L’1 gennaio 2021 l’Istat contava 566.410 abitanti nel Comune di Genova. A un anno di distanza gli abitanti del capoluogo ligure sono scesi a 560.688, una perdita di 5.722 persone (-1,01%).
Un calo demografico che si riscontra anche a livello nazionale: al 31 dicembre 2021 la popolazione residente (58.983.122 persone) è inferiore di circa 253 mila unità rispetto all’inizio dell’anno (-0,4%). Nei due anni di pandemia, rivela l’analisi dell’Istat, il calo di popolazione è stato di quasi 616 mila unità, soprattutto per effetto del saldo naturale.
«L’unica soluzione per fermare questa emorragia è più lavoro e di qualità – osserva Igor Magni, segretario generale della Cgil Genova – il calo demografico dei genovesi non è compensato nemmeno dai migranti: aumentano gli anziani e la popolazione diminuisce, le condizioni perfette per la stagnazione economica. Occorrono maggiori investimenti su lavoro, scuola e formazione, servizi e infrastrutture che creino le condizioni affinché i giovani decidano di restare e magari ne arrivino altri».
Marco De Silva, responsabile dell’Ufficio Economico Cgil Genova e Liguria, fa notare che «se prendiamo a esempio l’arco di tempo che va dall’1 gennaio 2017 al 1 gennaio 2022, il Comune di Genova ha perso qualcosa come 22.913 abitanti (-3,93%), in pratica l’equivalente della popolazione di Arenzano e Recco messa insieme».
Secondo l’Istituto nazionale di statistica, alle conseguenze dirette e indirette dell’epidemia da Covid-19 osservate nel 2020 (drammatico eccesso di mortalità, forte contrazione dei movimenti migratori, quasi dimezzamento dei matrimoni celebrati), nel 2021 si aggiungono gli effetti recessivi dovuti al calo delle nascite, che scendono sotto la soglia di 400 mila, facendo registrare ancora una volta un nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia.
La diversa diffusione dell’epidemia da Covid-19 nei territori e l’inizio della campagna vaccinale, entrata nel vivo a inizio estate, spiegano il calendario e la geografia delle variazioni dovute alla dinamica demografica: il periodo da gennaio a fine maggio (prosieguo della seconda ondata di fine 2020), contraddistinto da un’elevata ascesa di contagi e decessi; una fase di transizione (da giugno a settembre) con un rallentamento dei contagi per effetto delle prime evidenze degli effetti della campagna vaccinale sulla riduzione della mortalità; una successiva nuova ondata epidemica, a partire dalla fine di settembre, con una drammatica riacutizzazione dei casi dovuti anche alla diffusione di nuove varianti del virus a elevata contagiosità.
Il nuovo record minimo di nascite (399 mila) e l’elevato numero di decessi (709 mila) aggravano la dinamica naturale negativa che caratterizza il nostro Paese nell’ultimo decennio. Il saldo naturale, che già nel 2020 aveva raggiunto un valore inferiore solo a quello record del 1918 (-648 mila), nel 2021 registra un ulteriore deficit di “sostituzione naturale” pari a -310 mila unità.
Calo delle nascite: l’effetto Covid pesa solo in parte
Il calo dei nati totali, già osservato nel corso del 2020 (-3,6% rispetto al 2019) tuttavia è dovuto solo in parte limitata agli effetti della pandemia, secondo l’Istat. I primi effetti sulle nascite riferibili ai concepimenti di marzo e aprile 2020 (primo lockdown) possono essere osservati a partire dagli ultimi due mesi dell’anno, soprattutto a dicembre 2020 (-10,7%).
L’andamento nel corso del 2021 consente di avere un quadro più dettagliato delle conseguenze che l’epidemia ha avuto sull’andamento delle nascite. Il calo dei nuovi nati prosegue nei primi due mesi del 2021: a gennaio si registra la massima contrazione a livello nazionale (-13,4%), con un picco nel Sud (-15,0%). Il calo continua nel mese di febbraio, seppure in misura più contenuta (-4,8%). Il deficit di nati a gennaio 2021, tra i più ampi mai registrati, lascia pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia. Il crollo delle nascite tra dicembre 2020 e febbraio 2021, da riferirsi ai mancati concepimenti durante la prima ondata pandemica, è sintomo della posticipazione dei piani di genitorialità che si è protratta in modo più marcato nei primi sette mesi, per poi rallentare verso la fine dell’anno. Il rinvio delle nascite è particolarmente accentuato tra le donne più giovani.
L’illusoria impressione di superamento dell’emergenza percepita a maggio 2020 può aver determinato l’aumento dei nati a marzo 2021, mese in cui si osserva una lieve inversione di tendenza (+4,7%) rispetto allo stesso mese dell’anno precedente; si tratta dei nati concepiti durante l’inizio della fase di transizione tra le due ondate epidemiche del 2020. Il trend rimane ancora debolmente positivo ad aprile (+1,3% rispetto alle stesso mese dell’anno precedente), per poi tornare negativo soprattutto nei mesi di giugno e luglio (rispettivamente -5,7% e -5,5%), in corrispondenza dei concepimenti avvenuti nel corso della seconda ondata epidemica.
Elevato il numero di decessi
L’impatto del numero di morti da Covid-19 sulla dinamica demografica è rilevante anche nel 2021, in termini quantitativi e geografici: sono circa 59 mila, pari all’8,3% dei decessi totali per il complesso delle cause, in calo rispetto all’anno precedente quando se ne erano contati oltre 77 mila, il 10,3% del totale. Anche il totale dei decessi (709.035) risulta in diminuzione rispetto all’anno precedente (oltre 30 mila decessi in meno) ma è significativamente superiore alla media 2015-2019 (+9,8%). A differenza di quanto accaduto nel 2020, l’eccesso di mortalità rispetto alla media 2015-2019 non è concentrato al Nord ma si manifesta su tutto il territorio. È nel Mezzogiorno che si osserva l’eccesso di mortalità maggiore dell’anno 2021 rispetto al periodo 2015-19 (+12,9% di decessi), con regioni come Puglia (+18,5%) e Molise (+14,6%) ben sopra la media nazionale (+9,8%). Al Nord solo la Provincia autonoma di Bolzano e il Friuli-Venezia Giulia presentano un eccesso superiore al 13%.