Ceci in zimino, ceci a zimino, zimino di ceci, çeixai co-o semin: una ricetta ligure già molto diffusa, con diverse varianti, che merita di essere (ri)presa in considerazione.
Intanto, che cosa vuol dire zimino? L’etimologia è incerta, la parola viene probabilmente dalla Liguria ed è presente anche in Toscana, Corsica e Sardegna. Dalle nostre parti è associata alle bietole (con ceci, seppie, totani, calamaretti, stoccafisso …), altrove ai fagioli, a pesce e verdure, alle interiora di ovini. In comune le tradizioni regionali dello zimino sembrano avere la presenza di diversi ingredienti, poveri.
E ora vediamo come fare i nostri ceci in zimino
Ingredienti:
ceci secchi, 500 gr;
bietole, 400-500 gr;
cardo, un cespo;
aglio, salvia;
sedano, un cespo;
funghi secchi;
farina;
pomodori maturi, due;
cotiche di maiale;
crostini di pane;
parmigiano.
Partiamo dai ceci. Quelli secchi, che si trovano comunemente. I ricettari, di ieri e di oggi, spesso ci spiegano: “una volta portati i ceci a cottura …” Ma la parte più delicata di questo piatto è proprio la cottura dei ceci, che se sbagliamo un particolare possono riuscire duri o sfatti. È il caso quindi di approfondire la questione.
I ceci secchi, una volta sciacquati, vanno tenuti in ammollo in acqua a temperatura ambiente una dozzina di ore. Come minimo. Però non più di ventiquattro ore, altrimenti riassorbono acqua e tornano a indurirsi. Quindi, calcoliamo dodici-sedici ore di ammollo, durante le quali bisogna cambiare l’acqua almeno una volta. Si scolano bene i ceci e si mettono al fuoco in acqua portata a bollore con uno spicchio d’aglio, circa tre litri d’acqua ogni mezzo kg di ceci. La pentola ideale in questo caso è quella di coccio. Si leva l’aglio e si lasciano bollire i legumi, a fuoco molto, molto basso. Alcuni mettono nell’acqua di ammollo un pizzico di bicarbonato per assicurarsi che i ceci riescano teneri ma c’è il rischio di alterarne il sapore. Meglio avere un po’ di pazienza e ogni tanto controllare la consistenza dei legumi con un cucchiaio di legno. In genere occorrono circa tre ore ma la variabilità è alta. Dopo due ore mezza mettiamo in acqua le bietole, tritate, e il cuore di un cardo fatto a pezzetti. Alcuni al posto del cardo mettono del sedano pure a pezzetti. Facciamo soffriggere nell’olio tre-quattro cucchiai di farina, il trito di qualche foglia di salvia e di un pugno di funghi secchi fatti rinvenire in acqua, i pomodori passati, e aggiungiamo il soffritto alla zuppa. Quando la cottura ci sembra a termine aggiungiamo il sale necessario e facciamo bollire ancora una decina di minuti.
Una variante potrebbe essere quella di usare dei ceci in scatola di una buona marca. In questo caso schiacciate un po’ di ceci, tre-quattro cucchiaiate, e aggiungeteli all’acqua salata dove le bietole e il cardo o il sedano e il soffritto cuoceranno circa tre quarti d’ora. Quando le verdure saranno cotte aggiungerete i ceci intatti. Queste scorciatoie, però, non si convengono alle ricette tradizionali e quindi facciamo conto di non averne scritto.
Poiché i nostri nonni, quando potevano, si guardavano bene dal seguire la cosiddetta dieta mediterranea, al soffritto aggiungevano a volte delle cotiche di maiale, già bollite e fatte a pezzi. A nostro avviso le cotiche non aggiungono molto al piatto ma nessuno ci vieta di provare, secondo lo spirito di questa rubrica.
La zuppa di ceci e bietole si può servire con crostini di pane, anche strofinati con aglio, e parmigiano.
Ottima con un Golfo del Tigullio Rosso.
Placet experiri!