Raccontare per fotografie e immagini quello che si prova visitando Villa Durazzo Pallavicini a Pegli è riduttivo rispetto alla magnificenza del parco e degli edifici. Dopo tre anni di chiusura (con visite aperte ai cantieri per raccogliere fondi), ma decenni di restauri, finalmente la riapertura proprio in occasione del 170esimo anniversario dalla prima inaugurazione. Appuntamento il 23 settembre. Bellezza e delicatezza di questo parco unico, sono le parole più usate dal sindaco Marco Doria nel presentare il restauro, che ha ricordato gli interventi per la valorizzazione del Ponente genovese, dalla nuova fascia di rispetto di Pra’ alla valorizzazione delle ville storiche (Duchessa di Galliera di Voltri, Villa Doria sempre a Pegli con lo stagno dell’Alessi), il ripristino dell’edificio del Teatro Cargo di Voltri.
«Un sogno che si realizza», aggiunge il presidente del Municipio Ponente Mauro Avvenente, che sottolinea «la resistenza del museo di Archeologia ligure all’interno del parco in questi anni difficili».
Un percorso che si sviluppa attraverso un itinerario filosofico-massonico strutturato proprio come se fosse un racconto scenografico-teatrale, composto da un prologo e un antefatto, da tre atti (ognuno con quattro scene) e dall’esodo. Un percorso che il marchese Ignazio Pallavicini affidò all’architetto Michele Canzio (all’epoca primo scenografo del teatro Carlo Felice) e che rappresenta un viaggio alla scoperta della retta via, della propria anima, secondo lo schema della tragedia greca. Spiegare le possibilità che si hanno nella vita, la riscoperta dell’anima, una sorta di percorso di iniziazione che prevede prima un’ascesa e poi una discesa fino all’esodo finale.
La gestione spetterà all’associazione temporanea di imprese formata dalla Cooperativa sociale “L’arco di Giano”, dall’Associazione Amici di villa Durazzo Pallavicini e dallo studio Ghigino & Associati. Proprio Silvana Ghigino è stata la nostra guida in questa prima visita. I video (raggruppati in una playlist dopo la fotogallery), sono in presa diretta e rappresentano idealmente il percorso del visitatore. Proprio la competenza e la passione di professionisti e cittadini ha fatto in modo che questo gioiello sia di nuovo fruibile. «Quando 30 anni fa parlavo di questa meraviglia – dice Ghigino – c’era chi sorrideva, per fortuna quei tempi sono finiti e c’è una maggiore consapevolezza».
La manutenzione nel corso del tempo, a partire dalle Colombiane è stata pressoché costante, ma alluvioni e vandali avevano vanificato gran parte del lavoro, grazie agli ulteriori 3,6 milioni di residuo è stato possibile mettere mano anche al castello del Capitano, l’apice del percorso in salita e abbandonato da molto tempo.
Nella zona più alta l’acqua aveva portato via 70 centimetri di terreno, scavando fino alla roccia madre. Un lavoro complesso il ripristino, ma ben riuscito.