Sono aumentate le presenze di migranti nelle strutture di accoglienza: fatto 100 il totale italiano delle presenze nei Cas (Centri di accoglienza straordinaria), la Liguria nel 2016 ha accolto il 3,8% (erano 3,4% nel 2015 e 2,7% nel 2014) dei richiedenti asilo. Lo rileva il rapporto protezione internazionale 2017, redatto con la collaborazione di Anci, Caritas italiana, Cittalia, Fondazione Migrantes, servizio centrale dello Sprar e in collaborazione con Unhcr (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati). Aumenta anche la percentuale di presenze nei centri Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati): 662 persone, pari all’1,9% (1,6% l’anno scorso), una percentuale che però mette la Liguria al tredicesimo posto in Italia.
Anche la Liguria risente dei problemi di governo dei flussi in arrivo: la disciplina dell’accoglienza prevederebbe una fase preliminare di soccorso, prima assistenza e identificazione che si svolge in centri governativi, in corrispondenza dei luoghi interessati dagli sbarchi, una fase di prima accoglienza in centri governativi per i richiedenti asilo per il tempo necessario all’espletamento delle operazioni di identificazione e una fase di seconda accoglienza in una delle strutture Sprar predisposte dagli enti locali in cui lo straniero resta per tutto il procedimento di esame della domanda di protezione e, nel caso di ricorso, fino a che è autorizzato a restare sul territorio italiano. La disponibilità di posti è sempre praticamente esaurita, ecco allora i Cas, che dovrebbero essere strutture temporanee predisposte dal prefetto “limitatamente al tempo strettamente necessario al trasferimento in strutture di prima o seconda accoglienza”.
Il passaggio tra la prima e la seconda accoglienza, secondo il rapporto, avviene in maniera difficoltosa a causa dell’allungamento dei tempi di permanenza oltre i limiti stabiliti dalla normativa, della carenza di posti e dei problemi di coordinamento e “messa in rete” tra i diversi attori coinvolti; manca una governance complessiva del sistema di presa in carico, sia sotto il profilo dell’indirizzo, programmazione e della pianificazione degli interventi, che sotto il profilo della gestione operativa, con il risultato di una forte stratificazione e frammentazione delle tipologie di accoglienza, di una eccessiva concentrazione in alcuni territori e di una scarsa attenzione agli aspetti “qualitativi” delle condizioni di accoglienza e dei servizi offerti.
In Liguria erano 363 i Cas nel 2016, ospitanti una media di 14,5 persone, 5.250 le presenze. Confrontando i dati con il resto d’Italia emerge che la media è più alta altrove, con un picco di 39,4 in Calabria (la Liguria è tredicesima). In totale le presenze sul territorio regionale erano 5.912 (3,1%).
Nel 2017 (dato al 15 luglio) i numeri sono in aumento 6.728 il totale delle persone (3,3%), di cui 6041 nei Cas (3,8%), 687 nella rete Sprar (2,2%). I posti Sprar in Liguria, al 30 giugno 2017, erano divisi tra Genova (272, di cui 57 per minori non accompagnati), Unione dei Comuni Valle Stura e Orba (36), Imperia (29), La Spezia (40), Albisola Superiore (38), Finale Ligure (25), Savona (10), Stella (23), Savona provincia (49).
Facendo il conto di presenze per mille abitanti emerge che nel 2016 la Liguria ha numeri sopra la media nazionale: 3,3 nei Cas (2,3 nella media nazionale, solo la Basilicata con il 3,7 e il Molise con il 9,4 hanno una percentuale superiore), 3,8 in totale (3,1 la media italiana).
Sicuramente l’accoglienza potrebbe essere molto più diffusa, visto che solo 99 Comuni su 235 hanno messo a disposizione posti al 15 luglio 2017: il 3,9% del totale italiano. L’incidenza sul territorio è del 42,1%, un valore di poco sopra la media nazionale che vede coinvolti il 40,5% dei Comuni italiani, con i picchi dell’83% della Toscana e del 17,8% della Sardegna.
Andando ad analizzare il numero di persone accolte nella rete diocesana, la Liguria è undicesima: tra le cinquecento e le mille unità, una quantità piuttosto bassa rispetto ad altre regioni. In Liguria solo il 10% delle accoglienze è avvenuto al di fuori di circuiti Cas, Sprar e parrocchie.
Bassa l’incidenza del numero di posti in accoglienza per categorie di progetto: 2% ordinari, 2,8% per i minori stranieri, in gran parte delle regioni la percentuale è più alta. Andando a vedere l’incidenza di accolti per categorie di progetto la percentuale sale al 2,1% per i progetti ordinari e al 3,6% per i minori non accompagnati, inoltre il 3% e coinvolto nel cosiddetto resettlement (reinsediamento in altro Paese). La Liguria è la regione che accoglie il maggior numero di beneficiari dei progetti Isaf (missione Nato in Afghanistan), il 16,7%. In totale l’incidenza di accolti della Liguria rispetto al resto d’Italia è del 2,3%.
I numeri nazionali fanno emergere cosa non va
Nel 2016 sono state presentate complessivamente 123.600 domande di protezione internazionale, con un aumento del +47% rispetto alle 83.970 del 2015. In 7 casi su 10 il richiedente è originario del continente africano (in oltre 7 casi su 10) e di sesso maschile (85%), seppur si sia registrato un sensibile aumento di domande presentate da donne (passando dall’11,5% del 2015 al 15% del 2016) .
