Un 2023 da dimenticare per quanto riguarda l’Italia in materia di attrazione di “capitali di ventura”. L’anno si è chiuso con un segno significativamente negativo per gli investimenti in venture capital in aziende e startup italiane che disegnano una riduzione -49,6% rispetto all’anno precedente per un totale di 1.048 milioni di euro investiti (erano 2.080 milioni di euro del 2022).
Questo secondo quanto emerge dal report EY Venture Capital Barometer 2023 che fotografa quanto l’Italia, con 18 euro pro-capite di investimenti, sia fanalino di coda europeo; superata dalla Spagna (28 euro) e Germania (75 euro) e ben lontana dai cugini transalpini francesi che raccolgono sei volte tanto (108 euro), e a distanza abissale dal Regno Unito che svetta con 227 euro pro-capite.
«Una curva discendente che non deve essere ancora una volta sottovalutata – commenta il mid-cap investor Giovanna Voltolina (founder di GV Holdings) – considerando che il calo ha riguardato anche il numero di operazioni effettuate: solo 263 in Italia l’anno scorso, di cui 111 solo in Lombardia con un -19,6% in confronto al 2022».
Guardando la classifica per regioni la Liguria regge il colpo con una leggera flessione (-14%), meglio di altre (la Lombardia perde il 50% anche se si conferma in cima alla classifica sia per numero di operazioni, 111, sia per capitali raccolti, 651 milioni).
Il Piemonte segna 29 operazioni con 77 milioni di investimenti in calo dell’82% sul 2022 (427 milioni). La Liguria invece regge il colpo in un anno generalmente al negativo per tutte le Regioni o quasi, anche se i valori sono evidentemente contenuti, confermando la solidità dei progetti nati sul territorio e contando su 19 milioni di investimenti nel 2023, con una flessione davvero minima (-14%) rispetto ai 23 milioni del 2022.
Le uniche regioni che descrivono un differenziale positivo negli investimenti sono Friuli Venezia Giulia, al sesto posto in classifica (7 operazioni) con 37 milioni di investimenti (17 milioni nel 2022), Emilia Romagna al 7 posto in classifica (18 operazioni) con 30 milioni di investimenti (20 milioni nel 2022), Sicilia all’11esimo posto in classifica (5 operazioni) con 14 milioni di investimenti (9 milioni nel 2022), Sardegna al 12esimo posto (3 operazioni) con 7 milioni di investimenti (1 milione nel 2022) e Marche, 13esimo posto (4 operazioni) con 4 milioni di investimenti (300mila euro nel 2022).
«Questa ulteriore conferma del ‘disastro’ italiano in materia di raccolta dei capitali è a dir poco lunare – sottolineana Voltolina – tutto il mondo sarebbe pronto, subito, già da domani, a investire prima ancora che su giovani startup, dove nel mondo rappresentiamo pochissimo, quanto invece sulle nostre Pmi, da nord a sud nelle loro più variegate tipologie merceologiche».
Per Voltolina chi è al vertice delle imprese italiane ha un po’ di colpe: «Sono così tenacemente incollati al timone pur in avanzata età e non considerano il trapasso generazionale, che è poi l’esistenza futura o meno della loro stessa impresa. Solo 1 azienda familiare su 4 ha un ceo sotto i 50 anni. Ritardo tecnologico, infrastrutture e soprattutto burocrazia a tutti i livelli dell’amministrazione sono una condanna sulla nostra economia prossima ventura».
La proposta di Voltolina è la creazione di nuove “valley”. Per la Liguria auspica una Riviera Valley: «La mia soluzione è puntare sulle Pmi prima ancora che le startup e investire risorse nei distretti produttivi e tecnologici già esistenti, oppure dare vita a nuove ‘Valley’ poche e selezionate come esperimento pilota, partendo proprio dalla Liguria, con una precisa strategia per attrarre investimenti e coltivare talenti, che ora invece scappano dalla regione. Sarebbe un territorio eccezionale, potenziale volano per tutto il Paese, io stessa ho investito in imprese liguri come Arcaplanet e ho registrato risultati stupefacenti. Essenziale una maggiore attenzione alle infrastrutture, si pensi al Terzo Valico che è ancora da terminare dopo tanti anni. Più in generale, il sistema Paese dovrebbe avere la lungimiranza di de-burocratizzare e strutturare non solo dal punto di vista tecnologico. Come riportato nell’ultimo Global Innovation Index, uno dei limiti dell’attrazione di capitali in Italia è sì il gap innovativo, ma lo è altrettanto – e questo è ormai cosa nota – una burocrazia che spaventa gli investitori, italiani ed esteri».