L’ex Ilva chiede la cassa integrazione per quasi 4 mila lavoratori. Acciaierie d’Italia, in amministrazione straordinaria, ha comunicato ai sindacati la domanda, che riguarda in tutto 3.926 addetti, tra i quali 3.538 dello stabilimento di Taranto. La Cassa integrazione alla ex Ilva è stata al centro dell’incontro di questa mattina in videoconferenza, tra i commissari straordinari dell’azienda e le organizzazioni sindacali nazionali e locali.
La richiesta è arrivata dopo il dimezzamento della produzione seguito al sequestro disposto dalla procura dell’altoforno 1, dove il 7 maggio si è verificato un grave incendio dovuto allo scoppio di una tubiera. La cig è stata chiesta anche per 178 lavoratori di Genova, 165 di Novi Ligure e 45 di Racconigi.
L’azienda ha detto che l’incendio è stato causato da “un’anomalia improvvisa” a una parte del sistema di raffreddamento. Ora l’unico altoforno su quattro dell’ex Iilva ancora funzionante è il numero 4.
L’incidente ha danneggiato in modo grave l’impianto e i tempi per ottenere dalla procura il dissequestro dell’impianto sono troppo lunghi per intervenire ed evitare danni strutturali. Il rischio concreto è che salti, o diventi meno agevole, la vendita dell’impianto in un momento in cui la trattativa era nella fase finale tra le strutture commissariali di Acciaierie d’Italia in As e Ilva in As gli azeri di Baku Steel. In caso di riavvio si dovranno adottare procedure straordinarie, complesse e con esiti assolutamente incerti Questo incide sul cronoprogramma di riavvio dell’impianto che, con un altoforno in meno, dovrà inevitabilmente ridurre la propria capacità produttiva, che potenzialmente poteva arrivare a 6 milioni di tonnellate e che ora potrebbe essere tagliata di almeno un terzo. Con un impatto sul lavoro ma anche con una possibile minore valorizzazione da parte del gruppo azero acquirente, che a questo punto potrebbe anche decidere di non procedere.
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso ha precisato che «L’incidente può compromettere la ripresa degli stabilimenti e l’occupazione. Verosimilmente l’impianto è del tutto compromesso. Si è intervenuti troppo tardi, rispetto a quanto era stato richiesto sulla base di chiare perizie tecniche, bisognava farlo entro 48 ore e purtroppo non hanno avuto l’autorizzazione a farlo. È un danno notevole che avrà inevitabilmente immediate ripercussioni sull’occupazione».
Il coordinatore nazionale siderurgia per Fiom-Cgil, Luigi Scarpa ha avvertito che «La Fiom-Cgil non accetterà percorsi di cassa integrazione senza alcuna chiarezza sulle prospettive future dell’ex Ilva e il segretario generale della Fiom Michele De Palma ha dichiarato: « Per quello che so in questo momento siamo sull’orlo del baratro».
Il leader di Azione Carlo Calenda, che quando era ministro dello Sviluppo si era occupato del dossier e aveva gestito la gara poi vinta da Mittal, ha commentato su X: “ L’ultima possibilità per Ilva era l’accordo blindato con Mittal fatto saltare dai 5S-PD-IV (che poi ci hanno fatto una società insieme) con la complicità di media, politica locale, magistratura e sindacati. Ora si tratta solo di capire quanti miliardi di euro butteremo prima di chiuderla ufficialmente. Poi ci saranno 15 miliardi di bonifiche da fare. Ma c’era da accontentare la Lezzi dopo le elezioni europee. Ci meritiamo un meteorite”.