Sanlorenzo, tra i principali produttori al mondo di yacht e superyacht, inaugura il 22 maggio a Parma la mostra “Naviganti. Un viaggio dentro i cantieri navali Sanlorenzo” che rimarrà in esposizione – presso il Grand Hotel De la Ville, in largo Piero Calamandrei II – fino al prossimo 8 ottobre.
In questa mostra Sanlorenzo ha voluto raccontare quello che sta dietro ai superyacht che produce nei cantieri della Spezia. Le foto di Silvano Pupella sono un reportage dentro alle sue aree produttive per narrare il lavoro degli artigiani che come fossero dentro una bottega rinascimentale plasmano straordinari manufatti. La dignità del luogo di lavoro d’altronde è un tema caro a Sanlorenzo, cantiere navale produttore di yacht conosciuti in tutto il mondo per la loro qualità tecnica ed estetica oltre che per la sua organica attenzione al design e all’arte contemporanea.
Il fotografo Silvano Pupella, in accordo con Massimo Perotti, chairman di questo brand, ha valorizzato con il suo deciso bianco e nero che ricorda la scuola americana di Ansel Adams ed Edward Weston, la bellezza intrinseca dei manufatti prima ancora che siano terminati. Pupella e Peotti sono convinti che per emozionare non occorre per forza mostrare il prodotto finito, basta introdurci nelle fasi iniziali della lavorazione di questi superyacht in metallo.
Le immagini, documentando le varie fasi di approntamento degli scafi di metallo, sanno rendere perfettamente l’atmosfera di un luogo denso di tecnologia ma anche di manualità.
Commenta Marco Belpoliti, scrittore, critico letterario: “La prua della nave come il muso di un pescecane a bocca spalancata, la carena simile a un oggetto spaziale da issare sulla rampa di lancio, una finestrella verticale che ricorda un quadro di Fontana, un elemento triangolare sospeso nel vuoto simile a una scultura dell’arte povera, l’elica come un vortice futurista al fermo immagine. Questo lavoro rigoroso e ricco d’evocazioni richiama analoghe opere che hanno documentato il lavoro umano negli anni Cinquanta e Sessanta, quando la modernità italiana stava affermandosi e la descrizione del connubio uomo – macchina era un tema consueto. Pupella ha dietro le sue spalle molti anni di attività come manager. Ha l’esperienza di chi sa guardare il lavoro umano nelle sue diverse forme. Lasciata quella attività ha ripreso in mano la sua macchina fotografia, antica passione, e ha cominciato a ritrarre i luoghi dell’attività industriale. I cantieri nav ali Sanlorenzo sono da oltre sessanta anni uno di questi spazi in cui l’artigianalità incontra la tecnologia, il design si connette con il piacere delle forme e dei materiali. Scegliendo di fotografare in bianco e nera Pupella ha inteso mostrare la forma essenziale del lavoro che lì si svolge. La bicromia e la sequenza dei grigi imprimono in chi guarda un senso di durezza, compattezza e solidità davvero inconsuete. Non la fabbrica con i suoi macchinari della produzione a catena, piuttosto monoliti di metallo su cui agiscono come scultori armati di fiamma ossidrica innumerevoli operai-artisti. Ciascuno ha il proprio punto d’attacco. Uno sale sulla carena utilizzando un ponteggio, un altro entra nel ventre del pesce ferroso e ne aggiunge un pezzo; un altro s’inginocchia alla stregua di un rito religioso vestito con maschera e armato della fiamma ossidrica percongiungere due superfici; altri ancora tengono nelle mani la lunga fune mentre la gru assembla i pezzi della futura barca. Pupella ama il contrasto cromatico.Tra bianco e nero s’installa una lotta, un conflitto, lo stesso che oppone gli oper – artisti alla materia che stanno plasmando, saldando, unendo. C’è qualcosa di drammatico in questa scelta di toni, non di spaventoso, piuttosto di drammaticamen titanico. Gli uomini si misurano con la materia in una lotta che è volta a dominarla, a piegarla, a dirigerla. Lo sguardo del fotografo si fa teatrale, evidenzia gli spazi e la disposizione, i gesti e le posture. Si sofferma sui dettagli come nello scatto che ritrae guanti, attrezzi, carpenteria. Siamo nel teatro del lavoro, perché c’è qualcosa di ciclopico nella costruzione dell’imbarcazione, che poi solcherà i mari con le sue forme pure e perfette. Siamo anche nella caverna di Vulcano, nell’antro e nella spe lonca del dio del fumo e del fuoco. La fiamma è quella azzurra, qui tradotta in bianco e grigio, che esce del cannello. Il fotografo parla nel suo testo di presentazione alla mostra di caos quale origine di tutte le cose. Questo egli vede e fotografa, perc hé la forma non ha ancora preso il sopravvento, e l’insieme è composto di parti