In Italia quasi un cittadino su dieci rinuncia a curarsi per motivi economici e liste d’attesa. È quanto emerge dal Rapporto 2015 dell’Osservatorio civico sul federalismo in sanità diffuso dal Tribunale per i diritti del malato-cittadinanzattiva.
Su 16 prestazioni, i ticket più bassi nel pubblico si registrano prevalentemente nel Nord Est (per 10 su 16 prestazioni), quelli più elevati nel Sud (per la metà delle prestazioni). Il livello di compartecipazione dei cittadini ai ticket fra 2013 e 2014 è diminuito solo nella Provincia autonoma di Trento (-5,6%), in Sicilia (-2,2%), Piemonte (-2%) e Liguria (-0,8%). In Valle d’Aosta si registra invece un +11,9%.
Lo stesso discorso della differenziazione territoriale è rappresentato per le esenzioni e così per la farmaceutica. Nelle regioni settentrionali il ticket sui farmaci va da un minimo di 2 ad un massimo di 4 euro. Emilia Romagna, Toscana ed Umbria sono le uniche tre regioni che prevedono ticket sulla farmaceutica diversi a seconda delle fasce di reddito, da zero per le fasce più basse ad 8 euro per le fasce più alte.
La spesa sostenuta privatamente dai cittadini per prestazioni sanitarie in Italia è al di sopra della media Ocse (3,2% contro 2,8%).
Il regolamento sugli standard ospedalieri riduce la media dei giorni di degenza per le acuzie a 7 giorni. Risultano in linea con tali standard, Piemonte (6,82), Toscana (6,87), Valle D’Aosta e Marche (6,99). Il Veneto mantiene una media più alta (8,26), seguono Liguria (7,63) e Friuli Venezia Giulia (7,58).
La Liguria risulta adempiente sui punti nascita che devono avere parti superiori a 500 all’anno. Sulla distribuzione delle terapie intensive neonatali, i dati del 2012 indicano che gli standard fissati di una per almeno 5000/nati vivi non sono rispettati. La media nazionale è di 1 ogni 3880 nati vivi l’anno, solo 4 Enti (P.A. Bolzano, P.A. Trento, Marche e Sardegna) ne hanno per più di 5000 nati vivi; Liguria, Abruzzo, Molise e Sicilia ne hanno invece una per un bacino di utenza compreso tra 2000-3000 nati vivi.
Su 16 Regioni monitorate dal ministero della Salute nel 2013 sul fronte prevenzione, la metà risulta in linea con le indicazioni date dal ministero rispetto ai Lea: si tratta di Basilicata, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Marche, Toscana, Umbria e Veneto. Ma di queste, tre fanno passi indietro rispetto al 2012 (Basilicata -7,5%; Liguria -7,5%; Veneto -10%).
In particolare, solo Piemonte, Liguria, Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo, Molise, Basilicata e Calabria, Provincia Autonoma di Bolzano e Valle d’Aosta riescono a raggiungere il 95% per le vaccinazioni obbligatorie infantili.
Sullo screening mammografico, è marcata la differenza esistente al livello regionale: oltre alle regioni del Sud, Liguria, Bolzano, Marche, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Umbria sono al di sotto della media nazionale per copertura.
Differenze anche sui criteri per l’accesso ai farmaci per i non residenti: Marche, Piemonte (eccetto i trapianti di fegato), Lazio e Basilicata prevedono, nelle loro delibere, l’erogazione per i soli residenti; 11 Regioni invece non hanno deliberato nulla al proposito (Abruzzo, Emilia Romagna, Liguria, Lombardia, Molise, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto).
Per quanto riguarda l’accesso alle nuove terapie per stranieri temporaneamente presenti ed europei non iscritti, solo 6 Regioni (Campania, Liguria, Lombardia, Marche, Puglia, Veneto) hanno espressamente deliberato al proposito, prevedendo in ogni caso un solo centro prescrittore.
Dalla indagine di Cittadinanzattiva “In-dolore” che nel 2014 ha coinvolto 214 reparti e 46 ospedali di 15 regioni sul trattamento e attenzione al dolore negli ospedali, emerge una scaletta discendente di performance man mano che si procede verso Sud. In Liguria sono stati analizzati gli ospedali dell’Asl 1, che risultano soddisfare 22 elementi su 44 (ma non l’informazione al cittadino per esempio), il Santa Corona di Pietra Ligure che ne soddisfa 28 su 50 e quello di Lavagna con 26 elementi di indagine su 47.