Che cosa abbiamo visto la scorsa settimana
I principali dati economici pubblicati in settimana, in particolare negli Stati Uniti e in Eurozona, hanno nuovamente fornito conferme di accelerazione della crescita economica globale. In USA, il braccio operativo di politica monetaria della banca centrale (Federal Open Market Committee) ha confermato in generale ripresa le condizioni del mercato del lavoro e le attese per crescita solida del PIL del IV trimestre. Con riferimento al mese di ottobre, sono, poi, usciti: un indicatore complessivo di tendenza economica (Conference Board) al di sopra delle attese ed una crescita del 2% rispetto al mese precedente delle vendite di case esistenti; in controtendenza, invece, gli ordini di beni durevoli, con un calo inatteso dell’1,2%, sempre rispetto a settembre (il dato depurato dalla più volatile componente dei trasporti cresce, invece, dello 0,40%). Decisamente positiva la seconda stima preliminare del PIL del III trimestre, cresciuto del 3,3% (contro il 3,0% della prima rilevazione e meglio delle attese degli analisti a 3,2%), grazie alla buona spinta dei consumi delle famiglie americane (a proposito, all’ultimo Black Friday, che di fatto ha dato il via alla stagione delle vendite natalizie, è stato raggiunto un nuovo record storico di acquisti on line!).
In Eurozona, i dati (preliminari) Markit PMI di novembre hanno segnalato un’ulteriore accelerazione del tasso di espansione dell’attività economica per entrambi i settori manifatturiero e servizi (indicatore composito effettivo a 57,5); brillanti anche i risultati dell’indice di fiducia IFO tedesco, che ha evidenziato un miglioramento superiore alle attese della sotto-componente riferita alle aspettative di crescita. Per l’Italia, l’OCSE prevede una crescita del PIL 2018 dell’1,6%, superiore alla previsione di un +1,5% dell’ultimo DEF del Governo e della previsione di settembre del FMI.
I buoni dati macroeconomici fin qui evidenziati hanno, così, riportato in alto la propensione globale al rischio e, al contrario, nuovamente compresso verso i minimi storici l’indice della volatilità implicita (VIX) sui principali indici azionari internazionali (con i tre principali indici azionari statunitensi, piuttosto euforici, arrivati agli ennesimi nuovi massimi storici (Dow Jones a23.959, S&P500 2.634 e Nasdaq 6.914).
Sui mercati obbligazionari globali e, in particolare, su quelli statunitensi ed europei, nonostante i segnali di buona ripresa economica in atto, i tassi d’interesse continuano a rimanere bassi (governativo decennale statunitense al 2,34%; bund decennale tedesco in area 0,36%; btp decennale italiano al di sotto dell’1,80% lordo di rendimento), a seguito delle ancora modeste aspettative d’inflazione a medio termine (particolarmente seguite dai modelli decisionali delle banche centrali dei Paesi sviluppati, ai fini della modulazione delle rispettive future politiche monetarie, ormai ampiamente annunciate in fase di “tapering” a partire da gennaio 2018). Dopo diverse settimane di rialzi, arrivano le prese di profitto sui prezzi del petrolio, insieme ai dubbi (anche da parte di autorevoli case d’investimento, come Goldman Sachs) sull’effettiva proroga oltre la scadenza prevista di marzo 2018 degli attuali tagli alla produzione giornaliera di barili da parte dell’OPEC alla prossima riunione di giovedì 30 novembre.
Sui mercati valutari, spicca il cambio euro/dollaro, salito sopra quota 1,19, a seguito delle migliorate prospettive di crescita economica dell’Eurozona, ma anche della possibilità di un accordo “in extremis” tra la CDU di Angela Merkel e la SPD di Martin Schultz (che, però, ha chiesto un referendum tra tutti gli iscritti al partito per ottenere un via libera) per la formazione di un governo in Germania (non proprio di “Grosse Koalition”, viste le perdite di voti di entrambi i partiti alle ultime elezioni politiche alle ultime elezioni di ormai ben due mesi fa), al fine di evitare il ritorno alle urne. Sulla debolezza del dollaro statunitense hanno anche pesato i timori di ulteriori ritardi per l’approvazione della riforma fiscale negli Stati Uniti, timori fugati dalla possibilità delle ultime ore che finalmente la riforma approdi al Senato nei prossimo giorni, proprio mentre dopo quasi 2 mesi di sordina, il presidente della Corea del Nord Kim Yong-un ha autorizzato l’ennesima dimostrazione missilistica, condita di minacce verso gli Stati Uniti.
Che cosa guardiamo questa settimana
Dagli Stati Uniti: pubblicazione del Beige Book Fed, il rendiconto mensile sull’andamento dell’attività economica dei principali distretti e dell’indice anticipatore ISM manifatturiero di novembre (previsto a 58,3 dal precedente dato di ottobre a 58,7); testimonianza al Congresso della presidente (uscente) della Fed Janeth Yellen e diversi interventi di rilievo da parte di alcuni economisti membri della Fed (Dudley, Harke, Williams), tra i quali Jerome Hayden (Jay) Powell per l’udienza di conferma della sua nomina a prossimo presidente della Fed, un evento utile per ricavare indizi sul futuro orientamento di politica monetaria della Fed “post-Yellen”.
Dall’Eurozona: pubblicazione del dato sull’aggregato monetario ampio M3, la cui crescita annua è attesa invariata al 5,1%, dell’indice di fiducia economica (previsto a 114,6 dal precedente 114) e dei dati di novembre sul tasso di inflazione (previsto a +1,6% dal precedente +1,4%).
Strategia e posizionamento di portafoglio
Alla luce della buona intonazione tecnica dei mercati e di un contesto macro che sostiene la crescita economica a livello globale – con inflazione mediamente contenuta e tale da determinare tassi di rendimento mediamente non ancora appetibili sui mercati obbligazionari – rimaniamo ancora costruttivi sulla componente azionaria, pur non escludendo possibili correzioni tecniche nelle prossime settimane, dopo che il rally da settembre ad oggi ha guidato i mercati sia azionari che obbligazionari a livello globale al nuovo record storico di capitalizzazione, rispettivamente, a 90 e 50 trilioni di dollari.
Sul comparto obbligazionario, rimaniamo convinti che, nel breve termine, permarrà la recente lateralità dei tassi d’interesse intorno ai livelli attuali, mentre nel lungo termine attendiamo un rialzo graduale e progressivo.
Sui mercati valutari, ci aspettiamo un cambio dell’euro ancora sostenuto verso il dollaro statunitense (sempre nel 1,15-11,21) e la sterlina inglese (che comincia a fare sul serio i conti coi futuri costi della Brexit).