“Elogio del capitalismo – dieci miti da sfatare” di Rainer Zitelmann (pubblicato in Italia da IBL Libri, traduzione di Gugliemo Piombini) prende in esame “le dieci più grandi falsità anticapitaliste” – il capitalismo responsabile della fame nel mondo e della povertà, delle disuguaglianze, della distruzione dell’ambiente, di continue crisi finanziarie, del dominio di pochi che dettano l’agenda politica dei governi, della promozione dell’egoismo e dell’avidità, dei consumi superflui, delle guerre, del fascismo – e le smonta una per una, dimostrando che si tratta di pregiudizi smentiti dall’evidenza empirica.
Dieci capitoli (gli ultimi tre e la conclusione indagano sulla percezione comune del capitalismo e del socialismo) densi di dati, anche molto evidenti: nel capitolo 3, per esempio, per accertare le responsabilità del capitalismo nella distruzione dell’ambiente l’autore riporta i risultati di una ricerca della Heritage Foundation i cui analisti hanno confrontato le due graduatorie riguardanti il 2020 – l’Indice di sostenibilità ambientale dell’università di Yale e il proprio Indice di libertà economica e hanno scoperto che i paesi con più alti livelli di libertà economica hanno anche i più alti punteggi ambientali. I paesi economicamente più liberi del mondo nel 2021 erano 1 Singapore, 2 Nuova Zelanda, 3 Australia, 4 Svizzera, 5 Irlanda, ecc… I paesi con i più bassi livelli di libertà economica erano Corea del Nord, Venezuela, Cuba, Zimbabwe … I ricercatori di Yale hanno anche scoperto l’esistenza di una correlazione tra l’Indice di sostenibilità ambientale dell’università di Yale e l’Indice di facilità di fare impresa della Banca Mondiale: i paesi con regolamentazioni più favorevoli per le imprese e con maggiore protezione dei diritti di proprietà sono quelli dove l’ambiente è più tutelato. Del resto si è visto lo scempio ambientale avvenuto nei paesi socialisti.
In particolare è interessante, anche considerata l’attualità dell’argomento, la messa a fuoco delle reali motivazioni che spingono certi movimenti ecologisti: non la preoccupazione per la tutela dell’ambiente ma la ricerca di uno strumento che inceppi il sistema capitalistico e costringa ci ad adottare un nuovo modello di sviluppo. L’autore cita se stesso, che da giovane marxista aveva scritto: “l’obiettivo non è quello di rafforzare l’illusione sulla possibilità di proteggere l’ambiente all’interno del sistema capitalista ma di distruggere sistematicamente queste illusioni e mostrare che la protezione dell’ambiente è possibile solo in un sistema economico totalmente diverso, nel quale i mezzi di produzione sono socializzati”. E ricorda che la famosa critica del capitalismo, Naomi Klein “ha ammesso che inizialmente non aveva un particolare interesse per il cambiamento climatico, poi ha scoperto (vedi Naomi Klein, Una rivoluzione ci salverà. Perché il capitalismo non è sostenibile, Rizzoli) che “questo tema potrebbe fare da catalizzatore per una serie di lotte per la giustizia economica sociale in cui già credevo”, e rifiuta soluzioni efficienti e rispettose dell’ambiente come l’energia nucleare perché, come il giovane Zitelmann, non è interessata a soluzioni interne al sistema. L’ambientalismo come leva per ribaltare il sistema. Ma già i primi Grünen in Germania e gli ambientalisti in Italia, all’inizio degli anni Ottanta (poi all’interno di entrambi i movimenti si sono avute diversificazioni, scontri, ed evoluzioni) erano nati proprio per esasperare la presunta contraddizione tra sviluppo economico e tutela dell’ambiente.
Forse il tratto più interessante, il baricentro di questo studio di Zitelmann, è a pagina 164, dove si legge: “l’egoismo è sempre stato un tratto umano ma nel capitalismo è limitato dal fatto che l’imprenditore che si concentra sui bisogni dei consumatori può avere successo. L’empatia, non l’avidità, è alla base del capitalismo. L’empatia è la capacità di riconoscere e capire i sentimenti e le motivazioni di un’altra persona. E questa è la qualità più importante degli imprenditori di successo”.
Un altro snodo strategico nelle argomentazioni dell’autore si trova alle pagine 346-347, dove si indaga sui motivi che rendono la religione dell’anticapitalismo (nata non tra gli operai ma tra gli intellettuali) così attraenti. Zitelmann cita Eric Voegelin, Raymond Aron e Arthur Koestler (per cui l’invidia razionalizzata e reinterpretata come impegno per la giustizia sociale è la molla che fa scattare l’avversione per il capitalismo). Tre autori importanti, che possono completare l’indagine empirica dell’Elogio del capitalismo. Soprattutto Voegelin, filosofo politico tedesco, naturalizzato statunitense (Colonia 1901 – Palo Alto 1985) può darci una spiegazione di fondo su come alcuni movimenti politici siano diventati religioni. Dalla ricerca di Voegelin emerge come i movimenti ideologici di massa e le loro manifestazioni totalitarie siano caratterizzati da un aspettativa escatologica, diventata immanente, che produce una nuova religiosità intramondana, la quale pretende di realizzare in terra il Regno di Dio e che lo studioso riconduce alla gnosi. La secolarizzazione diviene, così, religione, riproponendo la redenzione cristiana svuotata di ogni contenuto trascendente. Il movimento di Gioacchino da Fiore, il puritanesimo, la rivoluzione giacobina, il comunismo, il nazismo e il fascismo sono tutti tentativi di realizzare il Regno di Dio sulla terra.
Storico, sociologo e giornalista, Rainer Zitelmann con IBL Libri ha pubblicato La forza del capitalismo (2020) e Ricchi! Borghesi! Ancora pochi mesi! (2021) (vedi qui )