Il Distretto Ligure delle Tecnologie Marine è stato fondato a settembre 2009 e gestisce il polo di ricerca e innovazione sulle tecnologie del mare ed ambiente marino nato nel settembre 2011 dopo un bando appositamente pubblicato dalla Regione Liguria per ottimizzare l’aggregazione delle competenze attive nel campo delle tecnologie marine sul territorio. In questi anni sono parecchi i progetti a cui ha dato vita il Dltm proprio con l’obiettivo di collegare il mondo della ricerca con quello dell’impresa. Racconta questa missione e come concretamente si sta realizzando, il direttore Giovanni Caprino.
– Come vi ponete nel rapporto tra ricerca e impresa?
«Lo scopo del Dltm è quello di metterle in relazione, cioè realizzare un link tra le attività che vengono generalmente sviluppate all’università e nei centri di ricerca – anche perché la Liguria abbiamo sedi importanti di Cnr, Enea, Ingv – e l’impresa. Noi cerchiamo di percepire nelle innovazioni scientifiche quali sono quelle che possono essere trasferite alle imprese e in questo processo di incontro c’è tanta attività di networking, tanta attività nella creazione dei gruppi e dei collegamenti. Ci avvaliamo del nostro Cts, il Comitato tecnico scientifico, composto sia da persone provenienti dal mondo della ricerca sia dal mondo dell’industria, che ci permette di creare dei link e delle proposte progettuali. È un’attività complessa e quotidiana, fatta di conoscenza del processo dell’innovazione, anche perché il settore delle tecnologie marine necessita tantissimo di innovazione, compete a livello internazionale ed è impegnato in un continuo processo di ricerca dei prodotti a tutti i livelli».
– Collaborate anche con enti di ricerca e tutela dell’ambiente?
«Sì, lavoriamo in questo nuovo paradigma in cui quando si parla di ricerca e innovazione c’è sempre la parola sostenibilità che è ambientale, sociale ed economica. Il processo innovativo fa molta attenzione a ciò e lavoriamo molto con gli enti di ricerca anche su specifici progetti di verifica ambientale».
– Avete un vostro laboratorio?
«Abbiamo Lab Mare, una stazione di monitoraggio ambientale marino, nata dalla volontà di tutti gli enti pubblici di ricerca e delle università associati al Dltm. È un sistema di monitoraggio avanzato complementare a quelli già esistenti sul territorio ligure. Noi mettiamo a fattor comune risorse umane, infrastrutture e attrezzature, contribuendo ai costi di mantenimento in efficienza. Siamo i coordinatori di partner importanti come l’Istituto Idrografico della Marina, l’Enea, il Cnr, l’Ingv. Ogni ente di ricerca mette qualcosa e facciamo sistema, perché il distretto è nato proprio con questo obiettivo. Il laboratorio ha due stazioni di misura, una costiera e una profonda. La stazione profonda è un fiore all’occhiello della Liguria, un centro di misurazione dati da una profondità di 600 metri fino a 80 metri in cui misuriamo corrente, salinità, sedimenti, tutti i caratteri chimico-fisici dell’acqua, per conoscere ed effettuare un monitoraggio del Mar Ligure. L’Idrografico e la Marina ci mettono a disposizione le loro infrastrutture per andare a posizionare la stazione e per recuperarla, perché ha bisogno di manutenzione. Essa viene abbandonata a 600 metri di profondità, ma ogni sei mesi vanno ricaricate le batterie e scaricati i dati. Nella stazione costiera facciamo dei test. Per esempio una ricerca che abbiamo svolto in collaborazione con Cnr ed Enea è stata quella sulla degradabilità delle plastiche: abbiamo messo in acqua dei cestelli contenenti plastiche sia biodegradabili sia con la vecchia struttura e ce li abbiamo lasciati per più di due anni. Si è verificato che anche la plastica più indicata come biodegradabile in effetti rimane presente per molti anni. Questo ci dà la consapevolezza che anche la plastica biodegradabile non si può gettare in qualsiasi posto, bisogna sempre prestare attenzione».
– Avete un centro di calcolo che l’utilizzate anche come supporto alle aziende?
«Sì, un nostro Hpc. Siamo stati tra i primi a promuovere un centro di calcolo, un supercomputer in Liguria, che permette sia agli enti di ricerca sia alle aziende di utilizzarlo per fare attività di ricerca e calcoli specifici e progettuali. Lo possono usare i nostri partner, le nostre aziende. Alcune lo adoperano sistematicamente nei processi di innovazione insieme agli enti di ricerca e all’università per lo sviluppo di nuove tecnologie. Siamo molto indirizzati alle applicazioni di calcolo fluidodinamico e di calcolo strutturale, che nella progettazione navale sono i processi che consumano di più il computer e necessitano di potenza di calcolo. Queste applicazioni sono a disposizione anche delle imprese che non sono nostre socie. Se queste richiedono determinati servizi, glieli forniamo».
– Vorrei precisare la prima domanda, come si fa a incontrare ricerca e impresa?
«Il network è fondamentale, per cui le collaborazioni sono importanti anche con altri cluster, con altri gruppi. Abbiamo accordi sia con Navigo, il cluster della nautica da diporto toscana, che è molto forte, sia con il Genova Blue District. La nautica da diporto, nel settore dei grandi yacht, non ha confine tra Liguria e Toscana. Ricordiamo che la costruzione dei grandi yacht in Liguria e Toscana copre il 50% della produzione mondiale. Alcuni costruttori hanno cantieri nelle due regioni: tanto per citarne uno, Sanlorenzo, che è un nostro partner e si colloca decisamente a livello internazionale».
