A giudicare dal can can che ne è scaturito, sembra che in Liguria il burqa sia diffusissimo.
La notizia è di due giorni fa: l’assessore alla Sanità Sonia Viale, in consiglio regionale, ha annunciato che vieterà l’ingresso alle donne col burqa negli ospedali. Questa la motivazione: «Ritengo corretto che la Regione Liguria assuma una misura fortemente anti-discriminatoria a difesa della libertà delle donne, questo anche nel rispetto delle normative di sicurezza che vanno applicate anche nelle nostre strutture». Il riferimento è alla legge Reale del 1975, scritta per contrastare il nostro, di terrorismo.
Apriti cielo.
Secondo Gianni Pastorino (Rete a Sinistra) «si aprono scenari sconcertanti: perché oggi si parla di burqa, ma domani?» (Giustissimo. E se domani una donna si presentasse in ospedale con occhiali da sole? Dovrà essere respinta? O sarà lecito chiederle di toglierli, correndo però il rischio di offendere il credo religioso degli adoratori della penombra?) «Dovremo appellarci – si domanda allarmato il consigliere – alla convenzione di Ginevra»?
Sul tema sono intervenuti anche le capogruppo del Pd, Raffaella Paita che, tra l’altro ha osservato che in Italia «gli stranieri sono 5 milioni, di cui molti musulmani. Una Regione seria affronterebbe queste vicende aprendo un dialogo con queste comunità, utilizzando mediatori culturali e stimolando una riflessione con la parte più moderata e avanzata» e Alice Salvatore dell’M5S, inorridita «all’idea che, nel 2017, si possa impedire alle donne l’accesso alle cure sanitarie essenziali solo ed esclusivamente per i vestiti che indossa».
Il presidente Giovanni Toti, ha puntualizzato che: «È ovvio che le cure verranno garantite come previsto dalla nostra Costituzione: il diritto alla salute è prioritario e assoluto. Chi afferma che con questa norma si neghino le prestazioni sanitarie dice una grande idiozia e si abbassa alla più vile strumentalizzazione, offendendo anche tutta la categoria degli operatori sanitari».
Il diritto di assistenza sanitaria, quindi, non sarebbe in pericolo. Resta quello di abbigliamento.
Bisogna dire che il burqa, abito che copre interamente il volto (anche gli occhi) è usato praticamente solo in Afghanistan e in Pakistan. Molto simile è il niqab, che lascia scoperti gli occhi. Entrambi sono rarissimi in Liguria ed è quindi assai improbabile che una donna completamente velata si presenti in un nostro ospedale.
Del resto la giunta della Regione Lombardia aveva sollevato un polverone con la legge anti-burqa, ma, come ha scritto il Corriere della Sera lo scorso agosto, non c’è stata nessuna segnalazione di burqa respinti dopo l’approvazione della legge a gennaio.
Ma se vogliamo farne una questione di principio, i numeri contano relativamente. Andiamo a vedere la normativa nazionale.
In un’intervista rilasciata a Babboleo News Toti sostiene che «questa norma non ha un profilo di incostituzionalità perché già oggi esiste una legge dello Stato che vieta ai cittadini di andare in giro con il volto coperto o travisato. Semmai sarebbe incostituzionale il contrario, una diseguaglianza contraria al diritto».
Il Consiglio di Stato nel 2009 si era espresso ritenendo la matrice religiosa e/o culturale un giustificato motivo per poter circolare indossando un niqab, un burqa, o un altro tipo di velo islamico che ricopra il viso. Diversi altri casi giudiziari hanno chiarito che la legge italiana, al momento, non vieta i veli islamici. Nella scorsa legislatura era in discussione un disegno di legge che tentava di allargare l’interpretazione del provvedimento risalente al 1975, ma dopo un’approvazione alla Camera nell’agosto 2011, il testo, come accade a tanti altri, è stato dimenticato.
Sono comunque ammesse eccezioni, per esempio per controlli di polizia in eventi di tipo pubblico e per quanto riguarda l’ingresso in edifici pubblici.
Il divieto regionale sarebbe quindi, in ogni modo, superfluo.
Tanto rumore per nulla? In questo caso forse sì. Resta però il fatto che nel nostro Paese si può circolare senza poter essere identificati, legge o non legge, burqa o non burqa. Pensiamo ai teppisti che, per motivi “politici”, manifestano “con il volto travisato” – per usare un’espressione delle forze dell’ordine – da caschi, sciarpe, eccetera, in genere con lo scopo di provocare disordini o, comunque, commettere illeciti.
I “controlli di polizia in eventi di tipo pubblico” in questo caso sarebbero opportuni ma, almeno a Genova in questi ultimi anni, non se ne ricordano. Anzi, caschi e sciarpe travisanti fioriscono proprio tra largo Lanfranco e via Roma, sotto le finestre del prefetto, che sarebbe tenuto a fare rispettare la legge.