L’acqua minerale in Liguria è un bene che potrebbe fruttare molto alla Regione, ma in pratica viene regalato alle aziende. Lo sostengono Legambiente e Altraeconomia nel loro rapporto 2013 “Acque in bottiglia, un’imbarazzante storia italiana”. In assenza di una regolamentazione nazionale le disparità tra le regioni in materia di sfruttamento delle fonti d’acqua sono notevoli: ognuna stabilisce le modalità di applicazione del canone (in base agli ettari, per unità di volume emunto o per volume imbottigliato) e il prezzo da applicare. “La situazione più eclatante – si legge nel documento – è quella della Liguria dove la Regione incassa appena 3.300 euro all’anno per le 5 concessioni attive sul territorio, mentre adeguando i canoni a valori e criteri più adeguati, quali quelli citati, potrebbe arrivare a oltre 1,2 milioni di euro”.
Nel caso della Liguria le aziende imbottigliatrici che hanno ottenuto le concessioni di durata trentennale prima del 2012 pagano 5,01 euro per ettaro. Lo scorso anno, però, la Regione ha rivisto la legge di riferimento ritoccando i canoni: la legge regionale n. 2 del 2012 stabilisce che le imprese dovranno pagare 30 euro per ettaro più 1 euro a metro cubo imbottigliato nelle bottiglie di plastica (nulla per quelle di vetro). Con questa legge la Liguria si è allineata al documento approvato nel 2006 dalla Conferenza delle Regioni per uniformare i canoni in Italia che indicava la cifra “ideale”: da 1 a 2,5 euro a metro cubo o frazione di acqua imbottigliata, da 0,5 a 2 euro per metro cubo o frazione di acqua utilizzata o emunta, 30 euro per ettaro o frazione di superficie concessa. Riccardo Ballestra, amministratore di Acqua Santa Vittoria srl, azienda imbottigliatrice di Pornassio, è diretto: «Dire che le concessioni in Liguria sono regalate non ha senso. Già ora non ce la facciamo, sono rimaste solo tre fonti attive. Se verranno aumentati i canoni nessuno le prenderà più». Anche per Angelo Nan, titolare dello stabilimento Acqua di Calizzano, il problema non è tanto l’adeguamento dei canoni quanto la situazione del settore. «La Liguria – racconta – era una delle poche regioni a non applicare una tariffa al litro imbottigliato e per questo la legge di riferimento è stata modificata. Ma con le poche fonti ancora attive la Regione riuscirà a guadagnare ben poco in più rispetto a prima, siamo aziende piccole non produciamo grandi quantitativi di bottiglie».
La stima di guadagno indicata da Legambiente (1,2 milioni di euro) si basa sui volumi di acqua del 2011 e applica un ipotetico canone di 10 euro/metro cubo imbottigliato. Ma di fatto i nuovi canoni introdotti dalla legge regionale 2/2012 valgono solo per le nuove concessioni e anche se fossero applicati alle aziende attive, oggi la Regione riuscirebbe a incassare circa 100 mila euro.
CONCESSIONI INATTIVE
Con 192 litri procapite l’Italia è uno dei primi paesi al mondo per consumo di acqua in bottiglia: secondo le stime di Beverfood il giro d’affari complessivo nel 2012 è stato di 2,3 miliardi di euro, in lieve aumento rispetto all’anno precedente, e il 30% dei consumi è concentrato nel Nord-Ovest. In totale sono 156 le società imbottigliatrici che commercializzano 304 diverse marche di acqua in bottiglia e i primi quattro gruppi produttivi controllano oltre la metà del mercato.
