Un porto commerciale, due terminal container, una base navale per la Marina militare, porti turistici, enti di ricerca marina, un’industria cantieristica, cantieri per la nautica da diporto, centri di assistenza, pesca, professioni del mare, imprese industriali legate al mare, un forte indotto, una scuola trasporti, una tradizione nei mestieri del mare, crociere, turismo nautico, tre fra i più noti parchi naturalistici, una cultura dell’ambiente marino e la consapevolezza di nuove formule di crescita sostenibile.
Non manca nulla. E proprio da questa elencazione di attività e professioni, che fanno della Spezia e del suo Golfo un unicum a livello italiano e forse mediterraneo, che è nata l’idea e quindi il progetto di costruire proprio qui un hub culturale e operativo per la Blue Economy, ovvero di tutte quelle attività che l’Unione Europea (con la direttiva del 2012) ha definito strategiche per lo sviluppo dell’economia del continente e che già oggi occupano 5,4 milioni di persone.
La Spezia e il suo Golfo hanno in molti settori svolto funzioni pionieristiche. Anche nel campo della Blue Economy questa funzione di “avanguardia” e di vedetta può essere replicata, creando il contenitore, il punto di riferimento, per l’appunto l’hub: una struttura agile, non burocratica, in grado di pianificare le azioni e specialmente di mettere a punto le partnership con soggetti che in questo campo operano spesso in modo non coordinato l’uno con l’altro.
«Crediamo nella forza delle idee, nella qualità degli uomini e della loro professionalità – afferma Giorgia Bucchioni, vice presidente di Confindustria La Spezia – Per questo abbiamo deciso di lanciare una vera e propria “chiamata alle armi”, attraverso una strategia bottom-up, che consenta a tutti i soggetti attivi nel settore della Blue Economy di collaborare a un lavoro che in prima battuta sarà di analisi (entro fine giugno sarà pronto il piano operativo), quindi di ricerca (in particolare sulla consistenza attuale della Blue Economy in Liguria e a livello nazionale); a seguire di messa a punto di progetti finalizzati in grado di polarizzare sia risorse che capacità nella messa a punto di soluzioni innovative a partire da quelle relative all’utilizzo del territorio, del coordinamento e l’integrazione fra coste e territori vicini, alla focalizzazione di problemi sottovalutati come quello relativo all’erosione delle coste (un vero e proprio suicidio economico per l’Italia), sino alla predisposizione degli habitat nei quali far confluire e diventare realtà idee e progetti relativi a emergenze quali l’immigrazione o la sicurezza.
La cosiddetta “economia blu” impiega 5,4 milioni di persone e genera un valore aggiunto lordo di quasi 500 miliardi di euro l’anno, ma alcuni settori presentano ulteriori margini di crescita. Fra questi il turismo costiero, la pianificazione degli spazi marittimi, la sorveglianza marittima integrata, la difesa delle coste dall’erosione, lo sviluppo delle biotecnologie, lo sfruttamento dell’energia dagli oceani.
Nel solo settore del turismo le coste sono la meta preferita dal 63% dei viaggiatori in Europa. Il sotto-settore del turismo marittimo e costiero è attualmente divenuto la principale attività economica marittima, che occupa 2,35 milioni di persone, pari all’1,1% dell’occupazione totale dell’Ue. Oltre il 90% delle imprese occupa meno di 10 persone. In alcune zone, il turismo costituisce una fonte di reddito complementare per le comunità costiere, ma in altre può addirittura dominare l’economia locale.