Il reale concetto di ricchezza o di povertà spesso sfugge a criteri generalizzabili. Anche perché la situazione sociale ove di questa ricchezza o povertà si vive conta molto. La Banca d’Italia, che anno dopo anno affina le proprie ricerche e studi sui singoli territori italiani, pubblicandone i risultati sulle “note” regionali, offre uno spaccato sulla effettiva ricchezza delle famiglie.
Interessantissimo quello sui nuclei liguri, un “capitolo”, scritto in cifre, che racconta lo stato dell’arte. Facendo una media delle ultime note dedicate alla Liguria — la ovvia media dei polli di Trilussa — vediamo innanzitutto che le famiglie della Liguria (dal calcolo sono escluse le convivenze) hanno, in termini di ricchezza, un pro capite altissimo. Oltre 244 mila euro per nucleo, contro i 173 mila del nord Ovest e i 143 medi del resto d’Italia.
Innanzitutto, prima di tuffarsi nelle cifre, è necessario considerare cosa si intende per ricchezza netta: questa è data dalla somma delle attività reali (case soprattutto) e finanziarie, al netto dei debiti. Per quanto ovvio, il valore delle attività detenute dalle famiglie risenta sia delle variazioni delle quantità, sia dell’andamento dei rispettivi prezzi di mercato; nel corso del tempo, soprattutto questi ultimi possono essere soggetti ad ampie oscillazioni. L’analisi dell’Istituto ha preso in considerazione un ampio spazio temporale. Quello che va dal 2002 al 2012. Il 2013-2014 non ha variato in maniera sensibile i numeri, così come appare per certo il biennio 2015-2016.
Ma attenzione: Il dato che “dà valore” ai beni familiari liguri resta quello sui i beni immobili. Quei muri che hanno rappresentato per decenni il bene rifugio per eccellenza. La situazione odierna dice che di muri da comprare ce ne sono tanti, ma di denaro a cercarli, in proporzione, ancora poco. Si attende, come sempre a Genova, “l’occasione impossibile”. In compenso, di denaro da remunerare se ne trova ancora moltissimo. E molto di più ve ne sarebbe se il mercato immobiliare trovasse un equilibrio e tornasse a camminare spedito.
Il sunto del patrimonio ligure è oggi questo: sale moderatamente la massa dei depositi, specie la liquidità immediata, è in stasi il valore degli immobili. La ricchezza media dei Liguri muta, basandosi in questi momenti via via più sulla carta di banconote e titoli che sul mattone. Non è cosa da poco. Perché fino a non molto tempo fa il rapporto tra denaro e muri — ciclicamente — muoveva fiducia e capitali e creava sicurezza e utili. Qualcosa nelle compravendite, tuttavia, riprende a muovere. Nel 2014 (con percentuali in crescita fino a tutto luglio 2016), in base ai dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle entrate, il numero delle compravendite ha mostrato una leggera ripresa (2,6% nel triennio), in linea con il dato nazionale e appena al di sotto di quello del Nord Ovest. Ma a prezzi ancora calanti. D’altronde l’offerta di case è talmente ampia che chi compra difficilmente non riesce a spuntare prezzi che solo cinque anni fa avrebbero semplicemente “offeso” la controparte. E il mattone cianotico lo si legge anche nelle masse dei quattrini depositati nelle banche del territorio ligure a fine anno scorso.
I depositi sono aumentati del 5,3%, sfiorando i 33 miliardi di euro. La massa dei titoli si è fermata a poco meno 37,7 miliardi, marcando anno su anno un — 2,9%, che è però piuttosto generoso, visto che la valutazione del controvalore dei titoli a prezzi di mercato è stato calcolato in un momento, il fine anno appunto, che viveva di listini “alti”. Facendo un po’ di medie si vede che nella sostanza la crescita delle masse non c’è stata. Gli alvei del denaro dall’immobiliare sono quasi secchi.
Ma la propensione al risparmio, in Liguria, ancora tiene. Muri o non muri. Diminuzione della fiducia? Calo della propensione al rischio? Semplice paura? Sta di fatto che la gente per ora sembra aver deciso che è stanca di fare calcoli per far fruttare il proprio denaro e per ora, preferisce non far nulla. La visione generale è di brevissimo respiro e guardare al di là dell’oggi, alle opportunità che un mercato così volatile potrebbe invece offrire, per ora non esalta alcuno.
Se entriamo nello specifico degli investimenti in titoli dei liguri, le peculiarità – rispetto al risparmio del resto degli italiani – non mancano. I titoli di Stato si sono ridotti a solo 7,5 miliardi. Sono in gran parte Btp di vecchia emissione, dal valore di mercato altissimo, visto le cedole sontuose che portano. Chi ce li ha se li tiene stretti, visto che ad ogni calar di spread aumentano di mercato. Le nuove emissioni di Btp, Cct e Bot sono di appetibilità bassa, visto che i rendimenti sono al limite del negativo. Fa specie il pensare che solo ad inizio secolo i titoli di stato italiani erano quasi il triplo rispetto ad oggi. Altri 7,5 miliardi di euro sono ancora investiti in obbligazioni bancarie. Su questo “prodotto” ormai non va più nessuno, anche perché di nuove emissioni non ce ne sono più. Si aspetta solo che scadano per riorientarne il capitale altrove. Gli investimenti in azionario sono stabili a 3 miliardi. Non pochi, certo. Per quanto possa apparire incomprensibile per chi dei dati di borsa legge solo i risultati di fine giornata, qualche piccolo momento percentuale in rialzo, proprio sulle masse di azionario puro, si inizia a percepire.
La parte più importante del risparmio è però orientata su fondi e bancassicurativo. Quasi 14,6 miliardi sono lì. Una scelta dettata da molteplici ragioni. I fondi investono su più mercati, su panieri di titoli, su titoli di stato, in buona sostanza suddividono il rischio. Escludendo alcuni momenti particolari (come nel 2008 o nel dopo Brexit) quando è inevitabile il pagar dazio, sostanzialmente tengono. Al momento, leggendo la stampa specializzata e ascoltando pareri di esperti, il risparmio cosiddetto “gestito” apparirebbe quello con, alla cintola, il salvagente più sicuro
.