Le concessioni per le acque minerali in Liguria sono una decina, ma solo tre aziende imbottigliatrici sono attive: Acqua di Calizzano nel savonese, Acqua Santa Vittoria a Pornassio e Valtrebbia, Acque Minerali a Rovegno. Negli ultimi anni alcune imprese hanno chiuso e i bandi per l’assegnazione delle concessioni libere sono andati deserti. Un’altra delle aziende più grandi, la Terme Vallechiara spa di Altare fondata nel 1965 e che gestiva le due sorgenti Vallechiara e fonte del Lupo, è in liquidazione. L’acqua di Calizzano è quella che da più tempo è sulla tavola dei liguri. L’azienda risale al 1961 ed è a conduzione familiare: oggi è guidata dai fratelli Angelo e Paolo Nan, prima di loro c’era il padre Pietro e prima ancora il nonno. Produce circa 50 milioni di bottiglie all’anno, conta 20 dipendenti (che salgono a 25 durante la stagione estiva) e ha un fatturato di 4 milioni di euro. «È un mercato difficile – dice Angelo Nan – e ultimamente la concorrenza è molto agguerrita soprattutto nel settore della grande distribuzione organizzata: noi continuiamo a lavorare come abbiamo sempre fatto, serviamo i grossisti che poi riforniscono locali, bar, ristoranti e privati». La maggior parte della clientela dell’azienda savonese è in Liguria e nelle regioni limitrofe: Piemonte, Valle d’Aosta, Toscana e Lombardia. Più alcuni clienti affezionati, in Australia e Sudamerica. L’azienda inoltre produce anche per l’etichetta Alisea del gruppo San Geminiano.
Altra fonte sfruttata a pieno ritmo è quella di Fontana Fredda, che sgorga a 1.380 metri a Pornassio, nell’estremo Ponente ligure e dà vita all’acqua Santa Vittoria. L’omonima azienda è nata alla fine degli anni Ottanta e la nuova proprietà è subentrata nel 2000 con un investimento di quasi 4 milioni di euro per rinnovare le strutture: oggi produce circa 80 milioni di bottiglie all’anno e conta 15 dipendenti. I clienti sono la grande distribuzione organizzata in Italia, in Francia e anche in Africa. «La situazione – dice Ballestra – è difficile: sono calati i consumi ma per restare competitivi nel mercato della grande distribuzione bisogna investire sempre, recentemente abbiamo speso altri 2 milioni di euro per rinnovare gli impianti. Se avere una concessione significasse trovare gli impianti già pronti e funzionati allora saremmo disposti anche a pagare per ogni litro imbottigliato ma non è così. Le fonti a cui attingiamo si trovano in posti isolati e sta a noi costruire gli impianti per l’imbottigliamento o adeguarli, inoltre l’acqua che noi imbottigliamo sarebbe inutilizzata andrebbe a finire nei fiumi e poi in mare». Se negli ultimi anni alcuni marchi storici liguri come le acque Santa Rita a Ne e Santa Clara a Borzonasca hanno chiuso, alcuni imprenditori genovesi e piacentini nel 2007 hanno deciso di puntare su una nuova fonte, quella del Galletto a Rovegno, commercializzando l’acqua “Alta Valle”. La fonte dell’alta Valtrebbia è a pochi chilometri dal confine con Piacenza, provincia scoperta da altre aziende imbottigliatrici locali. «Non ci sono altre fonti attive nel raggio di 100 km – dice Roberta Marazzi, responsabile marketing di Valtrebbia Acque Minerali spa – e l’acqua della sorgente, seppure conosciuta da molti anni, non era mai stata commercializzata». Da qui l’idea della cordata di imprenditori, tra cui alcuni piacentini con esperienza nel settore delle acque minerali, di investire a Rovegno. «Abbiamo creato tutto da zero – spiega Marazzi – abbiamo captato l’acqua e costruito un impianto di imbottigliamento poco più in basso, collegandolo con tubi inox. È stato un investimento notevole perché è una zona isolata, immersa nella natura. L’acqua sgorga a 800 metri di quota all’interno di un’area protetta di 105 ettari». Con 38 milioni di bottiglie prodotte e destinate alla grande distribuzione organizzata, bar e ristoranti con il criterio del km zero (nel raggio di 150 km) il fatturato dell’azienda nel 2012 è stato di circa 3 milioni di euro ma le proiezioni sono positive. «Dopo anni di crescita costante – dice Marazzi – il mercato italiano ora è abbastanza stabile: in tutto ci sono circa 300 fonti attive, il settore è molto parcellizzato e per questo competitivo, ma noi abbiamo prospettive di crescita perché il nostro è un prodotto locale e i consumatori ci scelgono perché sono affezionati al territorio».