Ha cominciato a circolare nei giorni scorsi un’ipotesi di aggregazione di Banca Carige con la Banca Popolare di Bari e soprattutto con il Monte Paschi di Siena, la banca più antica del mondo da molti anni ormai sta protagonista di complicate vicissitudini che la mantengono al centro dell’attenzione del governo nazionale e delle istituzioni europee.
Visto che notoriamente l’unione di tre debolezze non presuppone niente di buono, qualcuno ha ritenuto di inserire nella partita il gruppo Unicredit, che per la sua dimensione continentale e solidità patrimoniale potrebbe certamente rendere il progetto industrialmente più credibile. La fattibilità tecnica, comunque presunta ex ante, di un progetto di questo tipo non lo rende tuttavia né semplice né, soprattutto, opportuno.
L’operazione è appoggiata, questo non sorprende, dal Movimento 5 Stelle, e in prima persona dal viceministro dell’Economia Laura Castelli, famosa per “Questo lo dice lei!”, espressione con cui aveva apostrofato l’ex ministro ed ex presidente dell’Ocse Padoan durante un dibattito televisivo. Già il fatto che una persona senza alcuna competenza sul tema sia giunta a posizioni di tale rilievo nel governo nazionale è un indicatore inequivocabile dei tempi che stiamo vivendo. Ma in questo caso possiamo osservare che si tratta di molto di più.
In passato avevamo analizzato su questo giornale le ragioni di fondo che hanno minato il sistema bancario, in particolare quello italiano, e ancora più in particolare la ligure Banca Carige, in conseguenza del combinato disposto di un inasprimento delle regole di erogazione del credito da parte della vigilanza europea, e di una radicale riduzione dei tassi di interesse, che costituiscono il principale ricavo di un’azienda di credito, a zero e talvolta sotto zero, con l’inespresso obbiettivo di salvare stati indebitati in modo insostenibile (l’Italia, per importanza e dimensione, logicamente prima anche se cronologicamente dopo la Grecia).
Questa operazione mentre scrivo sembra ormai improbabile vada in porto (per lo meno con il coinvolgimento di tutti gli attori citati) ma il fatto rilevante, per l’osservatore intenzionato a vederlo, è che si tratterebbe dell’ennesimo tassello di un quadro generale sempre più chiaro. E di una tendenza o di un progetto che, pur preesistendo in qualche forma alla pandemia e al conseguente sconvolgimento di ogni previsione di quest’anno, proprio grazie alla pandemia ha trovato il modo di concretarsi nel modo più compiuto e senza alcuna resistenza.
Mi riferisco all’invasività dello stato, inimmaginabile fino a qualche anno fa. Al di là della relazione di privati e imprese con il sistema pubblico, dominata da una burocrazia soverchiante che riduce l’interlocutore a suddito, è lo “stato imprenditore” che sta assumendo un ruolo pervasivo. E lo sta assumendo in massima misura attingendo a risorse non sue, anzi senza in alcun modo premurarsi di far di conto, bensì appigliandosi a radicate incrostazioni ideologiche che risultano in un incontrollabile interventismo. Il governo ha assegnato a Cassa Depositi e Prestiti un ruolo di una tale centralità che neanche l’Iri nel secondo dopoguerra aveva avuto. La lista delle iniziative, in continuo aggiornamento, è già oggi considerevole: dalle Autostrade all’Alitalia, dalle carte di credito di Nexi ad Arcelor Mittal Italia, dove l’Invitalia del super-commissario Arcuri passa senza batter ciglio dal global supply di mascherine di protezione individuale alla siderurgia, senza alcun bisogno di dimostrare competenza né di raggiungere risultati positivi.
La pandemia ha permesso di utilizzare l’argomento dell’emergenza non solo – comprensibilmente – per gestire gli aspetti prettamente sanitari, ma soprattutto per poter sdoganare una spesa senza freni gestita come se non ci fosse un domani.
Le enormi risorse di cui lo stato dispone da tempo sono insufficienti a sostenere le politiche populiste messe in atto dai governi negli ultimi anni, sì che il debito pubblico sta esplodendo e senza il supporto della Banca centrale europea lo stato italiano sarebbe già fallito. Ciononostante, niente sembra possa fermare il trend, e il prossimo arrivo (probabile?) dei fondi europei Next Generation Eu non farà che aggravare la situazione. Nel dibattito pubblico e sui media, salvo rarissime eccezioni, è completamente assente l’idea stessa che il debito andrà poi restituito per lasciare solo spazio alla modalità dell’accaparramento. Non ricordo quale ministro giorni fa, confidasse che la legge di bilancio di quest’anno, con il patto di stabilità sospeso e virtualmente nessun vincolo di spesa, fosse il sogno di qualunque politico.
Ci accorgeremo presto quanto tutto questo avrà pesantissime conseguenze per gli anni a venire, non solo per l’esplosione di un debito costituito da risorse che – come ci ha ricordato recentemente Ursula Van Der Leyden – sono state prese a prestito dalle generazioni future, ma per le conseguenze di lungo termine che ci vorranno molti anni per recuperare.