Si presenta più salato che nel resto del Paese il conto che le imprese genovesi dovranno pagare anche quest’anno per le utenze di acqua, rifiuti urbani, energia elettrica e gas: 14 mila euro in più all’anno per ogni impresa, cioè il 12%, rispetto alla media nazionale.
È quanto emerge dal rapporto 2015 su rifiuti urbani e acqua potabile dell’Osservatorio tariffe per la Liguria, realizzato da Ref, Ricerche per conto della Camera di Commercio di Genova. Grazie al portale Tasp (Tariffe Servizi Pubblici), realizzato a partire dai dati prodotti dall’osservatorio, un’impresa può calcolare facilmente il costo della bolletta per acqua e rifiuti nel proprio Comune di appartenenza, confrontarlo con quello degli altri Comuni limitrofi e orientare meglio le proprie scelte. Il portale è liberamente consultabile all’indirizzo http://liguria.repertoriotariffe.it.
Il rapporto 2015 presenta un quadro sconfortante sia per le famiglie sia per le imprese liguri, che vede Genova fra i Comuni più “esosi”: fatta 100 la spesa annua per acqua, rifiuti, luce e gas, a Genova un albergo spende 117 euro, un parrucchiere 105, un ristorante 117, un’industria alimentare 111 e una carrozzeria 102.
Dall’analisi della spesa per la raccolta dei rifiuti nei Comuni liguri con popolazione superiore a 5 mila abitanti balza agli occhi, prima di tutto, che i capoluoghi delle quattro province liguri sono al di sopra della media nazionale, con Genova in cima alla classifica delle città più esose, sia per le imprese che per le famiglie. Il caso estremo è quello dei ristoranti, che a Genova pagano uno fra i tributi più alti d’Italia: con 7.300 euro di spesa annua, ben superiore alla media nazionale di 5.300 e subito dietro a Venezia, Roma e Napoli, città che sul fronte della raccolta dei rifiuti scontano ben altre problematiche.
Una ulteriore preoccupazione, oltre al caro tariffe, è la grandissima e spesso incomprensibile variabilità dei costi fra i vari Comuni della Liguria: nel caso di un’industria alimentare, la bolletta dei rifiuti può variare anche di 11 volte fra il valore massimo e il valore minimo, per un ristorante di 7 volte, per un parrucchiere di 5 volte. Luci e ombre, infine, sul fronte della qualità del servizio erogato: migliora la percentuale di raccolta differenziata nei Comuni capoluogo (37% alla Spezia, 32% a Genova, 31% a Imperia e 25% a Savona), ma resta ben al di sotto dell’obiettivo del 65%.
Quadro a tinte fosche anche per quanto riguarda il servizio idrico, sia per le tariffe, anche in questo caso al di sopra della media nazionale a Genova e alla Spezia, sia per il funzionamento della rete e l’assetto organizzativo. Il tasso di dispersione di acqua potabile resta molto alto (42% a Imperia, 29% a Genova, 28% a Savona e 17% alla Spezia) e le perdite si riflettono inevitabilmente sulla bolletta pagata dalle imprese e dalle famiglie.
La notizia buona è che la Regione ha avviato un piano di investimenti per migliorare l’infrastruttura (200 milioni di euro fra il 2014 e il 2017, vale a dire 40 euro per abitante all’anno) ma quella cattiva è che per eliminare la piaga delle dispersioni occorrerebbe raddoppiarli (90 euro per abitante all’anno).
Dal punto di vista normativo la Liguria è spaccata in due: in provincia di Genova e della Spezia la tariffa viene definita dall’Autorità di Ambito territoriale, secondo quanto stabilito dall’autorità nazionale (Aeegsi, Autorità per l’Energia Elettrica il Gas e il Servizio Idrico), mentre in provincia di Imperia e di Savona la competenza tariffaria è ancora in capo ai singoli Comuni. Ne risulta una situazione paradossale in cui i capoluoghi virtuosi (Genova e La Spezia) pagano il costo più alto mentre in quelli ancora non in regola (Imperia e Savona) il costo delle tariffe resta inferiore.