Sabato 13 dicembre, dalle 16, in piazza Leopardi, nel quartiere genovese di Albaro, arriva una cassetta postale che manda direttamente al Polo Nord, via “posta aerea” con palloncini colorati, le letterine dei bambini dirette a Babbo Natale. Nessuna promozione commerciale: è l’ultima iniziativa per animare (e amare) il proprio quartiere del gruppo Occupy Albaro, nato quasi per caso tra il maggio e il giugno 2013. Circa 1500 amici su Facebook, 350-400 persone pronte a partecipare alle iniziative, uno “zoccolo duro” di un centinaio di albarini, disposti a indossare jeans e maglietta e a mettere in ordine il proprio quartiere.

Già, perché la prima iniziativa di Occupy Albaro è stata la pulizia “non autorizzata” delle aiuole di via De Gaspari, abbandonate come tanta parte del verde pubblico genovese. «Avevamo un po’ di soldi raccolti con la vendita a contributo libero della nostra maglietta e ci è venuto in mente di comprare guanti e attrezzi per rimettere in sesto qualche area degradata del quartiere», spiega Ugo Rota, 49 anni, assicuratore, vicepresidente e cofondatore dell’associazione. Anche se molto diversa dalle tradizionali associazioni: «Siamo un gruppo allargato di amici, una compagnia come quelle gigantesche che si ritrovavano davanti al Lido o in piazza Leonardo da Vinci quando eravamo ragazzi. Il gruppo non è nato a tavolino ma in maniera naturale, per gioco e per gioco continua a stare in piedi», chiarisce Rota.
Insomma, associazione un po’ sui generis, tra la nostalgia goliardica e l’impegno sociale. Anche se l’impegno sociale, sempre accompagnato da qualche sorriso e magari da qualche scherzo, e alternato alle serate a tavola o per un aperitivo, sta avendo il sopravvento. Come si è dimostrato nei giorni subito dopo l’alluvione di ottobre. «Quello è un po’ un caso a parte: ci siamo semplicemente organizzati un po’ meglio di altri e abbiamo coordinato i lavori di primo intervento il sabato e la domenica subito dopo la catastrofe. Ci siamo concentrati nella zona della Foce perché avevamo con noi i bambini e ci sembrava un po’ meno pericoloso», minimizza Rota. Anche se molti giurano che, senza gli “Occupy” le prime operazioni sarebbero state ben più disorganiche e meno efficaci e che, alla fine, anche vigili urbani, dipendenti dell’Amiu e perfino il genio pontieri dell’esercito chiedessero a loro cosa fare e dove intervenire.
Proprio Facebook è lo strumento di comunicazione di questo gruppo, nato – magari con un po’ di ironia – sulla scorta di Occupy Wall Street, movimento di pesante critica allo strapotere del capitalismo finanziario, nato nel settembre 2011 a New York. In verità nell’Occupy Albaro è vietato parlare di politica e di calcio, gli argomenti che più facilmente creano fazioni opposte. Lo prevede il regolamento fatto rispettare in modo ferreo dal direttivo di cui, oltre Rota, fa parte il presidente Chicco Franchini, 44 anni, manager di una multinazionale con sede a Londra, Tito Gherardi, 44 anni, assicuratore, gli avvocati (hanno anche steso lo statuto) Davide “Daddi” Galletto e Armando “Gibi” Gibilaro, entrambi quarantaquattrenni, e Fabrizio Garbini, 41 anni, titolare del ristorante “Le cicale in Albaro”, che è diventato la sede legale e la base operativa del gruppo.





Sempre grazie ai social network stanno nascendo a Genova altri gruppi, per ora meno organizzati degli “albarini” e maggiormente proiettati verso la valorizzazione dei quartieri, come “Sei di Borgoratti se”, “Sei di Castelletto se” (in buona parte tesi a recuperare la storia e i valori delle zone a denunciare lo stato di abbandono delle strade). Forse, al momento, il più vicino a quelli di Albaro è Occupy Acquasola, nato abbastanza recentemente (al momento ha 132 “mi piace” su Facebook) e votato a recuperare il parco disegnato all’inizio dell’Ottocento da Carlo Barabino e scempiato dalle ultime giunte comunali.
Occupy Albaro, dopo le aiuole di via De Gaspari si è dedicato ai giardini davanti alla chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù, in via Boselli, ridotti come si può facilmente immaginare. In questo caso non si è trattato di un’azione “corsara”, ma gli “Occupy” hanno ottenuto il patrocinio del municipio Medio Levante e dell’Amiu che ha mandato i mezzi necessari. «In un solo giorno abbiamo fatto il lavoro di una squadra di professionisti in un mese. Eravamo 250!», si entusiasma Rota. Il tutto a tempo di musica, bevendo spritz e mangiando focaccia e salame, perché in queste iniziative c’è sempre una parte ludica. Successivamente sono stati realizzati interventi di derattizzazione alla Bocchella. Ma la “grande pulizia” ha riguardato il 14 settembre scorso i giardini di Valletta Cambiaso (foto in apertura), in collaborazione con l’associazione “professione Papà”: mentre decine e decine di persone (bambini compresi) pulivano il parco, dedicando chi un’ora e chi mezza giornata a questa attività, nel giardino si sono organizzati giochi e gare sportive per i ragazzini.
La scorsa primavera l’associazione ha organizzato al Ritz di piazza Leopardi la premiére del film “Un fidanzato per mia moglie” con incasso devoluto alla Gigi Ghirotti. Presenti anche i due interpreti, Luca Bizzarri e Paolo Kessisoglu che nel film ha indossato la tee shirt di Occupy Albaro (slogan: “Keep calm and occupy Albaro”).
Quale il rapporto col Comune? Nessuno, rispondono. L’unica istituzione che hanno trovato come sponda è Alessandro Morgante, presidente del municipio Medio Levante: «Noi gli chiediamo i permessi, il patrocinio e lui ci spiana la strada avendo ormai compreso che siamo animati solo dalla voglia di dare una sistemata alle cose senza fare polemica o essere una parte politica», spiega Rota. L’associazione non ha ancora trovato neppure sponsor veri e propri, a parte alcuni negozianti («Una costante dei nostri raid è il buffet», dicono) e Francesco Berti Riboli, a.d. della Casa di cura Villa Montallegro che ha accolto la proposta di “adottare” i giardini di Santa Teresa dopo la grande pulizia dello scorso anno. «Ci siamo resi conto che, se pulivamo un’aerea ma poi nessuno se ne occupava più, il lavoro diventava praticamente inutile – dice Rota – Allora abbiano chiesto a Berti Riboli se era disponibile ad adottare i giardinetti di Santa Teresina dopo il nostro intervento “grosso” e lui ha accettato di buon grado. Questa è l’idea; cerchiamo uno sponsor disposto a manutenere una determinata area, noi facciamo un primo intervento tosto, richiamando l’attenzione dei media e facendo da cassa di risonanza all’iniziativa e al “marchio”, poi lasciamo il benefattore a firmare le carte dell’adozione al municipio. La ricetta e semplice ma se ben eseguita può portare in poco tempo al recupero di tantissime area pubbliche abbandonate».