«Nel centrosinistra regna il caos e la sequenza infinita di errori compiuti dal Pd, con questa gestione pazzesca del tema candidature, rischia di chiudere la partita Regione prima ancora di aprirla» aveva dichiarato una decina di giorni fa a Liguria Business Journal Raffaella Paita, deputata ligure di Italia Viva. Quel giorno Aristide Fausto Massardo, ex preside della facoltà di Ingegneria di Genova, si era ufficialmente autocandidato a presidente della Regione, dopo mesi di discussioni tra sinistra e M5S sul suo nome e su quello di altri.
Dopo dieci giorni e parecchie esortazioni del tipo “basta, è ora di decidere”, a sinistra non si è ancora deciso nulla e le cose sembrano ancora più complicate. Ogni candidatura incontra il veto di almeno uno dei protagonisti delle trattative. Via via sono stati bruciati i nomi di Ariel Dello Strologo, Ferruccio Sansa, dello stesso Massardo. Bruciati ma non del tutto, è sempre possibile un ripescaggio anche se ormai sembra più probabile la convergenza su altre figure, e si fanno i nomi del sindacalista Ivano Bosco e dell’avvocato Paolo Bandiera. L’unico elemento (quasi) certo è che Pd e M5S si presenteranno insieme: il fallimento dell’alleanza in Liguria potrebbe mettere in pericolo quella nazionale.
Ma se grande è la confusione sotto il cielo della sinistra, l’esito delle elezioni non è affatto scontato. Toti nel 2015, candidato di Forza Italia, Lega Nord, Fratelli d’Italia, Area Popolare, aveva ottenuto il 34,45% dei voti. Paita il 27,85%, con Pd, Liguri con Paita e Liguria Cambia, mentre Luca Pastorino – deputato Pd civatiano, uscito dal partito per candidarsi in contrapposizione a Paita – sostenuto dalla sua lista e da Rete a Sinistra, aveva raccolto il 9,42%. Si erano presentati anche altri candidati minori della sinistra ma già Pastorino era stato determinante: il suo 9,42 sommato al 27,85% di Paita avrebbe permesso alla candidata del Pd di superare Toti. Il “Marciare divisi e colpire uniti”, evocato allora da qualcuno, non aveva funzionato.
Ma Rete a Sinistra non era nata da un errore tattico: ispirata da Sergio Cofferati, già segretario generale della Cgil, esprimeva il rifiuto di parte della sinistra ligure nei confronti della canditata del Pd perché vicina a Claudio Burlando e “renziana”. All’insofferenza di parte della sinistra nei confronti di chi aveva amministrato la Liguria per dieci anni si era unita l’avversione per il riformismo di Renzi. Un’avversione profonda, nata da una concezione diversa di ciò che la sinistra dovrebbe essere e fare. Storia vecchia ma sempre attuale.
Paita era renziana anche come profilo: giovane (40 anni circa), pur non rinnegando l’esperienza della giunta Burlando, di cui aveva fatto parte, si era scelta lo slogan “La Liguria va veloce” e aveva prefigurato scenari di cambiamento. Il Pd ligure, però, non era né giovane né renziano e non è mai stato propenso ad andare veloce. In Liguria il Pd ha uno degli elettorati più conservatori. Alle primarie del 2012 nella regione Bersani aveva battuto Renzi con il 65,5% contro il 34,5% dei voti e aveva avuto il 98% dei dirigenti dalla propria parte. Nel 2013 il sindaco di Firenze in Liguria aveva ricevuto ottenuto il 61,7% dei voti contro il 19,6% di Gianni Cuperlo e il 18,7% di Pippo Civati: ma si era trattato di una vittoria ottenuta, come nel resto d’Italia, sull’onda della delusione per i risultati delle elezioni politiche e di un rigetto dei dirigenti che avevano portato al risultato elettorale negativo. I Pd liguri avevano scelto Renzi perché erano stanchi di perdere. Una dei dirigenti di spicco del partito, l’assessore regionale alla Sanità Claudio Montaldo, nell’estate del 2013 si dichiarava renziano, nel 2015 lo troviamo risolutamente anti – Paita. Le posizioni si sono chiarite con il passare dei mesi.