Status di rifugiato: può chiederlo straniero che dimostri un fondato timore di subire nel proprio paese una persecuzione personale ai sensi della Convenzione di Ginevra (chi temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese). Per il titolare di status di rifugiato sono previsti tempi dimezzati per la richiesta della cittadinanza italiana per naturalizzazione. Potrà quindi fare richiesta dopo soli 5 anni di residenza in Italia.
La fascia di età prevalente è quella che va dai 18-34 anni (80,2%) seguita da quella 35-64 anni (10,4%). Con riferimento alla provenienza, i primi cinque Paesi di origine dei richiedenti asilo sono Nigeria (27.289), Pakistan (13.510), Gambia (9.040), Senegal (7.723) e Costa d’Avorio (7.419). In termini relativi è l’Eritrea a mostrare l’aumento maggiore (+841%).
Al 31 dicembre 2016 solo 7.498 persone sono state coinvolte nel programma di ricollocazione in altri Paesi europei.
I richiedenti asilo africani ricevono un diniego in 6 casi su 10, mentre nel 22,2% dei casi ricevono protezione umanitaria. Per quelli di origine europea e americana prevale la protezione umanitaria (40,5% e 38,1%) e secondariamente il respingimento della domanda (37,1% e 33,2%), mentre i richiedenti di origine asiatica ricevono soprattutto il diniego (47,3%) e la protezione sussidiaria (26,7%).
Status di protezione sussidiaria: qualora il richiedente non possa dimostrare una persecuzione personale ai sensi della Convenzione di Ginevra, che definisce chi è rifugiato, ma si ritiene che rischi di subire un danno grave (condanna a morte, tortura, minaccia alla vita in caso di guerra interna o internazionale) nel caso di rientro nel proprio Paese, può ottenere la protezione sussidiaria. Il permesso ha una durata di 5 anni; è rinnovabile, previa verifica dell’attualità delle cause che hanno consentito il rilascio; consente l’accesso allo studio; consente lo svolgimento di un’attività lavorativa (subordinata o autonoma e pubblico impiego); consente l’iscrizione al servizio sanitario; dà diritto alle prestazioni assistenziali dell’Inps (‘assegno sociale’ e ‘pensione agli invalidi civili’) e all’assegno di maternità concesso dai Comuni. Consente il ricongiungimento famigliare.
Nel primo semestre 2017 il quadro rimane sostanzialmente invariato per ciò che concerne la distribuzione dei tassi di diniego e dei permessi per motivi umanitari; tra le prime dieci nazionalità compare però l’Afghanistan al posto dell’Eritrea e sono proprio i richiedenti afghani ad aver ricevuto maggiormente la protezione sussidiaria (74,1%) e lo status di rifugiato (15,9%). I dati relativi al primo semestre 2017 confermano il maggior numero di esiti positivi riconosciuti ai minorenni e agli ultrasessantacinquenni e una maggiore presenza di diniegati nelle fasce intermedie.
Le domande di protezione internazionale sono state 77.449 (+44% sul primo semestre 2016), confermando le stesse caratteristiche di genere ed età evidenziate nel 2016.
Le domande esaminate ammontano a 41.379. Circa 4,3 su 10 hanno avuto esito positivo (status di rifugiato: 9%; protezione sussidiaria: 9,8%; permesso per motivi umanitari: 24,5%), per il 51,7% l’esame si è concluso con un diniego e il 4,9% riguarda invece richiedenti irreperibili.
Per accelerare il processo sono state istituite sezioni territoriali a supporto delle Commissioni per il riconoscimento della protezione internazionale (in Liguria è stata attivata Genova, prima se ne occupava Torino), ma le risposte sono state nuovamente rallentate dall’aumento delle domande: a luglio 2017 erano ancora 140 mila le richieste pendenti in Italia. I tempi medi di esame nel periodo 2014-2016 sono stati di 257 giorni (163 nel 2016), un -10% di richieste esaminate si è verificato nel primo semestre 2017.
I nuovi provvedimenti sui ricorsi penalizzano il richiedente asilo, visto che è previsto un unico grado di giudizio (eliminato l’appello, consentita l’istanza in Cassazione). Il lasso di tempo tra ricorso e sentenza è di circa 1 anno. Nell’84,4% dei casi l’esito è stato negativo (diniego), nel 12,3% è stata riconosciuta la protezione umanitaria, nel 2,1% dei casi quella sussidiaria.
Permesso di soggiorno per motivi umanitari:
Il permesso di soggiorno per motivi umanitari può essere rilasciato: dal Questore per il riconoscimento della protezione internazionale in caso di diniego dello status di protezione internazionale o di revoca o cessazione dello stesso, qualora ricorrono “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano”; su richiesta del cittadino straniero, anche in assenza di una richiesta della Commissione, qualora ricorrano gravi motivi di carattere umanitario; in caso di riconoscimento della protezione temporanea per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea; allo straniero inespellibile; altri casi, come per programmi di protezione sociale in favore delle vittime di sfruttamento.
La durata per permesso sarà pari alle necessità documentate che ne hanno consentito il rilascio. Nella prassi amministrativa, di fatto, la durata è variabile dai 6 mesi ai 2 anni.