La più grande operazione di mungitura pubblica mai organizzata in Italia per manifestare contro una situazione non più sostenibile per gli allevatori italiani: domani a Torino, e in altre dieci città italiane, Coldiretti allestisce delle vere e proprie stalle con animali da allevamento secondo le diverse specificità regionali, per sottolineare quanto il latte italiano, a tre mesi dall’apertura di Expo 2015, sia fondamentale per la sopravvivenza delle aziende del territorio e per la salute degli stessi consumatori. E proprio nel capoluogo piemontese, in piazza Castello, saranno presenti anche 50 allevatori liguri contro “l’attacco alle stalle italiane”. Coldiretti, con i presidi organizzati anche nelle piazze principali di Roma, Milano, Udine, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Cosenza e Palermo e Venezia (dove la stalla sarà galleggiante nel molo di piazza San Marco) vuole protestare contro la caduta libera del prezzo del latte pagato agli allevatori dalle grandi industrie a svantaggio sia delle aziende del territorio, sia degli stessi consumatori, che vedono invece quadruplicare il prezzo sugli scaffali dei supermercati.
Per ogni litro di latte, solo il 17% del prezzo finale va all’allevatore. Negli ultimi sei mesi il latte ha perso il 19% del proprio valore, passando dai 44 centesimi agli attuali 35 centesimi al litro pagati agli allevatori dalle multinazionali: cifra che non basta a coprire i costi di produzione, per i quali sono necessari almeno 40 centesimi al litro. Ma non sono solo i continui ribassi della grande industria a minacciare il made in Italy e la sopravvivenza delle aziende del territorio: a ciò si aggiunge anche l’importazione di latte a basso costo e di provenienza indefinita che, soprattutto dopo la chiusura del mercato russo, si sposta in grandi quantitativi proprio verso l’Italia. «Il gioco al ribasso sul prezzo del latte, che addirittura vorrebbe toccare i 32 centesimi al litro, è inaccettabile – commenta Germano Gadina, presidente di Coldiretti Liguria – Una grave situazione che minaccia non solo gli allevamenti italiani, che tendono a scomparire, ma anche i consumatori, che, considerando che addirittura il 40% del latte consumato è indistinto, quindi di provenienza sconosciuta, hanno meno sicurezza sulle proprie tavole. A novanta giorni dall’apertura di Expo 2015, il made in Italy dovrebbe essere il nostro punto di forza e non un valore da mettere in ginocchio dalle regole di mercato». Insomma, se l’Expo apre, le stalle chiudono: «La grande esposizione universale dovrebbe celebrare il cibo, l’agricoltura e la terra – dice Ettore Preandini, presidente di Coldiretti Lombardia – ma rischiamo che sia la festa solo delle industrie, perché in tutta Italia la crisi del prezzo del latte e della carne sta mettendo in ginocchio l’intero settore zootecnico».
In Liguria sono rimasti 131 produttori di latte vaccino, diminuiti del 40% negli ultimi sette anni (erano 220: è il maggiore calo d’Italia): se alcuni hanno definitivamente chiuso i battenti, altri hanno convertito la propria produzione in quella della carne. La produzione di latte è così passata da 120 mila quintali all’anno agli attuali 70 mila, a cui si aggiungono i 110 mila quintali di latte importato: la Liguria, con un rapporto del 156%, è tra le sei regioni italiane in cui l’importazione di latte supera del 100% la produzione.
In Italia la produzione annuale di latte bovino tocca i 110 milioni di quintali, mentre altri 86 milioni vengono importati dall’estero. Per ogni milione importato si perdono 17 mila mucche e circa 1.200 occupati nell’agricoltura: dal 2007 ha chiuso un allevamento su cinque e si sono persi 32 mila posti di lavoro. Il giro d’affari generato dal settore, che occupa circa 180 mila persone, tocca i 28 miliardi di euro (oltre il 10% dell’agroalimentare italiano).
«Alla perdita di realtà produttive e di posti di lavoro – spiega Gadina – si aggiunge anche una minore salvaguardia del territorio: un’importante funzione svolta dalle stesse aziende, di cui spesso si tiene poco conto, ma che è invece fondamentale, soprattutto nei casi di calamità naturali». Non a caso, in Italia, il 53% degli allevamenti presidia zone montane e svantaggiate.