Si sta parlando, in questi giorni, di ripristino dell’ articolo 18, di revisione del Jobs Act, di abbattimento dell’uso indiscriminato dei voucher, del ricorso al referendum per riaffermare le tutele del lavoro che furono. Ma gli strumenti di legge per sostenere in maniera flessibile la ripresa sembrano esserci e anche per la Liguria si può parlare di ripresa in corso. Il “jobs act” dispone di meccanismi adatti anche ai servizi, come quelli portuali.
Nel contempo la Corte di Cassazione, con la sentenza numero 25201 del 2016 (inizio dicembre), ha considerato legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo nel caso in cui sia finalizzato a salvaguardare la competitività dell’azienda nell’ambito del settore nel quale questa svolga l’attività di impresa. In buona sostanza il giustificato motivo oggettivo di licenziamento sarà non più solo rappresentato da situazioni di chiara straordinarietà quale, per esempio, una crisi economica, una pesante minus di bilancio o un cedimento del fatturato che metta in grave difficoltà se non addirittura a rischio l’andamento o la vita dell’azienda.
Con questa sentenza i giudici di legittimità hanno messo in atto una rivoluzione copernicana Il licenziamento di un dipendente – secondo la Cassazione – potrà essere giustificato anche solo a fronte della più efficiente organizzazione produttiva dell’impresa o dalla ricerca della maggiora redditività.
Dal dopoguerra a oggi Genova, tra le grandi città d’Italia, è da sempre l’ultima ad agganciare i periodi di ripresa economica, come da sempre è l’ultima a cedere le armi alla crisi. Certo, a oggi, parlare per la Superba e la Liguria in generale di ripresa forte è troppo. Ma di ripresa in corso si può. Un dato su tutti: il lavoro. L’Istat ha pubblicato i dati relativi all’occupazione. C’è sostanziale tenuta, con oscillazioni determinate dalla stagionalità. Il tasso di disoccupazione danza tra l’8,7% e il 10% scarso. Vale bene la pena ricordare che la disoccupazione ligure, nel 2014 (sempre fonte Istat) era al 12%. Interessante anche la distribuzione degli occupati per settore di attività economica, che evidenzia il 2,1% di occupati in Agricoltura, il 19,2% nell’Industria e il 78,6% nei Servizi.
A condire il tutto l’aumento a due cifre percentuali di quello che una volta si chiamava lavoro a tempo indeterminato. L’effetto della nuova legge sul lavoro a tutele crescenti, inizia a fare gioco. L’impresa crede nella ripresa più i quanto manifesti apertamente tramite le proprie rappresentanze (Confindustria in testa) e si prepara ad affrontarla cominciando dal riorganizzare anche contrattualmente il proprio personale, tanto quello di nuova assunzione quanto quello ancora “precario”.
Il nuovo contratto di lavoro, in Liguria, sembra ben aderente ai programmi della grande impresa. Tuttavia per dare occupazione ai giovani, anche in Liguria, non basta mandare anticipatamente in pensione i lavoratori di alcuni settori, perché i posti che attualmente occupano appartengono a comparti spesso decotti e talvolta senza futuro. Il turn over è finito. Le percentuali di disoccupazione di questa regione scenderanno solo se si creeranno – con l’innovazione – nuovi spazi produttivi aderenti alla realtà economica di oggi. Nel frattempo la crisi continua a bruciare, si alimenta del carburante più prezioso per ogni società: le speranze dei suoi giovani. Per chi cerca di inserirsi nel mondo lavorativo e nel processo di reddito, la gioventù pare essere diventata una malattia infettiva. Ai ragazzi che cercano lavoro non si avvicina quasi nessuno. L’indice di disoccupazione ne offre la sintesi. E pur di giustificare e diluire il disagio, si allarga il perimetro del termine «giovane» collegandolo a persone dai 14 ai 35 anni. Passi per i 14, ma a 35 anni, fino a un decennio orsono, si era già membri effettivi, e neanche di primo pelo, del mondo del lavoro.
Ma il benessere e la solidità di una città, non si misurano solo con il Pil. Il fatto è che Genova, nel godersi le proprie ricchezze (in calo), sta – nella sostanza – dimenticando i suoi giovani e il loro futuro. Alcuni dati per offrire lo spaccato di Genova di domani. Nell’ era di Internet il tasso di abbandono scolastico è pari al 13% alla fine del primo anno delle superiori. Due giovani fino ai trent’anni su tre vengono assunti a tempo determinato o con contratti a tempo, dove già i quattro anni fan tirare un sospiro di sollievo. Il non saper programmare il futuro incaglia i giovani all’inattività e ne compromette il domani. Ma che lavoratori servono? Ecco il “per ora”: in aumento le assunzioni considerate di difficile reperimento, in particolare meccanici, muratori e fisioterapisti. Tra le professioni più richieste quelle legate alle attività commerciali e di servizi: commessi e addetti alle vendite, addetti alle pulizie, camerieri e ragionieri. Per il resto si attende che l’indotto della grande impresa (hi tech compresa) riprenda fiato. Un indotto che ha perso, in Liguria, negli ultimi sette anni oltre 3.500 posti di lavoro. Impensabile pensare di recuperarli tutti, ma l’impatto che avrebbe il rilancio della cantieristica e del supporto agli yard sull’occupazione ligure sarebbe davvero decisivo per ricominciare a parlare di regione locomotiva di settore.
In buona sostanza dunque, e finalmente, gli enti di statistica iniziano a offrire grafici positivi di una regione da troppi anni in declino, tanto economico quanto di volontà nel fare. L’occupazione, per masse, specie sotto la Lanterna, è un dato in calo da oltre trent’anni. Ma oggi gli strumenti di legge per sostenere in maniera flessibile la ripresa sembrano esserci. Il “jobs act” dispone di meccanismi adatti anche ai servizi, come quelli portuali. Troppe volte il timore della rigidità dei contratti di lavoro ha, di fatto, bloccato opportunità di sviluppo che di lavoro avrebbe potuto crearne davvero molto. E, alla fine, stabile. Un esempio, dove le percentuali dettano lo spartito è il lavoro di ricerca di Banca d’Italia. Ricorda l’istituto che: “I trasporti e la logistica costituiscono un settore di particolare rilievo per l’economia ligure, anche la sua naturale vocazione marittima: secondo dati Istat, nel 2010 essi impiegavano infatti il 7% degli occupati complessivi e producevano il 9,9% per cento del valore aggiunto della regione (i corrispondenti valori per il paese si attestano rispettivamente al 4,3% e al 5,6%”.