«Stanno prendendo corpo progetti sognati da decenni: lo sbocco veloce oltre le colline è un volano indispensabile perché Genova non sprofondi. Isolarsi è un suicidio: oggi, poter comunicare più velocemente di altri significa avere una carta in più per concorrere nei mercati internazionali e intercontinentali». Così il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo di Genova, è intervenuto sui problemi e le prospettive della città.
«La saggezza popolare – ha aggiunto l’arcivescovo – ha sempre detto che “presto e bene” non vanno d’accordo, è vero! Ciò nonostante, è necessario affrontare questa sfida, mostrare che tale incompatibilità è superabile con un di più di ingegno, di sacrificio, di squadra. Genova – come è scritto nella sua geografia – è il porto dell’Europa, e il suo destino non è solo quello di una città meritevole, ma anche del Paese. Genova deve dimostrare nei fatti che l’Italia non può fare a meno di lei».
Ma come è possibile questo? Esiste una soluzione? «In quanto Pastore, non ho ricette da svelare, ma posso indicare una via. E la via maestra è quella di parlarci! Parlarci a cuore aperto, con intelligenza senza preclusioni, avendo come unico interesse il bene della gente, e quindi della città. Non ci si può sedere a nessun tavolo col presupposto di affermare la propria idea a prescindere. Qualunque tavolo ha senso, se tutti coloro che vi partecipano vogliono capire la complessità della situazione, il disagio che causa, la disperazione e i pericoli economici e sociali, ma anche, proprio dentro agli ostacoli, individuare insieme le prospettive possibili per affrontare l’oggi, in vista di un domani su cui si potrà ulteriormente ragionare. Ci vuole umiltà per rendersi conto e conoscere ciò che non si conosce per intero, per portare un contributo non ideologico ma di conoscenza. Bisogna lasciar cadere ogni forma di presunzione e di arroganza, atteggiamenti che allontanano dalla realtà, dai veri problemi della gente».
«Altra tentazione – ha messo in guardia l’arcivescovo – è quella di demonizzarsi a vicenda: è proprio vero che, ad esempio, il pubblico è solo male e il privato è solo bene o viceversa? Queste barricate non hanno senso, sono vecchie. La realtà dice che esiste conversione per tutti, e che tutti portano in sé del bene: solo se ci si mette insieme senza sospetti reciproci, senza credersi migliori degli altri, sveltendo i processi decisionali e burocratici, nella comune cultura dell’onestà, si arriva al bene generale. Mantenere caparbiamente veti incrociati, affinché nessuno possa intestarsi qualcosa di buono, è il modo migliore per non realizzare nulla, e – a livello nazionale – si dà l’immagine di una città inconcludente e quindi inaffidabile. La cultura del parlarsi previo è segno di intelligenza, ci viene da lontano, da altre stagioni politiche, sociali ed economiche, nelle quali i diversi protagonisti del Paese si consultavano discretamente: metodo saggio e costruttivo, perché tutti avevano a cuore la vita del popolo. Dobbiamo avere maggior senso di appartenenza, di fierezza; non dobbiamo lasciarci andare al lamento che deprime, blocca la visione, non serve a risolvere i problemi».