«Deve essere chiaro che nessuno potrà avere la possibilità di accedere agli strumenti del paracadute europeo senza accordo sui programmi di adeguamento degli Stati membri, e cioè sulla cosiddetta condizionalità»….
«Gli Stati in difficoltà debitorie non possono attendersi che l’Unione li aiuti illimitatamente. Accanto alle sanzioni finanziarie dovrebbero essere possibili anche sanzioni politiche fino alla perdita del diritto di voto degli Stati membri»…
«Il protezionismo… sarebbe proprio la falsa risposta a questa difficile situazione»…
Queste e altre affermazioni di Wolfgang Schäuble, presidente del Bundestag tedesco e uno dei principali artefici della ripresa economica tedesca come ministro delle Finanze dal 2009 al 2017, contenute nel volume “Wolfgang Schäuble – Discorsi 2009-2017” a cura di Christina Greeve Cramer (Il Canneto Editore), che verrà presentato oggi al circolo Pd di Albaro, a Genova, in via Cocito 3 (inizio alle 18) ci fanno pensare ai problemi attuali, in primo luogo all’intenso negoziato avvenuto nel luglio scorso tra gli Stati Ue che ha portato all’Accordo sul Recovery Fund. Accordo in cui per la prima volta i Paesi europei hanno messo il debito in comune e l’Italia ha dovuto accettare alcune forme di controllo sulla propria gestione denaro.
Ma le dichiarazioni dello statista tedesco qui riportate risalgono a diversi anni fa, quando della pandemia da Covid 19 non si aveva alcun presentimento e fenomeni come il sovranismo e il populismo aveano altre dimensioni. E del resto lo scopo del libro su cui questa sera disserteranno Carlo Stagnaro e Carlo Forchieri, introdotti e moderati da Giorgio Mosci del Canneto Editore è l’analisi – attraverso una raccolta di discorsi di Schäuble – non dei problemi italiani di oggi ma del modello politico, economico e sociale tedesco. Si deve alla profondità del pensiero di quello che si può considerare il legittimo erede di Ludwig Ehrard, artefice del miracolo economico tedesco, se considerazioni relative a questioni specifiche anche di una decina di anni fa suonano oggi come attuali e utili a discutere delle politiche italiane ed europee dei prossimi anni.
Un pensiero che si sviluppa nell’ambito dell’Economia Sociale di Mercato, la teoria economica attraverso cui la Cdu indirizza da sempre la propria strategia sociale, politica ed economica. Nata in Austria e poi sviluppata in Germania e nella Svizzera tedesca grazie a Wilhelm Röpke, presente già in Konrad Adenauer e portata a un clamoroso successo da Ehrard, la Soziale Marktwirtschaft si contrappone alle politiche dirigistiche nazionalistiche di destra e di sinistra, teorizzando la libertà dell’agire economico come fattore essenziale perché l’uomo possa realizzare se stesso come singolo e come società. Tutto questo deve avvenire su un solido fondamento etico e nei limiti del rispetto delle regole della giustizia sociale che vanno esercitate dallo Stato in veste di regolatore.
Nel discorso tenuto alla riunione annuale del Tönissteiner Kreis a Berlino pubblicato il 24 gennaio 2009, Schäuble spiega: «Noi abbiamo bisogno della religione per riempire il nostro ordine con la vita e la nostra vita con un significato. Lo stato libero e democratico vive di presupposti che esso stesso non si può dare. Un ordinamento improntato alla libertà presuppone infatti che che i suoi cittadini plasmino la libertà stessa con senso di responsabilità. Per questo c’è la necessità di valori etici fondamentali e di orientamenti. La responsabilità ha origine dal riconoscimento dei limiti della propria libertà e il riferirsi a Dio è una importante motivazione per accettare tali limiti. La fede in qualcosa di più alto e di non disponibile limita infatti la propensione umana agli eccessi: perfino chi ha difficoltà con la fede può trovare nell’etica delle religioni risposte su come si può vivere in maniera sensata in accordo con il prossimo. Senza fondamento etico, che tuttavia non si deve alimentare soltanto delle fonti religiose, non potranno avere risposta le difficili domande del nostro tempo. E senza un fondamento etico l’agire responsabile, sia in economia sia in politica o in altri campi della vita è difficilmente immaginabile».
Nello stesso discorso lo statista precisa: «Non c’è bisogno di alcuna profonda esperienza dei mercati per capire che abbiamo consentito pratiche troppo rischiose e che troppi vi hanno partecipato. Se la libertà è senza limiti e se mancano i meccanismi che guidano l’utilizzo della libertà stessa lungo binari responsabili, allora, alla fine, la libertà minaccia di autodistruggersi. Ma la capacità dell’individuo di utilizzare responsabilmente la libertà non può essere sostituita nemmeno dalle migliori regolamentazioni. Questa capacità non si trasmette da sola e anche lo Stato non può prescriverla. Se lo Stato provasse a stabilirla per decreto, presto la libertà verrebbe soffocata sul nascere. Dobbiamo quindi ritornare alle fonti di un’etica inter-soggettiva e quindi anche alle religioni con la loro sensibilità nei confronti delle tentazioni dell’uomo e ai presupposti di quello che Aristotele chiamava “una buona vita”».
