Durante la settimana passata, gli spunti di mercato più interessanti, sono arrivati delle commodity: la riunione dei principali produttori di greggio ha catalizzato l’attenzione degli investitori internazionali.
Il meeting dell’Opec, riunitosi a Vienna, dopo otto anni dall’ultimo accordo, ha prodotto un importantissimo risultato, e cioè un taglio della produzione di circa 1,2 milioni di barili al giorno, soglia considerevole se si considera che attualmente l’estrazione quotidiana dei paesi Opec è stimata in circa 34 milioni di barili. L’accordo prevede inoltre l’impegno da parte di altri Paesi produttori, che non aderiscono al cartello, di ulteriori tagli quantificabili in circa 600 mila barili il giorno. La sola Russia garantirà la metà di tale riduzione. Il negoziato è arrivato a un esito positivo grazie alla convergenza di vedute tra Iran e Arabia Saudita, che nel recente passato si erano trovate in profondo disaccordo tanto da far fallire i precedenti meeting. Anche l’atteggiamento della Russia è stato collaborativo, a maggior ragione se si pensa che Mosca negli ultimi 2 anni non aveva mai considerato una riduzione della propria produzione. Il risultato dell’accordo di Vienna ha visto il prezzo del greggio risalire di un abbondante 10%, ritornando stabilmente sopra i 50 dollari per barile.
Le incognite adesso riguarderanno i livelli produttivi nordamericani, poiché per gli Stati Uniti, uno tra i principali produttori di greggio mondiale, questo deciso aumento dei prezzi potrebbe incentivare una nuova ondata di sfruttamento degli impianti di estrazione da fratturazione, provocando un incremento della produzione a stelle e strisce. Il forte aumento del prezzo del petrolio ha trainato al rialzo le principali borse mondiali, dove il settore energy è risultato essere tra i migliori. Questo movimento ha messo sotto pressione il comparto obbligazionario statunitense, che si è indebolito trascinando al ribasso i corsi dei Treasury che stanno oramai scontando una ripresa dell’inflazione.
I dati sul mercato del lavoro americani hanno mostrato una tenuta dei livelli occupazionali, mentre il tasso di disoccupazione è sceso dal 4,9% al 4,6%; questo importante calo è tuttavia da ascriversi principalmente al calo della popolazione attiva piuttosto che a un incremento dei nuovi occupati.
Questa settimana gli occhi rimarranno puntati sugli sviluppi legati ai risultati del referendum costituzionale in Italia e dell’elezione presidenziale in Austria.
Massima attenzione verrà serbata a Mario Draghi e all’ultimo meeting Bce del 2016, che si terrà il prossimo 8 dicembre. La riunione non dovrebbe riservare grosse sorprese sotto l’aspetto dei tassi di interesse, mentre potrebbe comportare delle variazioni al piano originario del Quantitative Easing: si parla di una possibile revisione dell’estensione temporale e del mix quantitativo e qualitativo degli acquisti di obbligazioni da parte della Bce.
Molti osservatori sono convinti che la scadenza del marzo 2017 possa essere prorogata mentre gli acquisti, oggi pari a 80 miliardi mensili, potrebbero subire un incremento e una nuova diversificazione a favore dei bond governativi che attualmente presentano spread più elevati.
Per quanto riguarda l’Unione europea, è atteso martedì il dato aggregato relativo al Pmi e al Pil del 3˚Q.
Sul fronte italiano si rimane in attesa dei dati relativi allo scambio tra titoli obbligazionari subordinati e azioni promosso da Monte dei Paschi e ai successivi sviluppi riguardante l’aumento di capitale della Banca che riguardano la ricerca dell’anchor investor.