«Le navi continueranno a portare troupe cinematografiche hollywoodiane, con una sceneggiatura confezionata a New York, un attore lappone per interpretare il ruolo di un abitante delle Marchesi e una messicana per interpretare una tahitiana… In nome dell’arte verranno nascoste le case comode, le macchine, le corriere, gli indigeni in bicicletta, e si andrà a girare l’inevitabile scena della Cascata dopo avere parlamentato con le tahitiane per ottenere che si mettano a seno nudo…»
Nel suo reportage intitolato “Les gangster dans l’archipel des l’amour”, pubblicato da Paris-Soir nel 1935, Simenon distrugge gli stereotipi che sull’arcipelago polinesiano si sono accumulati in Europa a partire dalla notizia dell’ammutinamento dell’equipaggio del capitano William Bligh a bordo della nave HMS Bounty e dei primi racconti sulla bellezza e la grazia della gente tahitiana. L’articolo è pubblicato, in “A margine dei meridiani”, la terza raccolta Adelphi dei reportage dello scrittore belga (traduzione di Giuseppe Girimonti Greco e Francesca Scala, con un ricco apparato di fotografie scattate dallo scrittore e una nota di Matteo Codignola), dopo Il “Mediterraneo in barca”, uscita nel 2019, ed “Europa 33” (vedi qui ), uscita l’anno scorso.
Se in “Europa 33” Simenon riesce a rappresentarci nella sua essenza il continente tra le due guerre, l’Europa «che sonnecchia sotto la neve e che, come chi dorme male, è scossa da bruschi e terrificanti sussulti», offrendoci un affresco potente, realistico fino alla brutalità e profetico, fatto di immagini e brevi conversazioni, nei reportage raccolti in “A margine dei meridiani” ci mostra dei paesi esotici spogliandoli dei luoghi comuni che gli europei vi hanno accumulato nei secoli.
Come in “Europa 33” aveva intuito, senza bisogno di analisi da economista, l’inconsistenza e la pericolosità delle pretese autarchiche e del protezionismo che si stavano diffondendo nel mondo e messo a nudo l’atroce fallimento del comunismo proprio quando l’Unione sovietica iniziava a essere meta di pellegrinaggi devoti di scrittori e giornalisti, negli articoli di questa raccolta, Simenon, con l’acutezza dello sguardo e l’umorismo reso con poche righe asciutte, osservazioni semplici, dirette, alternate a virgolettati altrettanto semplici – distrugge le utopie dei paradisi terrestri e dei ritorni idilliaci alla natura. Non esistono Eden incontaminati a cui ritornare. «Insomma, viaggiare significa sempre rimanere scottati; si distruggono le proprie illusioni. Senza esagerare, forse potremmo dire che si viaggia per compilare l’elenco dei paesi in cui non si avrà più voglia di mettere piede».
Gli articoli riportati da Adelphi sono molto diseguali tra loro: nel “Paese del freddo”, all’estremo Nord, lo scrittore dimostra come fosse facile, anche allora, la vita del turista che scivola sulla superficie di un mondo in cui «le abitazioni sono semplici case di legno ma calde e accoglienti» e nei negozi si trovano «gli ultimi dischi di Parigi, Londra e Berlino» ma può accadere che i pescatori vengano inghiottiti dai gorghi del Maelström e i cacciatori di foche debbano vagare sui ghiacci per mesi e mesi, nutrendosi di di uccelli e, nei casi estremi, per sopravvivere, del cadavere dei compagno morti.
Nell’arcipelago delle Galapagos, inviato da Paris-Soir per indagare su un caso di cronaca nera, che l’anno prima, nel 1934, aveva fatto scalpore in Europa, con al centro una baronessa austriaca e i suoi due amanti, Simenon forse scopre che senza Maigret e la finzione letteraria fare luce sui delitti non è facile. Le due morti della vicenda rimangono misteriose e l’autore del reportage “Le drame mystérieux des îles Galapagos” si limita a un resoconto un po’ raffazzonato dei fatti. Notevole che delle Galapagos, che per noi vogliono dire Darwin e iguane marine, leoni marini, foche, tartarughe giganti e altre meraviglie l’autore non ci racconti nulla. Non è questo che gli interessa.
Nel reportage sulla vita di bordo scriverà: «in Sudamerica ho visto bestiacce terrificanti come l’Apocalisse, che vi riportano ai tempi del diluvio universale» … «Ma non importa! Vengo al punto! Ho visto degli uomini! Tutti gli uomini da Adamo fino ai giorni nostri. E vi assicuro che questa è la cosa triste! ».
Simenon ha visto «tutte queste formiche con indosso il burnus che brulicano sulla terra biblica d’Egitto, a dorso d’asino o di cammello… e i gialli inquieti e inquietanti… Noi invece ce ne andiamo a spasso per il mondo con i nostri bei completi, i caschi, i coltelli, i giornali e la radio». Una visione che demolisce non solo gli stereotipi dell’esotismo ma la ricerca stessa dell’esotico: «Domani sbarcherò a Bombay. Perché si deve! Avete capito, adesso? Scalpito e fremo. Ne ho abbastanza! Mi gira la testa! E pagherei pur di non vedere più gli uomini per un po’ di tempo, pur di poter vivere, per esempio, con Mickey Mouse o con i tre porcellini che non hanno paura del lupo cattivo. Stamattina, uscendo dalla cabina, ho intravisto una bambina immersa nella lettura di Alice nel paese dele meraviglie. Lei sì che può ancora sbarcare a Bombay, a Calcutta, a Porto Said o a Gibuti. Quanto a me, d’ora in poi cercherò solo una cosa: un cinema in cui diano dei cartoni animati!»