Il richiamo alle religioni va inteso in senso lato. «Wilhelm Röpke – ricorda Schäuble – nel suo saggio del 1958 “Al di là dell’offerta e della domanda” invita a mobilitare tutte le forze della nostra società che trasmettono fiducia nella comunità e nella capacità stessa di stare in comunità. Queste sono le Chiese e le comunità religiose, ma naturalmente anche le numerose associazioni sportive, i gruppi giovanili, la protezione civile, le organizzazioni benefiche e molte nuove forme di auto-organizzazione di cittadini che vogliono darsi da fare come comunità. Un mondo globalizzato ha bisogno di queste forze sociali… Lo stesso senso di comunità e appartenenza non può essere decretato dallo Stato. Lo Stato è e rimane responsabile e per esempio può fare molto per promuovere la fiducia nel monopolio statale sull’uso della forza e sullo stato di diritto. Lo Stato non può però fornire i contenuti pulsanti di democrazia e libertà. Questi devono venire dalla società».
La crisi finanziaria esplosa allora «è un richiamo al fatto che dobbiamo plasmare la globalizzazione in modo che non metta a repentaglio la stabilità diventando ingestibile. L’innovazione tecnologica e il cambiamento sociale non esisteranno mai senza fenomeni di rigetto. L’agire etico nella globalizzazione significa però anche mantenere i cambiamento su binari che abbiano un certo ordine, in modo che gli uomini possano venirne a capo… Io non credo che con la globalizzazione si finirà come con la Torre di Babele. Se noi facciamo di nuovo riferimento a una religione e a un certo modo di vita che sia in armonia con l’etica religiosa, possiamo imparare ad affrontare meglio gli aspetti negativi della natura umana. Questa è la sfida in un mondo interconnesso».
E «così come sarebbe sbagliato strangolare adesso i mercati finanziari con un’eccessiva regolamentazione, è però anche giusto che si definiscano strumenti per la gestione del capitale di rischio. Abbiamo bisogno di una maggiore trasparenza dei mercati finanziari. Abbiamo anche bisogno di un maggiore senso della misura in merito alle future modalità con le quali si svilupperà la globalizzazione… Il protezionismo, però, sarebbe proprio la falsa risposta a questa difficile situazione. In considerazione della divisione internazionale del lavoro, la crisi dei mercati finanziari globali non sarà superata con una retromarcia nei confronti della globalizzazione. Dovremo piuttosto riflettere su come possiamo ridurre i rischi conseguenti alle interconnessioni economiche».
Schäuble è generalmente considerato un “falco”, un sostenitore della linea “dura” per quanto riguarda i conti degli Stati membri. La sua considerazione dell’economia, però, ispirata alla Soziale Marktwirtschaft, non esclude affatto la sfera etica e politica.
Nel discorso tenuto all’Università della Sorbona pubblicato il 2 novembre 2010, dopo avere difeso l’euro (Cosa sarebbe avvenuto dell’Europa, dei suoi spazi economici e delle sue valute se nell’ultimo decennio non ci fosse stato l’euro? Dopo la guerra dei Balcani, dopo l’11 settembre, dopo le crisi finanziarie sudamericane, russe e del Sud Est asiatico, dopo la guerra in Iraq e di fronte agli shock dei prezzi petroliferi?) spiega: «Alla base della storia dell’Unione europea c’è una convinzione centrale, ovvero che l’unità economica conduce verso un’unità politica o, per dirlo in altro modo, che l’evoluzione spesso precede lo sviluppo politico. E questo significa anche che l’unità economica non è unicamente una questione legata agli aspetti dell’economia in sé ma è anche una forma di mantenimento della pace economica»
Tanto che «anche quando un aperto e, per forza di cose, implacabile giudizio economico della situazione è giusto e corretto, non possiamo lasciare completamente da parte la funzione politica, ossia quella che garantisce la pace dell’agire economico».
Per scendere sul concreto «Secondo il mio punto di vista i prossimi lavori per la realizzazione di un meccanismo permanente anticrisi dovrebbero essere ispirati ai seguenti principi: la ricontrattazione non regolamentata dei debiti di uno Stato dovrebbe essere evitata. Gli Stati in difficoltà debitorie non possono attendersi che l’Unione li aiuti illimitatamente. Accanto alle sanzioni finanziarie dovrebbero essere possibili anche sanzioni politiche fino alla perdita del diritto di voto degli Stati membri». D’altra parte «un elemento centrale del meccanismo deve essere il coinvolgimento del settore privato. I detentori dei titoli di Stato ricevono un premio per il rischio e i medesimi, in caso di crisi, questo rischio devono effettivamente sostenerlo».
Chiarissimo anche il messaggio contenuto nel discorso tenuto il 25 settembre 2014 al Parlamento Federale in occasione della presentazione per l’approvazione del pacchetto legislativo per un’ulteriore realizzazione dell’Unione bancaria europea:
«L’Unione monetaria non è mai stata pensata come un sistema di arricchimento per gli speculatori e non è nemmeno un sistema di ridistribuzione tra cosiddetti Stati ricchi e cosiddetti stati poveri in una cornice di transfer union. L’unione monetaria europea non avrà mai successo se alcuni Stati membri evidenziano continuamente un deficit e trascurano la la loro efficienza competitiva a scapito della stabilità dell’euro. Al contrario l’unione monetaria è stata creata anche per promuovere riforme strutturali. Visto l’attuale stato di cose deve essere chiaro che nessuno potrà avere la possibilità di accedere agli strumenti del paracadute europeo senza accordo sui programmi di adeguamento degli Stati membri, e cioè sulla cosiddetta condizionalità».
Indicazioni che oggi appaiono profetiche e potrebbero utilmente orientare chi ha responsabilità politiche ed eventualmente suggerire correzioni di rotta. Perché, avverte Schäuble, «la capacità di correggere la rotta determina sin dai tempi di Popper il predominio della società aperta. La piena armonia tra le forze del mercato e considerazioni di natura sociale rappresenta una condizione ideale che non è mai raggiungibile nella realtà».