L’Italia continui a guardare all’altra sponda del Mediterraneo, è la sua antica vocazione, e con l’Italia la Liguria, sua principale base di partenza e arrivo di navi cariche di merci e passeggeri. Aldilà del mare si estende un mercato di 170 milioni di persone che presenta bassi costi della mano d’opera e vicinanza alle fonti di approvvigionamento ed è per noi più familiare dei mercati asiatici. Un mercato che richiede forniture principalmente nella componentistica e nell’indotto di infrastrutture e telecomunicazioni e che, come è noto, alla fine del 2010 ha subito un forte trauma, con l’esplodere delle cosiddette “primavere arabe”.
«Ma è un’area cui dobbiamo più che mai guardare con attenzione» dichiara Luca Aragone a Liguria Business Journal. Aragone ha iniziato una ventina d’anni fa esportando frutta (banane principalmente) in tutto il Mediterraneo, nel Mar Nero, in Iran, in Iraq e nei paesi del Golfo. Ma oggi è noto, e ricercato, anche come “international trading consultant”, “international problem solver”, perito consultato in sede arbitrale a Londra. I Paesi del Mediterraneo continua a frequentarli, crisi o non crisi, ed è uno dei pochi ad averne una conoscenza diretta globale.
«Certo, premette, ci vuole cautela – ma le opportunità di business sull’altra sponda non sono venute meno. Tralasciamo la Siria, per ovvie ragioni, e anche la Libia, per quanto in Libia lavorino molte imprese italiane, e anche una trentina di società liguri, in genere subappaltatrici di grandi gruppi come l’Eni. Chi lavora in quei posti ha una vita difficile, dai cantieri ci si muove molto poco. Ma il Nord Africa non è tutto qui. Il Marocco – prosegue Aragone – ha legami e trattati commerciali con l’Ue dagli inizi del Duemila. Offre zone dotate di infrastrutture. Quanto alla sicurezza, nonostante alcuni episodi di terrorismo avvenuti negli scorsi, teniamo presente che, ormai, ci vanno i pensionati a svernare».
Anche l‘Algeria sembra affidabile per il business, «gode di una politica stabile, e l’imprenditore che viene da fuori può contare su una rete di banche francesi presenti, tra cui il Crèdit Agricole. Il governo sta attuando una politica di attrazioni di investimenti dall’estero. Sono presenti anche diverse realtà liguri. Le opportunità sono più numerose nel manifatturiero».
Quanto alla Tunisia, che sembra il paese uscito meglio dalle Primavere arabe, «può dare l’idea di una certa instabilità di governo che ricorda la nostra di qualche anno fa ma nel complesso non dovrebbe offrire sorprese. Bisogna solo avere l’accortezza di evitare la fascia confinante con la Libia. La Tunisia presenta il miglior sistema scolastico dell’Africa – è facile trovare in questo paese delle persone istruite – e una buona sanità. Il sistema manifatturiero tunisino offre il vantaggio di un costo della manodopera basso ma senza il rischio di trovarsi come fornitori o subfornitori delle imprese che sfruttano il lavoro minorile, come talvolta avviene nel far East. Qui lo Stato c’è, e per i lavoratori esistono determinate tutele. I collegamenti via traghetto con Genova e l’Italia sono numerosi e, segno di vivacità commerciale, i traghetti trasportano molti veicoli da carico merce, come quelli di Germanetto di Cuneo e della genovese Sts».
L’Egitto «presenta molti dei vantaggi della Tunisia, tra i quali un buon sistema scolastico, con in più il fatto di avere 80 milioni di abitanti. Gli scambi economici tra Egitto e Italia, nonostante il turismo in quel paese al momento sia in calo per ovvi motivi, sono intensi, soprattutto nei servizi, nell’impiantistica, nei trasporti e nella logistica».
Quanto alla Turchia, «aspettiamo che si depositi il polverone del dopo golpe. Comunque l’intensità dei rapporti economici tra Italia e Turchia non è certo una novità. L’interscambio tra i due paesi nel 2014 ha fatto registrare un volume di affari di oltre 15,4 miliardi di euro. Vedremo come si evolverà la situazione politica, ma la realtà economica è questa. Importantissima è la presenza a Genova di Turkish Airlines, arrivata qui nel 2011. Il direttore di Turkish Airlines a Genova ha lavorato molto bene e il business ne ha tratto grande vantaggio».
«Ma aldilà di un’analisi necessariamente sommaria dei singoli paesi – sottolinea Aragone – direi che la nostra vocazione è quella di fare da ponte tra le due sponde del Mediterraneo. Non è una mia scoperta ma è la realtà. L’Unione europea non riesce a essere uno Stato, ad avere una politica estera incisiva, nell’Africa del Nord come in altri scacchieri geeopolitici. Secondo me, l’Italia, sia ben chiaro nella massima lealtà nei confronti dei partner europei e nella massima fedeltà agli impegni presi in fatto di politica comunitaria, deve trovare la sua strada verso il Sud».