Qualcuno se ne sta accorgendo ora, altri sono già da anni attivi su questo fronte: volenti o nolenti ci si deve confrontare con la responsabilità sociale d’impresa, che sta diventando una delle discriminanti nella scelta da parte del consumatore. Se n’è parlato a Genova al salone della responsabilità sociale d’impresa e dell’innovazione sociale, ospitato da Palazzo della Meridiana e organizzato da Etic Lab, l’associazione nata nel 2010 per diffondere sul territorio ligure questa sensibilità.
Quattro persone su cinque ritengono che lo sviluppo della corporate social responsibility (Csr) possa avere un impatto significativo per la sostenibilità dell’economia europea (indagine della Commissione europea nel 2014). Il Csr manager è presente nell’80% delle società quotate, ma è soprattutto una nuova consapevolezza nei cosiddetti “millennials” che può fare la differenza, da una ricerca Aflac: il 66% di coloro che sono nati tra il 1980 e il 2000 è più propenso a investire in un’impresa nota per il suo programma di Csr, mentre solo il 48% degli over 35 è di questo avviso. Il 92% è più incline ad acquistare prodotti e servizi da una società etica. È cambiata anche la percezione del concetto di responsabilità sociale: non solo salvaguardare le risorse del pianeta, ma creare prodotti e servizi innovativi con ricadute positive sulla comunità.
Proprio su questo si sono confrontati Erg, Costa Edutainment, Generale Conserve e Banca Etica nella sessione plenaria del salone.
Erg, da società petrolifera è diventata un’azienda che punta soprattutto sull’eolico: «Il nostro valore aggiunto – spiega Claudio Pirani, responsabile Csr di Erg – è che al 31 dicembre 2015 abbiamo diminuito le emissioni di CO2 di 4,5 milioni e mezzo di tonnellate in quattro anni, produciamo oltre 6 terawatt di energia elettrica praticamente a emissioni zero».
«Come Confindustria – aggiunge Beppe Costa, nella doppia veste di rappresentante degli industriali e di Costa Edutainment – siamo partner di Etic Lab e abbiamo imparato a capire che le aziende non vanno valutate solo con i numeri di bilancio e posizione finanziaria netta, il fatto che una direttiva europea abbia abolito le trimestrali è un segnale di sensibilizzazione su altri temi fondamentali per un’azienda. Anche le banche utilizzano nuovi parametri, è un ulteriore passo». Costa Edutainment ha elaborato il primo report integrato soltanto l’anno scorso. «La nostra visione di rapporto col territorio e con gli stakeholder era legato soprattutto a politica e ai nostri 1300 lavoratori. Tendevo a mettere tutto in numeri, perché è difficile calcolare i benefici di alcune scelte meno legate ad aspetti di bilancio, a Genova per esempio abbiamo dato una mano per sviluppare il turismo e abbiamo privilegiato un rapporto con cooperative più solidali che economiche. Il bilancio economico si fa con relativa facilità, ma il report integrato è quello che realmente fa progredire un’azienda».
Vito Gulli di Generale Conserve ha fatto da anni della Crs una bandiera: «La sostenibilità si fa per interesse, non nel significato negativo del termine, ma perché abbiamo a cuore qualcosa. Se io non mi interessassi di salvare la specie tonno, la mia azienda rischierebbe di chiudere». Generale Conserve, con il tonno AsDoMar, è l’unica che ha convinto Greenpeace come marchio sostenibile ed è un’azienda che punta alla produzione in territorio italiano: «Produrre qui fa bene al mondo, altrove si sfruttano i lavoratori, non ci sono leggi non ci sono controlli».
L’attenzione verso i temi sociali e ambientali è per esempio alla base delle istruttorie di Banca Etica nei confronti delle aziende che si rivolgono a questo particolare istituto di credito per ottenere credito: «Inizialmente finanziavamo solo le organizzazioni che operavano nella cooperazione sociale, internazionale, ambiente e cultura – racconta Cesare Vitali, Csr specialist di Banca Etica – dal 2003 ci siamo aperti anche al mondo profit in linea coi temi della banca».
Banca Etica ha un capitale sociale di circa 54 milioni e ha contribuito a 1.014 iniziative socioculturali dei propri soci volontari. I clienti risparmiatori sono 45.374 e le sofferenze bancarie sono solo il 2,7%, in pratica sette punti in meno rispetto al 10,4% della media Abi: «Pensiamo che la valutazione sociale abbia una correlazione con l’atteggiamento nei confronti del rischio finanziario dei nostri clienti», dichiara Vitali.
E i numeri sono anche supportati da una ricerca dell’Harvard business school, che ha analizzato 90 imprese ad alta sostenibilità e altrettante a bassa sostenibilità: il primo gruppo ha performato meglio del 4,8% rispetto alle altre.