La ripresa post Covid c’è già. È in atto da tempo in Cina e negli Usa e in alcune regioni d’Europa, al punto che ora in molti comparti scarseggiano le materie prime. E in Italia mentre per alcune imprese la sfida è sopravvivere o chiudere, per altre è quella di tenere testa agli ordinativi e assicurarsi il materiale necessario per produrre.
Per misurare la velocità e le asimmetrie del processo in atto possiamo prendere in esame un’azienda modello, che ha sempre anticipato i tempi. Nata nel 1999, nei suoi 22 anni di vita la Valdenassi di Arma di Taggia, fondata e diretta da Emanuele Valdenassi, da subito ha puntato sulla qualità. Aveva iniziato a produrre carabottini in teak massello con il pantografo a controllo numerico, dotati di targhettina adesiva indelebile che ne garantisce la rintracciabilità secondo norme di qualità ISO 9000, poi ha allargato la produzione a tutti gli arredi esterni per yacht e superyacht, dalle sedie ai lettini.

Alla terribile crisi subita dalla nautica italiana con la recessione globale scatenata dal fallimento della Lehman Brothers nell’autunno del 2008, crisi che ha toccato il picco negativo tra il 2011 e il 2013 e ha lasciato il posto alla ripresa a partire dal 2014, l’azienda di Arma di Taggia ha fatto fronte con l’alta qualità dei suoi prodotti e con una crescente presenza sui mercati esteri. In sostanza delle imprese nautiche italiane sono sopravvissute soltanto quelle capaci di vendere all’estero e Valdenassi è stata una di queste. Oggi ottiene circa il 55% del suo fatturato in 42 Paesi stranieri. E ancora nel pieno della crisi da pandemia ha guardato alla ripresa. Ipotizzando problematiche di penuria di acquisto, fra dicembre 2020 e gennaio di quest’anno l’azienda ha investito 80.000 euro, autofinanziati, per un nuovo software gestionale che consente di gestire più velocemente ordini e scorte di magazzino. «Questo – dichiara Emanuele Valdenassi a Liguria Business Journal – ci ha permesso di non mancare una consegna in questi quattro mesi. Fino a oggi. Il futuro è un grande punto interrogativo».
Che cosa è successo?
«Nel 2020 l’azienda ha risentito della pandemia: siamo rimasti chiusi dai primi di marzo a fine aprile e questo ha comportato un calo della produzione e quindi delle vendite. Rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente è andato perso circa il 30% del fatturato. Abbiamo chiuso comunque in attivo, e nel 2021 siamo partiti a razzo. In questi primi quattro mesi gli ordini sono stati numerosi come mai era accaduto in 22 anni di storia dell’azienda, rispetto allo stesso periodo del 2020 sono quasi triplicati, il nuovo software gestionale ci ha permesso di rispondere con la massima efficacia alla svolta del mercato. Ora, però, il problema non è vendere ma consegnare, fare fronte alle richieste. Il fatto è che molte materie prime e componenti che vengono dall’Asia, l’alluminio e il legno ma non solo, arrivano con ritardi di settimane. La domanda è molto superiore all’offerta. Noi importiamo molte componenti, resina, collanti, gommapiuma per imbottiture, profili di alluminio, determinati tipi di legno. Componenti e materiali non facilmente sostituibili se vogliamo che i nostri prodotti mantengano la qualità – in fatto di resistenza alla salsedine, al beccheggio e al rollìo e altro – che li ha fatti affermare sul mercato. E tutto questo, purtroppo, avviene, in quella che per noi è l’alta stagione, gran parte delle vendite si fa in primavera-estate, quando i proprietari degli yacht decidono di tornare in mare – almeno quelli che scelgono il Mediterraneo – e vogliono trovare l’imbarcazione pronta. Inoltre sono aumentati enormemente i costi di trasporto, le poche aziende leader che coprono l’85% del mercato hanno quasi triplicato il prezzo dei noli. Impiegano navi grandi, che partono quando sono del tutto piene, e quindi imbarcano la merce in ritardo, e fanno pagare molto di più».
L’azienda di Arma di Taggia, che finora ha fatto fronte a tutte le richieste, riuscirà a superare anche questa svolta, grazie anche alla qualità dei suoi prodotti, ai quali il proprietario di uno yacht non rinuncia facilmente. (Nel mondo della nautica si già ha notizia di armatori che pur di essere pronti per l’inizio dell’estate sono disposti ad acquistare arredi di qualità non eccelsa di cui disfarsi poche settimane dopo, quando quelli richiesti arriveranno. I proprietari di yacht e super yacht in genere non hanno problemi di spesa e se si tratta di società di charter non possono ritardare le partenze). E le difficoltà denunciate da Emanuele Valdenassi sono spia di un fenomeno in atto che di per sé è positivo: la ripresa globale c’è. Anche se non è omogenea e incontra ostacoli che nel pieno della pandemia molti non avevano previsto. C’erano altre preoccupazioni.
