La Liguria è la regione in cui c’è la percentuale maggiore di imprese che hanno fatto richiesta di accesso alle misure di sostegno della liquidità e del credito contenute nei decreti governativi: il 49,4% al pari delle Marche.
È quanto emerge dall’analisi Istat sulla “Situazione e prospettive delle imprese nell’emergenza sanitaria Covid-19”. Una rilevazione condotta tra l’8 e il 29 maggio 2020.
Tuttavia il 21,3% ha incontrato difficoltà legate ai tempi di risposta delle banche e il 18,6% nella fase di istruttoria. Il 19,8% non ha incontrato nessuna difficoltà, mentre il 10,5% le ha avute nel produrre la documentazione necessaria.
Delle richieste inoltrate ben il 52,6% però non ha ancora un esito noto, mentre il 34,7% ha visto accogliere del tutto la propria richiesta. Il 10,6% l’ha vista accogliere solo in parte. Il 2,1% invece ha visto la propria richiesta rifiutata.
Aperture e chiusure
Analizzando le conseguenze dell’emergenza Covid sulle aperture, emerge che in Liguria il 34,1% delle attività è stata sospesa per decreto del governo e non è ripresa fino al 4 maggio. Il 4,7% ha ripreso prima del 4 maggio grazie a una richiesta di deroga. Il 12,2% ha ripreso prima del 4 maggio grazie all’ordinanza regionale o altri provvedimenti normativi. Inoltre il 7,1% delle aziende deciso di sospendere l’attività in autonomia sino al 4 maggio, mentre il 4,6% ha deciso di sospendere, ma ha ripreso prima del 4 maggio. Il 37,4% non si è mai fermato.
Le imprese osservate e gli addetti per regione sono 28.620 per la Liguria, pari al 2,8% italiano per un numero di addetti di 291.562 unità (il 2,3%).
Il crollo dei fatturati
Il 43,2% delle aziende nel marzo-aprile 2020 rispetto a marzo-aprile 2019 ha ridotto il fatturato di oltre il 50%. Il 13,6% non ha conseguito fatturato, mentre il 24,5% ha visto una riduzione tra il 10 e il 50%. Solo il 3,2% ha visto una riduzione inferiore al 10%. Poche le “fortunate”: il 9,9% non ha subito variazioni, lo 0,8% l’ha aumentato meno del 10% e il 4,9% ha visto un incremento di oltre il 10%.
C’è chi non riaprirà
Solo il 39,1% delle imprese ha ripreso l’attività dal 4 maggio, mentre la maggioranza, ossia il 59,6%, ha dichiarato di riprendere le attività dopo il 4 maggio ed entro la fine del 2020. Le imprese cessate o che non prevedono di riprendere le attività entro la fine dell’anno sono l’1,3%.
Inoltre il 15,9% delle aziende ritiene non possibile adeguare gli spazi di lavoro per garantire il distanziamento e il 29,3% ritiene che sia possibile in modo coerente con la ripresa delle attività. La maggioranza (il 54,9%) ha già adeguato gli spazi di lavoro.
Gestione del personale durante il Covid
Il 25,5% delle imprese liguri ha introdotto la pratica del cosiddetto “smartworking”, il 27,9% ha ridotto le ore di lavoro o dei turni del personale. Solo l’1,4% ha invece aumentato lavoro o turni. La rimodulazione dei giorni di lavoro o l’aumento dei giorni di apertura ha interessato il 10,3% delle aziende. Ben il 60,5% ha fatto ricorso alla cassa integrazione, mentre il 37,2% ha utilizzato ferie obbligatorie o altre misure temporanee per la riduzione dei costi. Il 5,5% ha ridotto il personale a tempo determinato o dei collaboratori esterni (mancato rinnovo del contratto). L’1,7% ha ricorso ai licenziamenti, mentre il 12,1% ha rinunciato alle assunzioni previste. L’1,6% ha fatto nuove assunzioni. Il 6,5% non ha fatto ricorso a nessuna misura.
Smartworking, per quanti è possibile?
Secondo l’indagine di Istat il 70,8% del personale delle aziende liguri non può andare in smartworking perché necessaria la presenza nei locali dell’impresa. L’11,5% sostiene che è possibile per meno di un quarto del personale aziendale, l’8,5% per un numero che arriva fino alla metà degli addetti. Più bassa la percentuale (4,4%) delle aziende che possono mettere in smartworking un numero di addetti tra il 50 e il 75%, mentre il 4,8% oltre il 75%.
L’utilizzo del lavoro a distanza è aumentato nel periodo di lockdown per poi ridursi tra maggio e giugno. In Liguria nel bimestre gennaio-febbraio solo l’1,6% del personale era impegnato con lo smartworking. A marzo e aprile la percentuale è salita a 9,1, per poi scendere a 5,9% a maggio-giugno.
Gli effetti del Covid sull’impresa: rischi operativi seri
Il 34,9% delle aziende ritiene che ci sono seri rischi operativi e di sostenibilità dell’attività. Il 3,8% addirittura che non sarà possibile o economicamente sostenibile, adeguare o organizzare l’attività per garantire le distanze minime. La riduzione dell’attrattività dei prodotti per la cancellazione di fiere o eventi promozionali è determinante nell’11,6% delle imprese liguri, mentre per il 34,7% si ridurrà la domanda locale dei prodotti o servizi anche a causa delle paure delle persone ad accedere agli spazi fisici aziendali.
Per il 37,8% si ridurrà la domanda nazionale dei prodotti o servizi, inclusa la domanda turistica, mentre per il 17,5% si ridurrà la domanda estera.
Il timore più grande è però quello della mancanza di liquidità per far fronte alle spese: è preoccupazione per il 50,64% delle imprese.
Solo il 10,8 è relativamente ottimista e non prevede effetti particolari.
Le domande, naturalmente, erano a risposta multipla.
Strategie adottate o in corso di valutazione per rispondere alla crisi
Fare di necessità virtù o intuire la possibilità di un cambiamento dovuto a questa crisi non sembra essere nei pensieri della maggioranza delle imprese.
Il 5,5 ha o intende produrre nuovi beni o nuovi servizi connessi con l’emergenza sanitaria legati alla propria attività economica. Il 7,3% nuovi beni o servizi non connessi con l’emergenza sanitaria. Solo lo 0,4% ha optato o vorrebbe per un cambiamento radicale dell’attività. Il 10,4% pensa alla modifica o all’ampliamento dei canali di vendita o dei metodi di fornitura dei prodotti (e-commerce per esempio).
Il 41,5% resta così com’è, mentre il 5,7% intende adottare nuovi modelli di business. Il 6,5% ha modificato la quantità di ordini, mentre l’11,2% ha differito o annullato i piani di investimento. L’8,9% ha ridotto o pensa di annullare il numero dei dipendenti. Solo il 2,1% pensa di aumentare gli investimenti per riconvertire o estendere l’attività produttiva.
Quali strumenti per soddisfare il fabbisogno di liquidità
Il 23,4% ha ricorso o intende ricorrere alle attività liquide in bilancio, il 26,6% a margini disponibili sulle linee di credito. Ben il 48,8% delle imprese ha fatto ricorso o intende ricorrere al debito bancario per fronteggiare il fabbisogno di liquidità causato dall’emergenza Covid. Una delle percentuali più alte d’Italia. Il 21,8% non ricorrerà a nessuno strumento. Il 23,1% intende modificare le condizioni e i termini di pagamento con i fornitori, mentre il 13,2% differirà i rimborsi dei debiti. L’8,8% proverà a rinegoziare i canoni di locazione.