Quanto e costato al sistema Paese il togliere di mezzo le speranze di carriera di impiegati, operai, piccoli professionisti, che speravano di potersi riscattare migliorandosi socialmente? Quanto ha tolto alla crescita dell’Italia l’appiattimento economico dei lavoratori dipendenti di ogni ruolo e l’eliminazione della (per quanto poca) meritocrazia?
L’ormai rattoppata classe media italiana – afferma il ministro dell’economia Padoan – dice sempre di no. È così diversa quella della provincia americana che ha votato Trump da quella ligure di oggi? Probabilmente no. Come giudice di chi e di ciò gli ha cambiato la vita non in meglio, il “colletto bianco” ora ingrigito (o quello blu molto stropicciato) di Genova o Savona ha le proprie sentenze già scritte, sia per quanto riguarda i cambiamenti sociali odierni sia per quelli proposti per il proprio futuro.
Il ragionamento che l’appartenente alla “classe media che fu” fa, è lo stesso sotto la Lanterna o nelle piccole città americane. Si è passati in meno di trent’anni dalla buona o quantomeno discreta qualità della vita delle famiglie monoreddito, alla identica buona o quantomeno discreta qualità delle famiglie a due redditi. Per poi scivolare dalla faticosa quadratura del bilancio delle famiglie a doppio reddito alla difficilissima quadratura del pranzo con la cena delle famiglie monoreddito.
Oggi la maggioranza delle famiglie con due stipendi medi vive sempre sulla lama del rasoio, nel terrore di una spesa imprevista. Il nucleo monoreddito da lavoro dipendente si avvicina sempre più spesso ai siti della Caritas. Chi invece un lavoro lo sta ancora cercando, non lo trova quasi mai adeguato al proprio titolo di studio o alla propria esperienza. Deve sempre stare uno o due gradini sotto. Quindi la difesa di chi ha qualcosa o pochissimo (in termini di disponibilità di un lavoro o di una modesta quota di risparmio) del proprio avere, diventa strenua, dura ai limiti dell’irrazionalità.
Dicono gli analisti politici che queste condizioni sociali e di reddito sono alla base della vittoria di Trump. E in Liguria? Senz’altro chi ha già dato moltissimo o quasi tutto e continua a dare, ha interesse che il Paese, la regione Liguria, Genova, continuino ad avere un equilibrio economico e sociale. Si parla di quella classe media che si nutre di un futuro proprio, che ha rappresentato e rappresenta la spina dorsale del territorio, che è stata percossa da sistemi fiscali e normative inique, sbatacchiata dalle politiche di falsa uguaglianza, martirizzata ogni volta che c’era e c’è bisogno di “solidarietà di Stato”, accusata di non accettare il cambiamento quando – ai cambiamenti anche stravaganti di chi la guida – si è sempre saputa adattare migliorando dal basso le assurdità che spesso arrivavano dall’alto.
La classe media regge il Paese versando quasi il 90% delle tasse
Per classe media, nell’immaginario collettivo, si continua a intendere solo quelli che furono i colletti bianchi. Gli impiegati, i quadri aziendali pubblici e privati. Quelli che – sbertucciati – puntavano alla carriera derivante dal merito per migliorare il proprio status sociale. Oggi in questo novero sono stati inglobati anche quei colletti blu che hanno un lavoro fisso (anche perché un lavoro stabile non lo ha più nessuno), un nugolo di giovani professionisti che fa moltissima fatica a guadagnare come un impiegato, la parte più fortunata del mondo delle partite iva che, con capacità, è riuscita a crearsi una attività che possa dar da vivere in maniera anche solo dignitosa. L’età media della classe media (perdonate il gioco di parole) non è certo bassa. Ma regge il Paese versando quasi il 90% delle tasse, mantenendo lo stato sociale, e si sforza di dare al Paese una vita vivibile. Rappresentanza politica? Pochissima. Presenza in politica? Ancora meno.
Poi ci sono i pensionati, che in buona parte provengono dalla classe media e che nella classe media ancora un po’ si rispecchiano. Il rapporto tra numero percentuale dei pensionati e occupati in Liguria difficilmente troverà miglioramenti statistici in futuro. La sola Genova, in quattro decenni, ha perso oltre 25% degli abitanti (da oltre 800 mila a 600 mila odierni), la percentuale dei giovani ad alta scolarizzazione che emigrano per trovare lavoro è rilevante, come quella dei giovani disoccupati. Come guarderà al referendum questa classe media, con vestiti e cravatte consumati, ma che sanno scegliere la strada giusta? Sono persone che sanno valutare da sole, senza spinte politiche o propagandistiche. E oggi c’è un nuovo punto sul quale riflettere. Per la prima volta da decenni le aspettative di vita stanno diminuendo. Di circa tre mesi per gli uomini, poco meno per le donne.
L’aspettativa di vita è il parametro base per calcolare l’importo delle pensioni. In Italia è ancora molto alta, in Liguria di più. Tra le prime dieci del mondo. L’aspettativa media alla nascita è di 82,03 anni; 79,40 per gli uomini, 84,82 per gli uomini. E su queste “speranze” l’Inps spalma l’erogazione prevista di ogni singola pensione. Certo, il sistema contributivo cambierà non di poco l’importo dell’assegno. Pur tuttavia, il sistema di calcolo parrebbe contenere un qualcosa che potrebbe cambiare, parecchio, il concetto di aspettativa di vita. A ieri questa veniva determinato dal fatto che l’età del pensionamento era fissato a 55 anni e 35 anni di contributi. Un’età e una consunzione fisica e mentale fino a cinque anni fa considerate giuste per poter vivere ancora la terza età, o almeno una parte di essa, in salute e dunque con la possibilità di poter beneficiare ancora in forma del proprio tempo. Il ritiro dal lavoro a 62, 66 o 67 anni e tre mesi, di quanto andrà a inficiare – con i ritmi odierni – la possibilità di “andare in pensione” in condizioni decenti di salute? E l’aspettativa di vita, per chi ha lavorato per 10-12 anni di più dei “fortunati” percettori odierni, resterà identica? Cosa saranno mai tre mesi in meno di aspettative di vita, si dirà.
In realtà significa che – per svariate ragioni e in tempi sempre più rapidi – stanno morendo persone più giovani rispetto alla media naturale dei vecchi. Di malattie, anche professionali? Di stanchezza e disperazione per il non farcela più, oltre i cinquant’anni, a mantenere un lavoro e di conseguenza una famiglia? Di disillusione verso un futuro che si riteneva, finalmente, di tranquillità e serenità almeno economica e che invece si presenta nero? L’Ocse nel rapporto annuale sugli indicatori sociali afferma che la perdita di reddito è legata al “deterioramento del mercato del lavoro, soprattutto per i giovani”. Oltre alle difficoltà del lavoro per i giovani ad avere un impatto importante sulla vita delle persone è anche la “debole protezione per chi ha problemi lavorativi”: Situazioni indubbiamente serie.