Il pil della dell’eurozona ha segnato nel primo trimestre dell’anno -0,6% rispetto al trimestre precedente, dopo avere accusato -0,7% del quarto trimestre del 2020, mentre gli Usa hanno compiuto un balzo del +6,4%) e ora stanno assorbendo materie prime, rottame e legname da tutto il mondo e anche dall’Europa. In Cina la ripresa è impetuosa. Secondo i dati dell’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale) nel primo trimestre del 2021 il pil cinese è cresciuto del 18,3% rispetto all’anno precedente. Una cifra record che in parte si deve alla bassa base di partenza – nei primi tre mesi dello scorso anno, in piena crisi sanitaria, il pil cinese crollò a -6,8% – ma il governo cinese si aspetta che il trend continui, la previsione di crescita per il pil nel 2021 è di circa un +6%. E, come negli Usa, anche in Cina c’è fame di materie prime di ogni tipo. Su questo processo si è poi inserita la speculazione di molti fondi specializzati nelle materie prime che hanno colto l’occasione dei prezzi bassi registrati in tutto il mondo allo scoppiare della pandemia.
Per quantificare il fenomeno possiamo prendere in considerazione gli indici mondiali sulle materie prime, che sono panieri di commodity selezionate in base a diversi criteri. Il loro obiettivo è di registrare le performance di ogni particolare comparto, fornendo anche una base per diversi strumenti di investimento. Il più seguito, il Reuters/Jefferies CRB Index, composto da 19 commodity, è in forte rialzo, con un +20% da inizio anno ed è tornato ai livelli del 2015.
La ripresa mondiale sta facendo schizzare alle stelle i prezzi di acciaio, alluminio, materie plastiche, legno. A marzo i prezzi dell’acciaio hanno registrato forti aumenti. I prezzi dei coil di acciaio quotati al Chicago Mercantile Exchange (CME), espressi in dollari per tonnellata e trasformati in indice (2020=100) sono schizzati del 140% da agosto 2020 ad aprile 2021. E secondo le ultime stime di Eurofer aggiornate lo scorso febbraio il consumo di acciaio in Europa nel 2021 crescerà del +7,5% su base annuale.
Un altro indice è indicativo dell’andamento dell’economia globale e spiega i ritardi nella consegna dei container e i rincari dei noli denunciati da Valdenassi.
Il Baltic Dry Index (BDI) è un indice dell’andamento dei costi del trasporto marittimo e dei noli delle principali categorie delle navi dry bulk cargo. Malgrado il nome, non è ristretto alle rotte del Mar Baltico ma registra i dati sui prezzi dei noli delle 24 rotte marittime più trafficate nel mondo, permettendoci di individuare i costi di spedizione delle materie prime e il rapporto tra domande e offerta. È formato da tre indici sottostanti che calcolano le differenti dimensioni di vettori o navi mercantili come la capacità di carico in tonnellate (Capesize, Panamax e Supramax).
Il 21 aprile scorso il Baltic Dry Index ha raggiunto un nuovo massimo storico per il settore da 10 anni a questa parte grazie alla spinta delle grandi navi Capesize e delle spedizioni di minerali di ferro dal Brasile. Ha superato quota 2.700 punti (+9,6%) rispetto al giorno precedente rivedendo livelli che dal mese di ottobre del 2010 non erano più stati raggiunti. Si è trattato del secondo balzo in avanti più rilevante del 2021 dopo quello a cui si è assistito il 17 febbraio scorso. Il nolo giornaliero medio per le Capesize sul mercato spot è salito di 4.638 dollari arrivando a quota 33.290 dollari a causa di una maggiore domanda di trasporto via mare di metalli ferrosi dal Sud America verso l’Asia. Volumi sostenuti vengono spediti via mare anche dall’Australia. In netta salita anche il Panamax index che ha guadagnato in un giorno 133 punti (+5,2%) raggiungendo quota 2.690 punti, vale a dire noli giornalieri medi sul mercato spot pari a oltre 24.200 dollari. Stesso andamento anche per le navi classe Supramax.
La crescita dei prezzi dei metalli, delle materie plastiche, del legname, degli imballaggi e dei costi di trasporto non preoccupa soltanto Valdenassi: il nostro è un paese di trasformazione, e la preoccupazione si sta diffondendo in tutto il mondo associativo. L’aumento del prezzo dell’acciaio e quello di altri materiali di primaria importanza per l’edilizia, come gli isolanti utilizzati nei cappotti degli edifici, mette in difficoltà un comparto che avrebbe trovato nel Superbonus, nonostante le sue complicazioni burocratiche, un volano di sviluppo dopo anni di crisi. Problemi di approvvigionamento e aumenti dei prezzi si registrano anche per un’altra categoria critica, quella della plastica, polietilieni, gomme, siliconi, poliammidi, pvc, mentre da dicembre il prezzo del legno lamellare è raddoppiato, da 400 a 800 euro al metro cubo.
Altra tensione importantissima è quella sui microprocessori e sulle materie prime necessarie alla loro fabbricazione come le terre rare (lantanidi). In difficoltà si trovano molti comparti, la filiera dell’auto come la produzione di componenti per televisori, telefoni cellulari, computer pacemaker, defibrillatori, fibre ottiche, articoli industriali e di consumo. Le sorti attuali dell’approvvigionamento mondiale di terre rare sono in buona misura legate al monopolio cinese dell’estrazione e della produzione di questi minerali: un fenomeno iniziato ben prima della crisi da pandemia, cresciuto nel corso degli ultimi trenta anni. Il presidente cinese Deng Xiaoping nel 1992 aveva affermato che «se il Medio Oriente ha il petrolio, la Cina ha le terre rare». Oggi si ritiene che la Cina da sola detenga l’80-90% della produzione mondiale.
Dalla crisi pandemica stiamo uscendo ma non sappiamo in quale direzione.