Serve un cambio di paradigma per il mondo della mediazione: un nuovo modello che integri competenze finanziarie e di mercato per garantire maggiore accesso alle risorse economiche. Da qui la necessità di avviare un percorso di confronto permanente, per costruire soluzioni concrete a supporto delle imprese. È questa la sfida emersa oggi dal Convegno nazionale di Fimaa Italia “Capitali in movimento – Come i flussi finanziari modellano i mercati”, che ha riunito al Palazzo della Borsa di Genova esperti del settore, istituzioni e rappresentanti del mondo economico. «Se il credito rimarrà di difficile accesso, il mercato rischia la paralisi – ha detto Santino Taverna, presidente di Fimaa Italia –. La collaborazione tra mediatori creditizi e merceologici è una opportunità concreta per sbloccare risorse e dare nuova linfa al sistema economico: in questo senso oggi sono state gettate le basi per un nuovo modello operativo».
L’accesso al credito resta una sfida aperta. Dai lavori del convegno è emerso con forza un dato: le micro e piccole imprese italiane incontrano difficoltà crescenti nell’ottenere finanziamenti, una criticità ancora più accentuata in regioni come la Liguria, dove il tessuto imprenditoriale è composto in larga parte da pmi. La risposta potrebbe arrivare da una maggiore sinergia tra mediatori creditizi e merceologici, figure ancora poco integrate tra loro ma con un potenziale strategico enorme. «La stretta creditizia – ha spiegato Angelo Spiezia, coordinatore della Consulta Mediatori Creditizi di Fimaa Italia – rischia di paralizzare il mercato ma noi abbiamo la possibilità di intervenire. I mediatori creditizi possono costruire strumenti finanziari su misura per le imprese, mentre i mediatori merceologici, grazie alla loro conoscenza delle filiere, possono creare sinergie essenziali per garantire solidità alle operazioni».
«In un mercato bancario che è in completa contrazione, non dimentichiamo che sono state chiuse 10.000 filiali negli ultimi dieci anni – ha aggiunto Spiezia – per noi che rappresentiamo il settore della meditazione creditizia si presenta una grandissima opportunità, perché stiamo colmando, a servizio di famiglie e imprese, il gap che le filiali bancarie lasciano sul territorio». Un trend, secondo Spiezia, destinato a continuare: «Arriviamo da un mondo dove si lavorava tantissimo con la carta, oggi ci troviamo in un mondo completamente digitale. Con l’avvento delle fintech e di tutto quello che è l’intelligenza artificiale l’industria bancaria deve necessariamente ridurre ulteriormente i numeri per comprimere i costi. Ha l’opportunità di poter dialogare con operatori come noi che di fatto siamo soggetti completamente autonomi, non rappresentiamo un costo fisso per la banca, siamo soggetti che a costo variabile possono dare il miglior servizio per la clientela e supportare al meglio i nostri partner bancari».
Anche la figura del mediatore merceologico sta cambiando radicalmente. «Non siamo più semplici intermediari di scambi – ha puntualizzato Simone Ruffato, membro della Consulta Mediatori Merceologici Fimaa Italia – oggi le aziende ci chiedono un supporto a 360 gradi, dalla logistica al finanziamento. Se vogliamo che il mercato riparta, dobbiamo adottare un nuovo approccio e diventare un riferimento stabile per le imprese».
Secondo Ruffatto occorre «Avere una visione sia settoriale, che è fondamentale, quindi andare in profondità, ma avere anche una visione alta e riassuntiva perché talvolta quando ci si concentra troppo sui dettagli si rischia di perdere il quadro generale delle cose, per cui ritengo che sia necessario fare squadra e avere una visione sia profonda siaalta delle problematiche».
I nuovi assetti geopolitici stanno ridefinendo i flussi finanziari globali, con conseguenze dirette sulle opportunità di finanziamento per le imprese italiane. Lo ha spiegato Dario Fabbri, direttore di Domino. «Quello che stiamo vivendo – ha detto Fabbri – sta cambiando inevitabilmente la situazione, e in generale l’economia. Non eravamo abituati agli americani che imponessero dazi su di noi, e questo, come è normale, ci sconvolge. Bisognerà vedere quanto questi dazi saranno profondi, quanto dureranno, eccetera, però intanto le piccole, le medie, e anche le grandi imprese si adattano, provano ad adattarsi, anche perché poi si parla di dazi sull’Europa ma l’Europa non esiste, esiste la manifattura italiana, in un certo senso i dazi sono sulla Germania, sull’Italia, un po’ sulla Francia, un po’ sull’Olanda. Le manifatture in Europa non ce l’hanno in molti paesi, anzi». Resta il fatto, prevede Fabbri, che i dazi « Per un po’ ce li terremo, poi ci sono dazi e dazi, quelli verso di noi sono dazi di rabbia. Gli americani ce l’hanno proprio con noi, conosciamo la retorica trumpiana, che non ha inventato Trump ma è dell’America profonda, una retorica per cui noi campiamo sulle loro spalle, quante ce ne dicono … Questo determina il fatto che per un po’ i dazi ci saranno, anche indipendentemente dal cambio di amministrazione, io temo, un’amministrazione di colore diverso non penso li smantellerà da un giorno all’altro, è una congiuntura che dobbiamo tenerci, con cui dobbiamo provare a fare i conti». Anche perché, secondo il direttore di Domino, «Non siamo capaci di bleffare. Dovremmo far finta di stringere accordi in cui ci consegniamo ai cinesi. Questo allarmerebbe molto gli americani, ma non abbiamo questo coraggio, non abbiamo l’unità d’intenti necessaria, quindi i dazi ce li teniamo e basta».
Occorre una maggiore unità tra gli stati europei. «Ma le avvisaglie di questi giorni non segnalano una maggiore unità. Anche il riarmo è pensato stato per stato, ognuno va da sé. La Germania ha già approvato il suo. Noi cerchiamo di trovarcelo a debito senza però sforare, per l’eccessivo rischio di avere poi repercussioni sui mercati. Non c’è un debito comune a cui affidarci per il riarmo, tanto per dirne una. L’unica questione che da sempre, più o meno, queste opzioni comunitarie gestiscono da sé è quella della politica commerciale, quindi avremo una risposta ai dazi unita, mi auguro, per il resto non ci sono avvisaglie di maggiore unità sul fronte politico e militare». È possibile mettere dei dazi sulle big tech come chiedono alcuni? «Sì, è possibile, non ce lo vieta nessuno. Si può fare, non è stato fatto mai in questi anni per davvero, però si può fare. Tra l’altro alcune di queste big tech non sono amate dall’amministrazione Trump, per niente. Una su tutte è Google, cioè Alphabet. C’è una divisione sul tema dentro l’amministrazione Trump, quindi si può fare, non è per niente una proposta campata in aria, però appunto ci vuole un’unità, non è che l’Italia – dico per assurdo, l’idea non è neanche nella mente del nostro governo – possa applicare da sé dazi alle big tech americane. Insomma, non vedo quell’unità politica a cui si faceva riferimento, ma forse emergerà».