da montare e assemblare. Il luogo del lavoro è per Pupella il luogo del caos, del movimento incessante, dello scontro e del contrasto. Egli parla di casualità e imprevedibilità, evocando in questo sia il lavoro umano in corso sia il suo, quello di fotografo. Cogliere il momento giusto, fissare l’attimo in cui l’ordine subentra al disordine, questo sembra la missione. La drammaticità implicita nel suo sguardo si coglie perfettamente nel momento in cui lo scafo, non ancora leggibile come tale, viene issato mediante una gru subito dopo lo scatenarsi di un temporale. Le nuvole accentuano la forza caotica del momento. La loro forma imprendibile e cangiante si oppone alla forma definita e tozza dell’oggetto. Ma è il minuscolo uomo che dà il senso delle proporzioni dell’azione: alza la mano, come per indicare la direzione in cui spostare il grande sospeso. Appare piccolissimo sul piazzale del cantiere. Sopra di lui, immenso, si svolge il conflitto di aria e nuvole; sul piazzale la pioggia ha lasciato la propria traccia nelle pozze sparse. Il braccio della gru partisce così lo spazio dell’immagine come se il segno verticale fosse un asse del mondo, che si protende verso il cielo senza tu ttavia raggiungerlo. Lavoro di formiche che manovrano oggetti immensi, li issano e li modificano con le proprie mani. Tutto è a misura d’uomo e tutto, per necessità, lo trascende”.
Scrive Denis Curti, direttore generale Still Love, critico, curatore: “La storia fotografica (e personale) di Silvano Pupella è seducente e curiosa e si incrocia con quella del grande Jaques Henry Lartigue. Quest’ultimo salì alla ribalta delle cronache nel 1963 quando aveva già compiuto 69 anni, grazie ad una mostra al MOMA di New Yo rk. Silvano, invece, diventa fotografo professionista nel 2015, dopo una lunga carriera come manager. Anche lui alla bella età di 56 anni e grazie ad una serie di incarichi per il mondo dell’industria. Due esempi importanti che ci insegnano il valore del tempo e, soprattutto, ci dicono quanto sia importante credere nelle proprie forze e nei propri valori. Eppure, ricordo molto bene quando, prima di cominciare l’esperienza professionale, Silvano mi mostrò le sue prime immagini: ingenue e inutilmente romantiche. Certamente armoniose nella composizione, ma prive di qualsiasi destino. Non fu un bell’incontro e io lo sfidai chiedendogli di tornare a trovarmi con nuovi lavori. Con un progetto, con una storia. Le belle immagini fini a se stesse non mi sono mai interessate. Credo la fotografia debba comunicare un’urgenza, un’emozione. Credo che la fotografia debba essere inserita in un contesto preciso e debba sempre essere l’occasione per esprime un preciso punto di vista. Diversamente, è solo illustrazione. Silvano ha accettato la sfida (credo più con sé stesso che con me) e l’ha vinta. Oggi i suoi scatti sono l’evidente frutto di consapevolezza e progettualità. La sua grammatica per immagini rivela una capacità narrativa davvero seducente e le sue storie si nutrono della sua stessa passione per la vita”.
Secondo Silvano Pupella “Il caos è l’origine di tutte le cose, è vita, è movimento, scontro, contrasto; casualità e imprevedibilità sono le regole che lo governano. Per oltre 30 anni mi sono occupato di impresa e azienda ricoprendo da manager diversi ruoli di responsabilità. Tuttavia il “mio caos”, la passione, una vera e propria seconda vita, l’ho vissuto con la fotografia alla ricerca di contrasti da svelare e fissare attraverso l’immagine. Ma la fotografia non è solo immagine, è un ricco contenitore di sensazioni, emozioni, alimenta e stimola i sensi, va vista, “sentita”, toccata. Per questo, nel corso degli anni ho cercato materiali, supporti e tecniche di stampa che mi permettessero di esaltare e trasmettere la ricch ezza dei sensi contenuti nelle immagini. Negli ultimi anni, la fusione dell’esperienza trentennale all’interno dell’azienda e la capacità di comunicare attraverso l’immagine simbolica, mi ha portato a realizzare progetti per le aziende utilizzando la fotografia artistica come potente linguaggio di comunicazione. Ogni azienda è un universo complesso, sfaccettato e multiforme che ha una vita propria, una propria identità e una propria anima che la rendono unica. Ogni azienda nella sua vita lascia tracce di sé, segni distintivi del proprio essere: i suoi prodotti, le persone che la interpretano e la rappresentano, i valori che comunica. Il mio lavoro è ricercare queste tracce, sintetizzarle attraverso la fotografia e riproporle in un racconto per immagini che i nterpreti l’essenza stessa della azienda e la sua unicità”.