La pandemia da Covid sta aggravando alcune debolezze strutturali del sistema-Italia, con il risultato di esasperarne gli effetti ma anche di metterle in luce e di facilitarne la comprensione. Lo abbiamo visto con l’emergenza sanitaria, dove sembra che l’alta percentuale di ricoverati in terapia intensiva e il conseguente pesante indice di mortalità in rapporto agli altri paesi europei, potrebbero essere stati causati dalla focalizzazione degli investimenti regionali sul “sistema ospedale-centrico”, con conseguente scarsa attenzione alla medicina di base e del territorio. Cioè a quelle strutture decentrate che con interventi “dal basso” e immediati avrebbero potuto prevenire l’aggravarsi di molti casi e limitare i ricorsi alla spedalizzazione.
Ora si profila il rischio che un’altra dinamica, come quella sanitaria accelerata dalla crisi ma originata da errori e ritardi perpetuati nel tempo, venga affrontata con una logica emergenziale, senza interventi sulle cause strutturali ma con tentativi di limitare gli effetti. Anche il questo caso senza prevenire. Il 30 giugno – salvo proroga – decadrà la normativa governativa vigente in tema di divieto di licenziamento economico da parte delle aziende. Ampio è il dibattito sugli interventi correttivi da adottare in corso fra le parti sociali, la politica e gli esperti. Chi propone a gran voce la proroga all’autunno del divieto di licenziamento economico in attesa dell’auspicata ripresa, chi chiede la liberalizzazione immediata del mercato del lavoro confidando nelle sue capacità auto-regolatorie, chi infine propone soluzione intermedie e/o creative.
Questo dimostra ancora una volta l’abitudine nazionale a focalizzarsi sull’urgenza, cioè sulla “malattia”, al contrario si dovrebbe porre maggiore attenzione alla vera priorità, ossia la “prevenzione”!
Per quanto riguarda la crisi occupazionale gli elementi strutturali sono: la rigidità del mercato del lavoro; l’arretratezza dei meccanismi di incontro fra domanda e offerta che vede l’utilizzo del passaparola e della “raccomandazione” quale principale canale di reclutamento (>80%); la marginale incidenza dei Centri pubblici per l’Impiego (CPI) nei processi di orientamento, di informazione e di incontro fra domanda e offerta di lavoro; l’assenza di un’efficace e coordinata azione di indirizzo nelle politiche formative (sia di base sia specialistiche) finalizzate alla formazione e all’aggiornamento permanente di profili rispondenti alle richieste del Mercato, in termini di abilità, competenze e capacità. Le conseguenze sono evidenti: una sensibile distanza fra i dati nazionali e i migliori indici europei su occupazione, disoccupazione, inoccupazione, ricerca del lavoro rispetto a genere, classe di età (<35 e >55), aree territoriali, titolo di studio. Segnalo in particolare la scarsa attenzione della politica e delle parti sociali nei confronti dell’obiettivo della massima “occupabilità”, del suo carattere di priorità nazionale, delle possibili modalità per favorirla, così da mitigare gli effetti devastanti della “disoccupazione”, da affrontare non soltanto con interventi emergenziali, ma attraverso la costruzione e il mantenimento di un efficace Sistema nazionale del Lavoro.
Ma quali possono essere le azioni concrete per agire incisivamente e in via preventiva sul mercato del lavoro?
Suggerisco in primis l’attivazione di “coordinate azioni di politica attiva del lavoro”, iniziando a rendere effettive quelle già programmate, mettendole subito in campo, potenziandone l’efficacia attraverso il reclutamento di qualificate risorse umane da dedicare all’implementazione e gestione dei singoli progetti, utilizzando le soluzioni tecnologiche più idonee, garantendo nel tempo sufficienti risorse finanziarie, attivando le possibili sinergie fra interventi pubblici ed iniziative private.
Da consulente di carriera propongo qualche esempio concreto di micro-intervento:
– incentivi per i singoli lavoratori dipendenti e per i lavoratori autonomi, anche sotto forma di voucher, per intraprendere o completare percorsi formativi individuali di specializzazione (tecnica, professionale, manageriale, ecc.);
in alternativa detrazione fiscale delle spese sostenute per la partecipazione (a prescindere dall’età anagrafica) a corsi abilitanti, a master, a corsi specialistici, a corsi universitari, ecc.;
– esenzione dell’Iva per qualsiasi intervento formativo rivolto all’aggiornamento delle competenze e allo sviluppo delle capacità indispensabili all’incremento dell’occupabilità, avviato da impresa, ente bilaterale, ente formativo accreditato, professionista certificato, altra struttura formativa idonea e qualificata;
– esenzione dell’Iva e defiscalizzazione di interventi rivolti alla valorizzazione delle capacità e delle competenze individuali e più in generale allo sviluppo della occupabilità, quali l’assistenza nella redazione di “Bilanci individuali delle Competenze” e di piani di “consulenza individuale di carriera”;
– estensione del regime forfetario ai lavoratori autonomi che operino, anche fuori da Ordini professionali, a prescindere dall’età anagrafica e da precedente stato di lavoro (dipendente, disoccupato, pensionato, inoccupato, ecc.) con innalzamento del tetto di fatturato.
Il Piano nazionale di rilancio del Lavoro (sia per i dipendenti che per gli autonomi) avrà successo se la sua realizzazione avverrà nel rispetto delle linee guida europee, attraverso interventi sistematici e non episodici, orientandosi alle priorità e non rincorrendo le urgenze, individuando le reali necessità della Domanda di professionalità (lato aziende e organizzazioni pubbliche e private) e i profili distintivi l’Offerta di professionalità (hard e soft skill).
Aldo Cinco
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