– Su cosa collaborate con Blue District?
«Con Genova Blue District la collaborazione è molto attiva. È un cluster del Comune, è genovese, però realizziamo grande sinergia su progetti e processi per le piccole e medie imprese, per le startup, per aiutarle anche i bandi. Abbiamo lavorato con il Blue District in maniera attiva su quello che è stato l’Ocean Race, non tanto come evento, ma per il supporto tecnologico che ha portato la gara sul nostro territorio nazionale. C’è anche l’attività di formazione, un punto importante nel ruolo che hanno i distretti, e specialmente il Dltm, nel promuovere l’incontro tra ricerca e impresa. Non è facile trovare tecnici già pronti e preparati nelle nuove tecnologie».
– E con Navigo?
«Con Navigo collaboriamo principalmente sul servizio all’impresa, cioè su tutto quello che è il processo di servizi di formazione, skilling job, progettiamo in maniera congiunta. Abbiamo anche interazione con dei cluster nazionali: il Dltm è fortemente coinvolto in quello della Blue economy e in quello dei Trasporti, dove c’è una sezione dedicata al trasporto navale. L’integrazione delle nostre attività a livello nazionale si amplifica poi a livello internazionale».
– Anche nella subacquea siete impegnati?
«Sì e questo dà l’idea di quello che è il tessuto industriale in cui siamo presenti. C’è il polo nazionale della dimensione subacquea che sta nascendo e vuole essere un luogo di incontro di tutte le aziende che si occupano della subacquea, sia militare sia civile».
– Nella subacquea è importante il contrasto al rumore
«Sì e nel nostro territorio c’è tutta un’eccellenza, di cui noi come Dltm facciamo parte, per la divulgazione e il finanziamento di progetti che riguardano il rumore prodotto in acqua dalle navi. Tema che riguarda il settore civile e quello militare. C’è tutto un mix di attività, in cui anche noi siamo impegnati, per far incontrare ricerca e innovazione nell’attività duale, civile e militare, con varie ricadute. Il rumore delle navi da crociera non deve disturbare l’ambiente marino, mentre, per esempio, i sottomarini non devono farsi intercettare».
– Quindi l’attività dei vostri associati guarda in gran parte al duale, a prodotti utilizzabili in funzione sia civile sia militare?
«Teniamo presente che uno dei nostri principali soci è Fincantieri, che in Liguria ha una ruolo molto importante nel militare e nel civile, e ha un centro di ricerca, il Cetena, che è anche nostro socio. Il Dltm cerca di mettere a fattore comune esperienze diverse. Non a caso Sea Future, kermesse biennale che è diventata l’evento internazionale più importante in Italia del settore Blue Economy e il luogo scelto dalle aziende dove presentare le proprie novità tecnologiche nel campo militare e civile, si svolge alla Spezia, con una grandissima partecipazione di aziende, sia nazionali sia straniere. Negli anni abbiamo costruito una rete di grandi, medie e piccole aziende del settore. Tecnomar, consorzio di pmi innovative che oggi associa 75 imprese, diretto da Cristiana Pagni, è uno dei nostri soci e ha la funzione di favorire il trasferimento di tecnologia dalle grandi alle piccole. E Cristiana Pagni è anche il ceo di Ibg, la società che organizza Sea Future».
– Supportate le aziende anche nei bandi?
«Ovviamente, quando si parla di ricerca e innovazione, bisogna sapere anche come finanziarle. Il processo non è semplice. Non è automatico che uno riceva contributi solo perché sta facendo ricerca. Si passa attraverso i bandi, vuol dire che ci sono concorsi, gare. Alle quali non è facile partecipare. Noi aiutiamo le imprese, specialmente le piccole e medie, ad approcciarsi alla compilazione, alla realizzazione del bando e le affianchiamo in tutta l’attività di rendicontazione. All’impresa lasciamo l’attività di sviluppo tecnologico. Questo è un periodo magico per ottenere finanziamenti dai bandi, la Regione Liguria ne ha tirati molti fuori dopo anni di silenzio, anni in cui sono stati veramente pochi. Oggi, in effetti, ne abbiamo tutta una serie».
– Il progetto europeo Leviatad a che punto è?
«Siamo nell’ultimo terzo, nella realizzazione dei progetti finanziati. Leviatad ci mette in grado di promuovere il digitale e l’internazionalizzazione delle piccole e medie imprese e fare sistema nel duale. E ci ha permesso di aumentare la nostra rete».
– Anche in questo caso avete assistito le pmi a partecipare al bando?
«Certo, nell’ambito di Leviatad abbiamo emesso noi dei bandi per cui le pmi hanno ricevuto finanziamenti per vari processi di internazionalizzazione e digitalizzazione. Noi seguiamo molto i progetti europei. Leviatad è uno di questi, ma c’è anche Blue Ports, dedicato alla messa a sistema della formazione degli addetti nelle aree portuali, formazione che vuole essere innovativa in tutti i processi. È volto alla riqualificazione dei profili professionali di coloro che lavorano nel settore della Blue Economy per favorire la transizione verde».
– Voi assistete le aziende: all’interno di questo complesso che ruota intorno a voi si sviluppano anche forme di collaborazione diretta tra singole aziende?
«Sì, molti progetti non sono sviluppati da una singola azienda ma in Ats, associazione temporanea di scopo in cui si mettono insieme più partner per raggiungere un obiettivo e questo fa parte del tesoro che noi forniamo alle aziende. Ognuna è molto forte in un singolo specifico prodotto e facendo un progetto di ricerca insieme più aziende mettono insieme specificità diverse. Fare sistema è fondamentale».