Proprio per dare voce alla sinistra non renziana Cofferati si era presentato contro Paita alle primarie per le regionali, nel gennaio 2015, uscendone battuto. Aveva quindi lasciato il partito parlando di irregolarità «inimmaginabili» nelle votazioni e di alleanze della sua avversaria con forze di centrodestra e con quello di «intere etnie organizzate». Pochi giorni dopo aveva lanciato la candidatura di Pastorino.
Anche tra chi era rimasto nel Pd non mancavano gli scontenti. Nomi storici del Pc- Pds- Ds – Pd, come lo stesso Montaldo e l’ex segretario del Pds genovese Ubaldo Benvenuti, e decine di segretari di circoli avevano invitato gli elettori a votare “secondo coscienza”, cioè a non votare Paita, o avevano parlato di voto disgiunto. Le accuse nel confronti della candidata renziana di non essere abbastanza di sinistra, di cercare alleanze con i fascisti, ecc… provenienti dalla sinistra radicale e dall’interno del suo partito probabilmente non solo hanno sottratto a Paita i voti di chi ha preferito Pastorino ma hanno indotto elettori del Pd all’astensione. Difficile dire quanto del quasi 50% che non ha votato fosse composto da elettori Pd demoralizzati ma potrebbe essere stata una quota sensibile.
Oggi sembrano passati secoli da allora. Non è che la sinistra sia più unita ma le sue componenti di maggior peso presenteranno lo stesso candidato, quando riusciranno a mettersi d’accordo. E con loro lo sosterranno gli M5S. Nel 2015 i grillini erano in ascesa e la loro candidata, Alice Salvatore, aveva ottenuto il 24,85% dei consensi. Dopo aver dimostrato, in due anni di governo, che cosa sanno fare, difficilmente i seguaci del comico genovese si avvicineranno a quei risultati. Inoltre Salvatore si presenterà con una lista sua e qualche voto riuscirà a strapparlo al suo ex partito. Comunque, poco vale sempre più di zero.
La verifica dei risultati impegna anche Toti, dopo cinque anni di amministrazione. Come lo giudicheranno gli elettori? Probabilmente lo faranno in base alla gestione dei due avvenimenti determinanti del suo ciclo amministrativo, il crollo di Ponte Morandi e l’epidemia di Coronavirus. Sulla vicenda di Ponte Morandi il governatore, come il sindaco di Genova Marco Bucci, dovrebbe ricevere un giudizio benevolo. Sul Coronavirus le responsabilità di Comune, Regione e Governo nazionale si intrecciano, ora è difficile immaginare come le vede l’elettorato. Peserà anche il collasso della viabilità, autostradale e ordinaria, della regione. Sul tema è in corso uno scontro violento, a colpi di comunicati, tra destra e sinistra. La prima incolpa del disastro il Governo e Autostrade, la seconda attribuisce all’amministrazione regionale la responsabilità dei disagi.
Infine, se a sinistra non si trova l’accordo sul nome del candidato, neppure a destra si sta del tutto tranquilli. Come Burlando a suo tempo, anche Toti incontra opposizioni all’interno del suo stesso schieramento. In una parte di Forza Italia e nel savonese e nell’imperiese. Il sindaco di Savona, Ilaria Caprioglio, non è certo tra i suoi seguaci, e con quello di Imperia, Claudio Scajola, Toti si è scontrato fin dai suoi primi giorni in Liguria. Scajola due anni fa si è candidato sindaco sfidando il governatore ligure e ha vinto le elezioni contro destra e sinistra. E l’ex ministro conta ancora molto nel Ponente ligure. Oggi come oggi non si può ipotizzare uno scontro aperto tra i due ma resta il fatto che il disaccordo c’è. Ma c’è anche tutto il tempo perché lo scenario cambi, nella regione e nel paese: le elezioni si terranno tra settembre e dicembre, la data la deciderà il Governo, molte rose possono ancora fiorire e molte spine pungere.