Una grande tradizione e, dopo un lungo declino, un futuro che potrebbe essere luminoso: questa la storia e le prospettive dell’olivicultura ligure, illustrate in un documento di Confagricoltura Liguria.
L’olivicoltura ligure, ricorda Confagricoltura, ha una grande tradizione, anche a livello industriale, soprattutto nella zona di Imperia. La lunga fase di declino iniziata dopo la seconda guerra mondiale si è arrestata negli anni 90 quando la qualità del prodotto (certificata dalla Dop), le migliori tecniche di produzione e il buon prezzo hanno restituito una certa redditività alla coltura. L’olivicoltura ha margini di espansione, che non consistono tanto in nuovi impianti – peraltro auspicabili – quanto nel recupero dei molti oliveti abbandonati, presenti in larga parte del territorio regionale.
Il problema principale dell’olivicoltura rimane tuttavia la dimensione aziendale troppo piccola.
Secondo l’associazione, la filiera dell’olivicoltura è largamente migliorabile per quanto riguarda l’organizzazione dei produttori, la fase di trasformazione, la fase commerciale. Un aspetto particolare è costituito dal fatto che, come nel caso degli altri settori food dell’agricoltura regionale, i ristoranti locali non valorizzano sufficientemente i prodotti del territorio.
L’olivicoltura rappresenta per il territorio un settore rilevante, non solo per la funzione idrogeologica di contenimento dei versanti e per il valore paesaggistico nel contesto rurale, ma anche dal punto di vista economico, vista la rilevante produzione media annua (circa 307 mila quintali) e la superficie investita (11.100 ha). In Liguria esistono due tipi di olivicoltura. Un primo tipo, pur configurandosi come coltura estensiva, è gestito con i criteri della moderna olivicoltura e garantisce rese elevate. Una seconda tipologia riguarda quegli oliveti per i quali la funzione protettiva è primaria rispetto a quella produttiva, rivolta soprattutto all’autoconsumo o alla vendita diretta in piccole partite.

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Benchè la Dop interessi le aziende di tutta la regione, unite in un consorzio, non è un caso. Osserva Confagricoltura, che la maggior parte delle aziende ricade nel territorio della menzione “Riviera dei Fiori”, dove nel 2013 era presente il 94% degli olivicoltori e il 70% dei frantoiani aderenti al disciplinare.
Il confronto tra i dati dei due censimenti mostra come la perdita di superficie olivicola sia stata più contenuta nelle province in cui la Dop è più diffusa.
Le olive vengono trasformate prevalentemente in frantoi che praticano la trasformazione diretta o in conto terzi, ma esistono casi di trasformazione diretta in frantoi aziendali. Il censimento dell’industria e dei servizi ha individuato, nel 2011, 71 frantoi che lavorano olive da olio di produzione extraaziendale. Non si hanno dati certi sulla trasformazione diretta.
Il mercato dell’olio è prevalentemente locale, ma risulta rilevante la quota diretta all’estero che incide per il 6% sull’export complessivo nazionale di olio. Con circa 92 milioni di euro esportati (media 2009/2013), il comparto appare in crescita, nonostante la contrazione nel 2013. L’olivicoltura ha margini di espansione che consistono soprattutto nel recupero dei molti oliveti abbandonati, presenti in larga parte del territorio regionale. Dal 2008 è attiva un’organizzazione di produttori che rappresenta circa 4.000 imprese olivicole. L’associazione svolge un’attività a sostegno della qualità dell’olio ligure e delle olive da tavola, sia nelle fasi di coltivazione che di trasformazione e confezionamento.
L’industria olearia ligure produce 15.500 m3 di acque di vegetazione all’anno. Si tratta di un residuo di lavorazione inquinante il cui smaltimento per via agronomica o tramite invio in pubblica fognatura è problematico. Al fine di ridurre l’impatto ambientale della lavorazione dell’olivo, sono state sviluppate, con buoni risultati tecnici, tecnologie innovative destinate al trattamento dei reflui. Alcune di queste tecnologie possono adattarsi anche alla realtà olivicola ligure, prevedendo un impegno economico e gestionale sostenibile anche per i piccoli frantoi. Una nuova minaccia si è affacciata sulla scena olivicola nazionale: si tratta del batterio Xilella fastidiosa. Pur non essendo stato rilevato alcun focolaio in Liguria, la malattia richiede un controllo continuo degli oliveti, in quanto è in grado di portare a morte ampie porzioni di chioma in breve tempo.

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