Se fosse il caso di fare dello spirito, verrebbe da dire che quanto è accaduto la scorsa notte a Genova vale più delle arringhe che Stefano Savi difensore dell’ex sindaco Marta Vincenzi, e Andrea Testasecca, legale dell’ex assessore comunale Francesco Scidone, potranno preparare per il processo da pochissimo iniziato per l’altra alluvione, quella del 4 novembre 2011.
Il nostro è un Paese che cerca sempre gli “untori”: tre anni fa sono stati rinviati a giudizio persino i sette componenti della commissione Grandi rischi della Protezione civile che non avevano “previsto” il terremoto dell’Aquila del 2009…. Ma è un Paese che difficilmente risolve i problemi. Ci si chiede ora, se anche l’attuale sindaco Marco Doria finirà davanti al giudice e se avessero l’obbligo di finirvi Augusto Pedullà (alluvione del 7-8 ottobre 1970), e i suoi successori, compreso l’ex sindaco Romano Merlo (alluvione del 27 settembre 1992) e il prefetto Vittorio Stelo che reggeva le sorti del Comune di Genova il 23 settembre 1993.
Oppure è il governo complessivo della città e della regione che vanno messi sotto accusa? Quello di oggi e quello dal dopoguerra in poi? Il catalogo Cnr-Irpi segnala che negli ultimi 40 anni in Liguria ci sono stati 96 morti, 9 dispersi, 49 feriti, oltre 10mila sfollati per frane e inondazioni. I Comuni interessati sono 76. Nel solo Comune di Genova dal 1970 ci sono stati per queste cause 51 morti.
Cose che si sanno. Come si sa che secondo il Corpo forestale dello Stato, oltre 6.600 Comuni italiani sono a rischio idrogeologico, (l’82% del totale).
Di fronte a queste vicende e a questi dati (pubblici), che si incolpino i primi cittadini di oggi o di ieri (certamente colpevoli, ma nel mazzo che comprende tutti gli altri: governi, prefetture, regione, province, protezione civile) pare un modo per scaricare su un capro espiatorio colpe che, se ci sono, vanno semmai condivise. E fa sorridere – anzi fa davvero arrrabbiare – che per tutta la giornata di oggi i responsabili di quanto è accaduto la notte scorsa siano i “modelli matematici” utilizzati da Arpal, modelli che non sono stati capaci di annunciare l’alluvione. La verità è che non servono colpevoli più o meno realistici, servono invece soluzioni. Le alluvioni e le frane non sono come gli attacchi dei pirati nel Medio Evo: li vedevi arrivare e scappavi. Sono fatti strutturali che vanno finalmente, e definitivamente, risolti.
Quando si parla di burocrazia e di lungaggini giudiziarie nel nostro Paese, raramente si fanno esempi. Facciamone uno. Il secondo lotto del rifacimento della copertura del Bisagno è stato finanziato dal ministero dell’Ambiente per 30,730 milioni di euro e dalla Regione Liguria per 5 milioni di euro il 16 settembre 2010. Dopo i lunghi adempimenti progettuali, il 17 ottobre 2011 è stato pubblicato il bando di gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione delle opere. I lavori della commissione di gara si sono conclusi il 13 febbraio 2012. Il 28 marzo è stato aggiudicato l’appalto. Avevano partecipato 16 imprese, 10 sono state escluse dalla gara. Quattro di queste hanno fatto ricorso al Tar della Liguria che il 21 febbraio 2013 ha ammesso i ricorsi. Undici mesi dopo, il Consiglio di Stato ha deliberato l’incompetenza del Tar ligure. Le imprese si sono allora rivolte al Tar del Lazio che ha emesso le motivazioni del proprio giudizio (inammissibilità del ricorso) il 3 ottobre 2014. Le imprese faranno ricorso al Consiglio di Stato. I lavori sono bloccati. Nel frattempo ci sono state due alluvioni gravi (2011 e ieri) e sette morti.
Non solo: da sempre tutti sanno che il rio Fereggiano è una bomba innescata. Le giunte comunali della prima Repubblica avevano progettato e fatto finanziare il canale scolmatore necessario a deviarne l’aumento di portata. I lavori erano iniziati ma un atteggiamento a-politico e moralistico (il Fereggiano era “figlio” del senatore Delio Meoli e quindi “doveva” essere legato a Tangentopoli) portò al blocco dei lavori: chi ha un po’ di memoria ricorda i problemi – mai visti al mondo – per smontare la “talpa” che stava costruendo quel buco, per farla uscire dal dietro e non dal davanti. Il problema era – e oggi tragicamente rimane – se si trattasse di un’opera inutile produttrice di mazzette, oppure se fosse un’indispensabile lavoro (come si dice nuovamente) al quale magari erano collegate mazzette. La differenza non è di poco conto.
Qualche settimana fa un ex assessore comunale genovese, Arcangelo Merella, ha lanciato una provocazione su Facebook. In sostanza ha scritto: “mi candido a sindaco di Genova per fare le piccole cose, per la manutenzione”. Ha ottenuto una valanga di consensi.
Perché l’impressione è che a Genova (e non solo) si parli di grandi progetti (che comunque vengono sempre rinviati), ma si dimentichi soprattutto la manutenzione. Tipo: pulire i torrenti (può testimoniarlo chi è transitato nelle ultime settimane lungo il Bisagno, trasformato in sporchissimo Bois de Boulogne). O tipo: “sturare” le migliaia di tombini otturati. O, ancora: controllare le decine di torrentelli “intubati” nel corso dei secoli e che scorrono sotto la città. Piccolezze. Manutenzione. Cose da amministratori pubblici, però.