Il mondo arabo non è solo miseria, fanatismo e vittimismo antiisraeliano e antioccidentale: “Il nuovo impero arabo di Federico Rampini” (Solferino) ce ne mostra un aspetto che molti in Occidente, in particolare in Italia, tendono a non considerare: la rapida evoluzione in atto in Arabia saudita, che allarga su scala più vasta gli esperimenti già avviati a Dubai o nel Qatar. L’area compresa tra il Golfo Persico e il Mar Rosso è un gigantesco cantiere di sviluppo, attira investimenti di imprese straniere, anche italiane, accoglie imprenditori, turisti, studenti, scienziati e ricercatori. Un’evoluzione che Matteo Renzi ha definito propizia a un “nuovo Rinascimento”. Renzi è stato criticato e irriso per questa dichiarazione – e biasimato per i lauti compensi ricevuti in Arabia in cambio di consulenze e conferenze (per molti il denaro degli altri è sterco del demonio, il proprio ha qualcosa di angelico). Il caso Renzi, la vicenda di Roberto Mancini che ha abbandonato la guida della nazionale di calcio per quella saudita (altro sterco del demonio!), l’aggiudicazione da parte dei sauditi dell’ Expo 2030, che in Italia si riteneva toccasse a Roma, sono gli episodi per cui l’Arabia Saudita viene presa in considerazione dalla nostra opinione pubblica.
Rampini ha merito di aprirci gli occhi su un mondo che sta cambiando e che avrà un ruolo nel nostro futuro. Protagonista di questa evoluzione epocale è il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman. Giovane (è nato nel 1985), aggressivo, ambizioso, visionario, il principe ha accentrato su di sé un immenso potere (e un’immensa ricchezza). Se ne serve per modernizzare e laicizzare il Paese. Sotto la sua guida il regno saudita ha compiuto enormi progressi, i poteri del clero islamico sono stati ridotti, la corruzione, che fa capo alla estesa e ramificata famiglia reale, arginata (anche con clamorose retate anti-corruzione), i diritti delle donne promossi. Le donne saudite non sono obbligate a portare il velo, possono ora usufruire di cinema, stadi, entrare nelle forze armate, richiedere passaporti, aprire attività senza il consenso maschile, guidare l’automobile senza la presenza di un tutore maschio. Mohammed bin Salman sta cercando di andare oltre l’economia del petrodollaro, investe nella ricerca, nell’intelligenza artificiale, nelle energie rinnovabili. “Saudi Vision 2030” è un progetto ambiziosissimo e avveniristico, lanciato nel 2016, che punta a trasformare il Paese in un nuovo hub per capitali, imprese, attività d’intrattenimento e un turismo che esuli dal solo pellegrinaggio alla Ka’ba.
Contestualmente il principe saudita ha avvertito il pericolo rappresentato dall’Iran e sta promuovendo un sistema di alleanze che comprende Israele. Il progetto ora è bloccato dalla guerra di Gaza ma fa parte della strategia di MbS.
Avrà successo questa rivoluzione dall’alto? Rampini non ne nasconde i limiti e i pericoli. Come non tralascia di ricordare la barbara uccisione del giornalista Jamal Khasoggi nel consolato saudita a Istambul il 2 ottobre 208 “che ha impresso una macchia indelebile sulla figura del principe Mohammed bin Salman. Non abbiamo le prove che sia stato MbS a ordinare quel macabro assassinio e poi lo smembramento del cadavere con una sega elettrica. Forse non lo sapremo mai con certezza. Ma poiché questo principe ha costruito il suo potere accentrando a dismisura le decisioni, è poco verosimile che non abbia dato la sua approvazione”. Ma questa vicenda non ha leso il suo prestigio. La fondamentale debolezza di MbS è che per modernizzare il suo paese deve agire in modo autoritario. Le cosiddette “primavere arabe” hanno dimostrato che in Medio Oriente la democrazia non porta libertà. Il principe saudita, però, non dispone di quel formidabile strumento di potere e controllo che è, per esempio, il partito comunista in Cina. Gode di un consenso elevato ma i suoi progetti sono ambiziosi e non c’è garanzia che si realizzino sul piano strategico e imprendioriale (Vision 30 richiede investimenti giganteschi). In compenso i suoi nemici per ora sono sottomessi ma rimangono. Il regno saudita comprende cinque corpi sociali preminenti. Al primo posto la famiglia reale, un coacervo di parentele che forma quasi un partito, al secondo posto il clero wahhabita, al terzo posto i notabili etnici, detti capi tribù, al quarto posto i mercanti, al quinto posto la categoria molto più recente dei tecnocrati, spesso educati nelle compagnie petrolifere o nelle università o nelle accademie militari americane. Di questi gruppi è certo che il principe si è fatto nemici i primi due. Privo di un partito politico, per mantenere il potere non gli restano che i suoi mezzi finanziari e l’apparato repressivo.
A questo proposito è illuminate quanto scrive Rampini a pag. 258: “Per spiegarlo mi ispiro a un capolavoro letterario. Tutti ci siamo imbattuti prima o poi nelle Mille e una notte, tesoro della cultura araba (anche se impregnato di influenze indiane e persiane). Leggendo le storie di Aladino, Alibabà e i quaranta ladroni, Sinbad il marinaio, abbiamo colto soprattutto la fantasia meravigliosa, il carattere fiabesco, il fascino dell’Oriente. Mi ha colpito, al confronto, la versione contemporanea che ne ha dato il grande scrittore egiziano Nagib Mahfuz. Premio Nobel per la letteratura nel 1988, Mahfuz ha reinventato a modo suo le fiabe classiche della tradizione araba in un capolavoro del 1982. In italiano è intitolato Notti delle mille e una notte e pubblicato da Feltrinelli. Più dell’aspetto magico e favoloso, nella storia di Mahfuz prevale un’atmosfera oppressiva e cupa, dominata dal dispotismo imprevedibile e crudele del sultano. Nelle Mille e una notte originarie, il fatto che Sheherazade inventi ogni sera delle trame avvincenti che creano l’attesa di un seguito (le serie televisive odierne non hanno fatto che copiarla…) è un geniale espediente narrativo; quasi dimentichiamo che è la condizione per la sua sopravvivenza, affinché la stessa Sheherazade non venga condannata a morte dal sultano. Nell’opera del Premio Nobel, invece, la minaccia di gesti arbitrari e feroci del sultano diventa il tema principale. Questo la dice lunga su quanto il dispotismo e l’abuso d’autorità condizionino la società civile nel mondo arabo contemporaneo. Il limite di MbS, ossia la scorciatoia verso il progresso imposta dall’alto con metodi autoritari, può conciliarsi con la capacità d’innovazione di cui l’Arabia ha bisogno”?