«Comprese molte cose di se stessa e delle persone che aveva avuto accanto, comprese il valore del tempo e capì che non poteva più indugiare e doveva costruire il suo futuro, un tassello dopo l’altro».
“La Casa delle ombre e delle luci” di Beatrice Minella (ed. All Around) si conclude con questa constatazione: Elisabetta, la protagonista scopre la propria vera identità, giungendo così alla risoluzione dell’intreccio, mediante una serie di agnizioni che coinvolgono in sostanza quasi tutti i personaggi del romanzo.
Come nei classici, nel romanzo antico e nelle commedie di Plauto, Terenzio e Menandro, nei romanzi epico-cavallereschi di Boiardo, Ariosto e Tasso, nelle fiabe e nelle leggende e, al giorno d’oggi, nei romanzi “rosa” e “gialli”, l’agnizione fa scoprire parentele inattese tra i personaggi principali, fino al momento della rivelazione finale, allontanata dall’autore per ottenere l’effetto di suspense.
Ma nel romanzo di Beatrice Minella la rivelazione finale che nasce dalle successive scoperte della vera storia degli altri personaggi permette alla protagonista di comprendere non solo la propria identità anagrafica ma «molte cose di se stessa e delle persone che aveva avuto accanto».
Il meccanismo dell’agnizione trasforma il racconto in un “romanzo di formazione”. Elisabetta, che è vissuta di lavori precari, difficoltà di relazione anche con le (ambigue) persone più vicine, paura di soffrire, amori tormentati, alla fine vede chiaro: capisce chi lasciare e chi andare a cercare e compera un biglietto aereo che «di lì a poco avrebbe cambiato il corso della sua vita».