In termini relativi, il comparto azionario rimanane preferibile a quello obbligazionario, pur tenendo conto che la volatilità da sostenere nei prossimi mesi sarà più elevata rispetto a quella degli ultimi anni
Che cosa abbiamo visto nell’ultima settimana
Negli Stati Uniti, in linea con le attese degli analisti, la banca centrale, la Federal Reserve, al termine delle riunioni di martedì 12 e mercoledì 13, confermando la strategia da tempo annunciata di graduale normalizzazione della politica monetaria, ha alzato di 25 punti base i tassi di riferimento, portandoli al nuovo range 1,75%-2,00%. Durante la conferenza stampa, il presidente Jerome Hayden Powell ha confermato il buon stato di salute dell’economia americana (è il secondo periodo più prolungato di espansione economica) e annunciato altri due rialzi dei tassi ufficiali (sempre da 25 punti base ciascuno) nel secondo semestre 2018 (si guarda alle riunioni del 25-26 settembre e del 18-19 dicembre), per un totale di 4 rialzi, anziché i tre precedentemente attesi dalla maggioranza degli operatori. Sui mercati obbligazionari, la decisione Fed non ha generato sorprese, con il rendimento del governativo statunitense (Treasury) rimasto fermo poco sotto il 3% (2,90%-2,93%), mentre sui mercati valutari il dollaro statunitense ne ha beneficiato, soprattutto, contro l’euro, sceso nuovamente sotto 1,16 (minimi da inizio anno a 1,153-1,154).
Ma sul calo dell’euro hanno contribuito anche le dichiarazioni del presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, che, durante la conferenza stampa tenutasi subito dopo la riunione del Comitato direttivo di politica monetaria di giovedì 14, ha annunciato l’ulteriore riduzione da 30 a 15 miliardi dal prossimo 1° ottobre e per i tre mesi successivi del Quantitative Easing ovvero del programma di acquisti mensili di titoli di Stato e obbligazioni corporate a media e lunga scadenza (rating minimo “investment grade”) emesse da paesi membri e società dell’Eurozona, che dunque terminerà il prossimo 31 dicembre. Pur prendendo atto dei buoni segnali di crescita moderata dell’economia dell’Eurozona per il 2018 (leggermente ridimensionate, però, le previsioni per il 2019), la Bce preferisce mantenere un atteggiamento di cauto ottimismo, considerate le aspettative d’inflazione a medio termine non del tutto stabilizzatesi (verso il target del 2%, ma ancora in gran parte dipendenti dai recenti rialzi dei prezzi energetici) ed i rischi di possibile contrazione della domanda globale derivanti dall’introduzione di provvedimenti restrittivi (dazi) sul commercio internazionale. Dunque, la Bce continuerà a vigilare e, in ogni caso, a rinnovare nel 2019 tutti i titoli in scadenza, mantenendo i tassi ufficiali fermi agli attuali livelli (-0,40% sui depositi delle banche dell’Eurozona presso la Bce, 0% sulle operazioni di rifinanziamento e 0,25% su quelle di rifinanziamento marginale) «fino a quando necessario» (gli operatori ritengono, almeno, fino a fine giugno 2019). Sorprendendo gli analisti che attendevano maggiori dettagli sulla fine del Q.E. alla riunione del 26 luglio, i rendimenti delle obbligazioni governative e societarie dell’Eurozona sono tornati a scendere, consentendo parziali recuperi dei prezzi, dopo i ribassi delle precedenti settimane: il rendimento del bund decennale tedesco è tornato sotto lo 0,40% (anche a seguito del calo dell’indice di fiducia Zew di giugno sia in Eurozona che in Germania) ed anche il rendimento del Btp decennale italiano, con l’ulteriore ridimensionamento delle tensioni sul fronte politico interno, è sceso verso il 2,50%-2,55% e lo lo spread (differenziale di rendimento) verso l’omologo tedesco a 215-220 punti base (tre settimane fa i valori di picco erano 3,35% e 304,5 punti base, rispettivamente).
In Cina, rallentano in maggio ben oltre le attese degli analisti le vendite al dettaglio (effettivo +8,5% vs. +9,6% atteso e +9,4% precedente) e la produzione industriale (effettivo a +6,8% vs. +7,0% previsto e +7,0% precedente). Ma a creare nuove tensioni sui mercati azionari dell’area a inizio settimana, ancora una volta, è stata la minaccia del presidente Usa Donald Trump di nuove ulteriori misure restrittive su circa 200 miliardi di dollari di beni d’importazione dalla Cina, con l’immediata risposta del gigante asiatico, che si è riservato il diritto di rivalersi sulle stesse.
Che cosa guardiamo questa settimana
Attesi per gli Stati Uniti, l’indicatore di tendenza del Conference Board e, per l’Eurozona, gli indici PMI preliminari di giugno dei settori manifatturiero e servizi.
Molto seguita, la riunione Opec del 20-21 giugno a Vienna, in cui sarà valutato se mantenere gli attuali tagli alla produzione (nei giorni scorsi i prezzi del greggio hanno subìto violenti ribassi, su voci di richiesta aumento della produzione da parte di Russia e dell’Arabia Saudita, il membro più influente dell’Organizzazione dei Paesi Produttori ed Esportatori di greggio).
La nostra strategia di allocazione del portafoglio
I fondamentali dell’economia confermano uno scenario di espansione economica sincronizzata nelle principali aree geografiche, in un contesto di graduale rimozione da parte delle banche centrali delle rispettive politiche monetarie espansive: la banca centrale statunitense (la Fed) proseguirà l’annunciato programma di ulteriori due rialzi dei tassi ufficiali (da 25 punti base ciascuno) per il secondo semestre 2018 (due gli interventi già realizzati quest’anno, sempre da 25 punti base ciascuno,il 20-21 marzo e il 12-13 giugno scorsi), mentre la Bce ha annunciato il mantenimento di una politica monetaria ancora vigile e prudentemente accomodante sui tassi ufficiali per una buona parte del 2019, anche dopo la fine del Quantitative Easing annunciata per il 31 dicembre di quest’anno.
In ogni caso, il focus dei mercati e delle banche centrali nelle prossime settimane sarà sulle possibili interazioni tra prezzi del petrolio e conseguenti livelli dell’inflazione attesa e dei tassi d’interesse a medio-lungo termine, nonché sugli ulteriori sviluppi di possibili nuove tensioni commerciali (dopo il nulla di fatto all’ultimo G7), geopolitiche (Medio Oriente) e politiche di alcuni paesi membri dell’Ue (Italia e Spagna).
Pertanto, grazie a incoraggianti segnali tecnici, rimaniamo costruttivi sul comparto azionario, che continuiamo a preferire, in termini relativi, a quello obbligazionario, pur tenendo conto che la volatilità da sostenere nei prossimi mesi sarà più elevata rispetto a quella degli ultimi anni.