza questo obiettivo non può esserci alcun futuro per l’azienda». Una dichiarazione che può stimolare degli spiriti sportivi ma non dei potenziali investitori.
Il governo aveva deciso di utilizzare un fondo proprietà della famiglia Riva depositato nel Jersey e nella disponibilità della banca svizzera Ubs per finanziare l’Aia (Autorizzazione integrata ambientale), sollevando così il potenziale acquirente da un notevole impegno ma il Tribunale di Bellinzona ha risposto di no. In Svizzera non si possano sequestrare beni di un privato senza che questi sia stato condannato definitivamente o senza la salvaguardia del diritto di proprietà in attesa di sentenza definitiva.
Verso la metà della giornata di ieri, quindi, le cose sembravano messe piuttosto male. Poi le commissioni Ambiente e Attività produttive della Camera riunite in seduta congiunta hanno approvato due emendamenti importanti al decreto legge del governo sull’Ilva. Uno, del deputato genovese del Pd Lorenzo Basso, permette che il reddito dei lavoratori di Cornigliano in solidarietà passi dal 60 al 70%.
Il milione e 700 mila euro garantito dall’emendamento Pd è sufficiente a coprire l’integrazione del 10% dei contratti di solidarietà? Sì, rispondono i compagni di partito di Lorenzo Basso, perché il Mef ha chiesto all’Inps quale fosse la cifra necessaria per quest’integrazione. E l’Istituto di previdenza ha risposto: 1,7 milioni di euro. Se però questi soldi non bastassero e quindi l’Inps avesse fatto un errore di valutazione, grazie all’emendamento approvato ieri quest’integrazione del 10% viene comunque garantita per legge e costituisce ormai un diritto acquisito per i lavoratori che devono percepirla. Quindi i soldi eventualmente mancanti verrebbero messi dall’Inps o dall’azienda. E per i lavoratori non cambierebbe nulla.
Il reddito, inoltre, potrà salire all’80% per chi sarà impiegato in lavori di pubblica utilità per la bonifica dell’area di Cornigliano. L’integrazione è prevista fino al 30 settembre 2016.
L’altro emendamento approvato è del governo, e prevede che i commissari straordinari del gruppo Ilva possano contrarre «finanziamenti statali» per 800 milioni di euro «al fine esclusivo dell’attuazione e della realizzazione del piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitarie» del sito di Taranto. Gli 800 milioni di euro saranno impiegati soltanto per la bonifica dell’area e non per l’ambientalizzazione degli impianti e quindi non dovranno essere restituiti dall’eventuale acquirente del gruppo siderurgico, a differenza del prestito da 300 milioni concesso all’amministrazione straordinaria dell’Ilva da parte dello Stato, attraverso Mise e Mef, per permettere di affrontare la fase della transizione da qui sino a fine giugno. Infine, un terzo emendamento approvato dalle commissioni proroga al 30 giugno 2017 il termine per la realizzazione del piano ambientale previsto per lo stabilimento Ilva di Taranto. Il decreto prevedeva già una proroga al 31 dicembre 2016 del termine.
Il risultato complessivo è che la temuta decurtazione degli stipendi non avverrà e l’appetibilità del gruppo siderurgico aumenterà (se Bruxelles approverà l’operazione). Il complesso di queste misure ha ricevuto critiche e lodi, provocando un confronto piuttosto acceso. La prima critica all’emendamento Basso è venuta dalla Fiom.
Secondo il segretario genovese della Fiom Bruno Manganaro l’emendamento non garantisce la continuità di reddito né l’accordo di programma. Perché l’integrazione vale soltanto fino al 30 settembre 2016? Perché, rispondono i dirigenti del Pd, l’integrazione riguarda i contratti di solidarietà, che sono in vigore fino a quella data. Non si possono integrare contratti che non esistono più. Lo ha fatto presente il governo, che non avrebbe approvato l’emendamento Basso se il documento non avesse tenuto conto di questo limite. Dopo il 30 settembre 2016 si dovranno stipulare altri contratti per consentire una nuova integrazione. Avendo sancito per legge il diritto all’integrazione, però, quando i sindacati andranno a rinegoziare i contratti di solidarietà dovrebbero avere un’importante leva contrattuale in più (sancita per legge), oltre a quella dell’Accordo di programma.
L’assessore regionale allo Sviluppo economico Edoardo Rixi parla di un «piccolo risultato» rispetto a quanto concordato dalla giunta con il governo. Però, rispondono i consiglieri regionali Pd Raffaella Paita, e Giovanni Lunardon, non risultano atti in proposito, né in Regione né in Parlamento. Né si ha notizia di emendamenti presentati da deputati leghisti. Rixi sostiene di avere formulato un emendamento insieme con la struttura commissariale e di averlo trasmesso al governo, che avrebbe dovuto inserirlo nella Finanziaria e non lo ha fatto.
Alla fine, in ogni caso, quello che è uscito è l’emendamento Basso. Che allontana di nove mesi la prospettiva di una decurtazione degli stipendi. Non di più. Le incertezze rimangono, e sono essenzialmente collegate alla possibilità di trovare un acquirente del gruppo siderurgico. Il governo ha fatto partire il bando per le manifestazioni di interesse domenica scorsa, per un mese attenderà le proposte, per poi passare alla seconda parte della gara, quella delle offerte vincolanti. Sperando che ne arrivino. Se arriveranno il governo, dichiara l’assessore comunale allo Sviluppo economico Emanuele Piazza, dovrà richiedere garanzie per i redditi dei lavoratori e per il rispetto dell’Accordo di programma, necessariamente rimodulato.
Così il bicchiere mezzo vuoto si riempirebbe fino all’orlo.