Dieci punti per una nuova politica dell’immigrazione a Genova. Si presenta con un Manifesto Simone Regazzoni (Pd), autocandidato a sindaco di Genova e ne ha per tutti: per la destra, per il suo partito, per il sindaco Doria. L’accusa? Non aver saputo scegliere, gestire, dialogare con la popolazione, quello che cioè dovrebbe fare la politica «altrimenti si lascia il campo alle destre xenofobe che raccoglieranno il voto dei cittadini».
Cita il filosofo Jacques Derrida per dire che bisogna cambiare mentalità a sinistra, passando da un approccio solidaristico a politico, per «dare risposte serie, garantire ai profughi una reale integrazione, ma allo stesso tempo non lasciare che la paura per la propria sicurezza diventi la prima preoccupazione per i cittadini» e apre al dialogo su questi temi, citando il segretario genovese Alessandro Terrile, che aveva mostrato disponibilità «ma sinora non ho sentito nessuno e se si aspetta il referendum di dicembre, tanti saluti, avremo perso un’occasione».
Per Regazzoni l’arrivo dei profughi non è un’emergenza «come sta predicando la destra, ma un problema strutturale che non si fermerà nel prossimo futuro», per questo il ruolo della politica è fondamentale nel gestirlo, una politica che secondo il candidato sindaco non sta facendo il proprio dovere, come nei giorni scorsi ha detto anche il sindaco di Milano Beppe Sala. Non è in discussione l’accoglienza: «Perché altrimenti sarebbe come mettere in discussione la democrazia e i diritti umani, ma il liberi tutti può far male».
Innanzitutto per Regazzoni occorre dire no a nuovi arrivi “fuori quota”: «Genova ha superato ampiamente le quote di profughi che le spetterebbero. Siamo a oltre il 2,5 per mille perché abbiamo superato le 1900 persone e con le nuove quote che entreranno in vigore a breve per i capoluoghi di Città metropolitana la cifra è di 1,5 per mille. Una maggiore quantità pregiudica la riuscita del processo di integrazione e il risultato è che i profughi vanno a chiedere l’elemosina o a rimpolpare le file della criminalità». Il problema è che tanti Comuni non hanno aderito allo Sprar (vedi articolo precedente di Bj Liguria), il risultato è che chi aderisce al sistema di accoglienza venga sovraccaricato: «Se i Comuni amministrati dalla destra dicono no a priori – incalza Regazzoni – vuol dire che è anche loro responsabilità se Genova è a questi punti».
Inevitabile il riferimento alla “Carta di Genova” proposta dieci giorni fa da Toti, Maroni e Zaia: «In alcuni punti è condivisibile, quando parla delle strutture sulle coste nordafricane, degli accordi bilaterali per i rimpatri e degli investimenti per migliorare le condizioni di vita, ma se a priori rifiutano le quote del sistema allora devono proporre un’alternativa, altrimenti contribuiscono loro stessi al caos».
Intanto si spera che con il nuovo sistema degli incentivi, l’accoglienza sia maggiormente distribuita: massimo 5 migranti per i Comuni sotto i 2 mila abitanti, 2,5 ogni mille abitanti quelli sopra i 2 mila, 1,5 profughi ogni mille residenti per i comuni metropolitani. Chi collaborerà verrà premiato con deroghe al blocco delle assunzioni e 50 centesimi giornalieri per ogni richiedente asilo ospitato.
Per Regazzoni è fondamentale creare tavoli di partecipazione tra soggetti istituzionali, forze sociali e cittadini: «Sono consapevole che questo implica conflitto e dissidi, che non saremo mai tutti d’accordo, ma ciò contribuirà a marginalizzare le esperienze di chi rifiuta i profughi in modo irrazionale. La questione di via XX Settembre è nata perché nessuno ha informato condomini e negozianti».
Il candidato propone maggiore rigore anche nei controlli su chi ospita e si occupa dei profughi, affinché le condizioni di vita nelle strutture siano dignitose e cerca di spegnere il fuoco della “guerra tra poveri”, rilanciata spesso dall’immagine del migrante che non fa nulla per tutto il giorno (e non per colpa sua): «Non parlo dei lavori socialmente utili, perché quelli li lascerei ai nostri connazionali in difficoltà, parlo del volontariato, di un patto sociale che, insieme ai corsi di italiano, può far realmente integrare queste persone nel tessuto sociale. Oggi sono in una bolla, non parlano con nessuno tranne che con i loro educatori, mentre il volontariato contribuisce anche a imparare un mestiere. Un volontariato strutturato, perché non basta far dipingere la staccionata, uscire sul giornale e poi chissà, quello è paternalismo peloso».